Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11956 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11956 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 28/01/2025
R.G.N. 39725/2024
NOME FILOCAMO
SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
Procuratore Generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria avverso il decreto del 12/12/2023 della Corte di Appello di Reggio Calabria emesso nei confronti di:
NOME nato a Sant’Eufemia d’Aspromonte il 20/12/1968 NAPOLI NOME nato a Cinquefrondi il 27/07/1993
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto emesso in data 12 dicembre 2023 la Corte di appello di Reggio Calabria, accogliendo parzialmente il ricorso proposto da NOME COGNOME e da NOME COGNOME contro il decreto applicativo, a carico del primo, della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, ha ridotto a due anni la durata di tale misura, ed ha rigettato la richiesta del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Reggio Calabria di sottoporre a confisca due immobili intestati a NOME COGNOME terzo estraneo e figlio del proposto, ed un libretto postale intestato al predetto e a sua moglie.
La Corte ha valutato non provata, a carico di NOME COGNOME, la pericolosità generica di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, ritenuta sussistente dal Tribunale della prevenzione, per la eterogeneità e la dilatazione nel tempo dei delitti da lui commessi tra il 1992 e il 2006, e provata invece la pericolosità qualificata di cui all’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, quale appartenente alla consorteria criminale degli COGNOME, stanti gli elementi valorizzati dal Tribunale della prevenzione, in particolare l’aiuto ricevuto dalla cosca dopo un danno subito ai suoi mezzi operativi, risalente al giugno-settembre 2014, e l’intervento della cosca per risolvere un suo contrasto con tale COGNOME, risalente al maggio 2013, e stante la condanna per il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen. emessa a suo carico in data 14 luglio 2021 dal Tribunale di Palmi.
Ha rigettato, invece, la richiesta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, revocando la confisca disposta dal Tribunale, affermando che la difesa aveva fornito una prova idonea ad escludere la provenienza illecita degli immobili confiscati, essendo accertato che essi appartenevano ai genitori di NOME COGNOME almeno dal 1994, e quindi da un’epoca precedente la perimetrazione della pericolosità di quest’ultimo, nonchØ idonea ad escludere che essi fossero nella disponibilità del proposto, avendoli i nonni donati al loro nipote NOME COGNOME Quanto al denaro depositato su un libretto postale intestato al figlio NOME e alla moglie di lui, la Corte di appello ha ritenuto essere stata fornita un prova idonea a superare la presunzione relativa di appartenenza al proposto, essendo stato affermato trattarsi di regalie ricevute dalla coppia per il suo matrimonio.
Avverso il decreto ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la errata applicazione degli artt. 1, 4, 20 e 24 d. lgs. n. 159/2011.
La Corte di appello ha errato nella perimetrazione della pericolosità qualificata di NOME COGNOME che il Tribunale aveva individuato nell’anno 1988 sulla base dei criteri formulati dalla sentenza Sez. U. n. 4880/2014, COGNOME, per la perimetrazione della pericolosità derivante dall’appartenenza ad una consorteria mafiosa. In questo caso possono essere valorizzati tutti gli elementi idonei a rivelare un’appartenenza anche precedente al suo accertamento giudiziario, e quindi le condotte sintomatiche di tale appartenenza e perciò rivelatrici di una pericolosità risalente nel tempo. Il Tribunale della prevenzione, pertanto, aveva correttamente ritenuto sintomatici di tale pericolosità i reati commessi da NOME COGNOME sin dal 1988, in quanto tipici reati-spia. Trattavasi di delitti quali il furto, il porto illecito di armi e munizioni, la turbata libertà degli incanti, l’evasione e le accensioni pericolose: il delitto di detenzione e porto di armi Ł dimostrativo, nel contesto territoriale reggino, dell’appartenenza ad un clan mafioso, e la condanna per la turbata libertà degli incanti deve essere collegata alla specifica figura del Napoli che, nella condanna per il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., Ł stato descritto come un imprenditore colluso con una cosca di ‘ndrangheta. Nel 1994, poi, egli era stato raggiunto da un avviso orale emesso dal questore di Reggio Calabria, elemento che dimostra che egli, all’epoca, teneva uno stile di vita e frequentazioni di natura criminale. In una conversazione intercettata il 28/06/2014, poi, lo stesso Napoli, parlando con due appartenenti alla cosca COGNOME, menzionava fatti criminosi risalenti al 1992, ai quali aveva partecipato suo zio, dimostrandosi a conoscenza di tali vicende.
La Corte di appello, erroneamente, ha qualificato tali condotte come espressioni di pericolosità generica, di cui ha negato la sussistenza, mentre la proposta di applicazione della misura era stata formulata solo sostenendo la pericolosità qualificata del proposto, quale appartenente ad una consorteria mafiosa, pericolosità che deve, pertanto, essere fatta risalire al 1988. La errata perimetrazione della pericolosità sociale si Ł poi riflessa sul diniego della confisca dei due immobili, decisione che viene, perciò, impugnata.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce l’errata applicazione degli artt. 24 e 26 d.lgs. n. 159/2011.
La Corte ha ritenuto idonea la spiegazione della provenienza da regalie dell’intera somma depositata sul libretto postale intestato a NOME COGNOME e a sua moglie, solo perchØ il deposito Ł avvenuto tre giorni dopo le nozze e il terzo ha allegato una lista con i nomi degli invitati e l’indicazione, a fianco di ciascuno, della somma donata. Tale documento non soddisfa l’onere di allegazione difensiva della provenienza lecita del bene, che deve essere puntuale e specifico. L’affermazione della Corte di appello, che tale forma di regalia sia tipica, non riposa su alcuna massima di esperienza, e contrasta con l’elevata entità della somma stessa, pari ad euro 50.000. Anche la circostanza che l’importo sia rimasto sostanzialmente invariato nei tre anni successivi al matrimonio rende dubbia la provenienza indicata dal terzo estraneo, non comprendendosi come gli sposi abbiano provveduto alle esigenze domestiche e coniugali a cui tali regalie sono, di solito, destinate. Il procuratore ricorrente ha chiesto, pertanto, la confisca anche di tale importo.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, in quanto non proposto per violazione di legge.
Il ricorrente, per mezzo del proprio difensore avv. NOME COGNOME ha depositato una memoria, con cui chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del procuratore generale, perchØ prospetta solo vizi di motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł solo parzialmente fondato, e deve essere accolto limitatamente al secondo motivo proposto.
Il primo motivo di ricorso Ł inammissibile.
L’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159/2011, richiamato dall’art. 27, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, stabilisce che avverso i decreti emessi dalla Corte di appello in materia di prevenzione Ł ammesso ricorso in cassazione solo per violazione di legge.
Secondo questa Corte, il vizio di violazione di legge comprende esclusivamente «sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice» (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692). In tema di procedimento di prevenzione, inoltre, Ł stato esplicitamente stabilito che «in tema di sindacato sulla motivazione, Ł esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poichØ qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 1956, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente» (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Nel presente caso il pubblico ministero ricorrente articola questo primo motivo, dichiaratamente, deducendo la violazione di norme di legge, ma nella trattazione espone esclusivamente vizi della motivazione del provvedimento impugnato, lamentando un errore nella valutazione delle condotte tenute dal proposto sin dal 1988, commettendo reati che avrebbero
dovuto essere qualificati come reati-spia, da cui dedurre la contiguità del soggetto, anche all’epoca, ad associazioni criminali, e da cui ritenere perciò sussistente sino da allora una sua pericolosità qualificata. Il provvedimento impugnato non contiene, sul punto, una motivazione inesistente o meramente apparente, e neppure una motivazione del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, risultando inidonea a rendere comprensibile l’ iter argomentativo seguito dal giudice. La Corte di appello, infatti, ha valutato la sussistenza della pericolosità del proposto, e la natura di questa, sulla base della decisione resa dal tribunale della prevenzione, che aveva qualificato solo come generica la sua pericolosità sino al 2006/2007, e l’ha esclusa attraverso una valutazione motivata e completa, ritenendo i reati da lui commessi sino a quella data inidonei a dimostrare che egli vivesse abitualmente con i proventi di quelle condotte criminose.
La perimetrazione solo dal 2013 della pericolosità sociale qualificata Ł motivata, poi, in modo completo e non apparente, confermando peraltro la valutazione del tribunale della prevenzione. Tale motivazione, pertanto, può essere errata o non conforme al principio giurisprudenziale dettato da Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262605, secondo cui il giudice deve accertare «se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato». L’avere omesso tale accertamento, o avere erroneamente ritenuto che esso abbia fornito un esito negativo, come sostenuto dal pubblico ministero ricorrente, può però costituire solo un vizio di motivazione, ma non una violazione di legge, neppure nella piø estesa nozione della motivazione inesistente o apparente.
Il primo motivo di ricorso, inoltre, Ł inammissibile perchØ non si confronta con una delle rationes decidendi del rigetto della confisca dei beni immobili intestati al figlio NOME. Il ricorso, infatti, si limita a contestare la limitazione della perimetrazione della pericolosità del proposto all’anno 2013, affermando che solo a causa di tale restrizione la Corte di appello non ha valorizzato la sproporzione reddituale esistente al momento dell’acquisto degli immobili. La Corte di appello, invece, oltre a ritenere che quegli immobili sarebbero stati costruiti nel 1994 e quindi in un’epoca molto antecedente al manifestarsi della pericolosità qualificata del proposto, ha ritenuto non provate nØ la provenienza illecita di tali beni, perchØ essi sarebbero stati costruiti dai genitori del proposto, già proprietari sin dal 1979 del relativo terreno, nØ la loro disponibilità in capo a quest’ultimo, dal momento che essi sono stati venduti, o in realtà donati, dai nonni al nipote. Il ricorso non si confronta con questa ulteriore argomentazione, e deve pertanto essere ritenuto generico e privo della necessaria specificità.
3.Il secondo motivo di ricorso Ł invece ammissibile, e deve essere accolto.
Il pubblico ministero ricorrente deduce la violazione e l’omessa applicazione degli artt. 24 e 26 d.lgs. n. 159/2011 nel disporre la revoca del sequestro, finalizzato alla confisca, sulla somma di € 50.000 depositata sul libretto postale n. 7685871 intestato a NOME COGNOME e alla moglie NOME COGNOME per non avere il decreto impugnato tenuto conto della presunzione stabilita da tali norme.
Tale deduzione Ł fondata.
L’art. 26, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 159/2011 stabilisce che si presumono fittizie, fino a prova contraria, le intestazioni effettuate, nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione, in favore dell’ascendente, del discendente o del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonchØ dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado. Detta presunzione Ł relativa, consentendo la prova contraria, ma l’onere probatorio ricade sull’intestatario.
Nel presente caso, la proposta di applicazione della misura di prevenzione a carico di NOME Napoli risale al 28 ottobre 2019, come risulta dal provvedimento applicativo emesso in data 14 luglio
2021 dal Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, per cui la presunzione di fittizietà nell’intestazione di beni a parenti ed affini stabilita dall’art. 26 d.lgs. n. 159/2011 decorre dal 28/10/2017. Essa non opera, pertanto, con riferimento all’intestazione a NOME COGNOME degli immobili, in quanto risalente al 2013, mentre può operare con riferimento all’intestazione al predetto figlio e alla nuora del libretto postale indicato, sul quale la somma di € 50.000 Ł stata versata in contanti tre giorni dopo il matrimonio tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME, celebrato il 05/05/2018.
L’applicazione di detta norma comporta che «In materia di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere la sussistenza di una presunzione di “disponibilità” di tali beni da parte del prevenuto – senza necessità di specifici accertamenti – in assenza di elementi contrari» (Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Rv. 266142), in quanto «In materia di misure di prevenzione patrimoniali, la presunzione di intestazione fittizia prevista dall’art. 26, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 per la persona convivente del proposto pone come uniche condizioni che la convivenza sia stabile e che l’atto dispositivo oneroso a suo favore sia stato compiuto nei due anni precedenti alla proposta di misura patrimoniale» (sez. 5, n. 32994 del 30/03/2017, Rv. 270598). Quanto all’attribuzione dell’onere probatorio, questa Corte ha stabilito che «In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere che il prevenuto ne abbia la disponibilità e li faccia apparire formalmente come beni nella titolarità delle persone di maggior fiducia, sulle quali grava, pertanto, l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità degli stessi onde sottrarli alla confisca» (Sez. 2, n. 7346 del 17/01/2023, Rv. 284387). In merito al concetto di convivenza dei familiari, ai quali si estende la presunzione di fittizietà delle intestazioni di beni compiute nel periodo indicato dalla norma, questa Corte ha ritenuto tali i fratelli e le cognate del proposto che «pur non occupando la stessa unità abitativa, coabitavano nello stesso edificio e condividevano con lui una serie di interessi economici ed attività imprenditoriali» (Sez. 1, n. 39799 del 20/10/2010, Rv. 248845).
Il decreto impugnato non ha applicato la normativa indicata, dichiaratamente valutando la presunzione di appartenenza di detta somma di denaro al proposto solo alla luce del criterio stabilito dall’art. 19, comma 3, d.Lgs. n. 159/2011, che non attribuisce alcuna presunzione (vedi Sez. 2, n. 14981 del 09/01/2020, Rv. 279224; Sez. 6, n. 14600 del 16/02/2021, Rv. 281611), e pertanto ritenendo sufficiente, per escludere la fittizietà dell’intestazione, la mera affermazione della difesa circa la provenienza del denaro da regalie degli invitati al matrimonio, in quanto «fondata su un dato di comune esperienza» e «in assenza di elementi di segno contrario provenienti dalla pubblica accusa». La norma indicata, invece, non attribuisce alcun onere probatorio o di allegazione contraria alla pubblica accusa, bensì impone al soggetto che intenda superare la presunzione stabilita dalla legge, cioŁ il terzo intestatario, di fornire la prova della non fittizietà della propria intestazione.
Questo motivo di ricorso, pertanto, Ł ammissibile e deve essere accolto, avendo il decreto impugnato violato e omesso di valutare l’applicabilità, al caso di specie, della norma di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159/2011.
Il decreto impugnato deve perciò essere annullato, con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria, per un nuovo giudizio in merito alla attribuibilità al proposto NOME COGNOME del denaro depositato sul libretto postale n. 7685871 intestato a NOME COGNOME e alla moglie NOME COGNOME alla luce della presunzione di fittizietà della intestazione stabilita dall’art. 26 d.lgs. n. 159/2011, e in merito alla conseguente confiscabilità dell’intera somma.
Annulla il decreto impugnato limitatamente alla confisca del libretto postale con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Reggio Calabria. Rigetta nel resto il ricorso.
Così Ł deciso, 28/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME