Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27185 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27185 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a Bari il 25/06/1978
avverso l’ordinanza del 20/02/2025 del Tribunale di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni dei Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza n. 4920 del 15/10/2024, dep. 2025, la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione annullava l’ordinanza del 04/04/2024 del Tribunale di Bari con la quale era stata confermata l’ordinanza del 07/02/2024 del G.i.p. del Tribunale di Bari con cui era stata applicata, nei confronti di NOME COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere per essere egli gravemente indiziato del delitto di partecipazione all’associazione mafiosa denominata “clan COGNOME” e, successivamente, “clan COGNOME–COGNOME“, e ricorrendo la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere prevista dall’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., in assenza, secondo il Tribunale di Bari, di «elementi idonei a dimostrare la rescissione del COGNOME dall’associazione mafiosa».
La Sesta sezione penale annullava la suddetta ordinanza del 04/04/2024 del Tribunale di Bari, in accoglimento del primo motivo di ricorso, sul punto delle esigenze cautelari, rinviando al Tribunale di Bari per un nuovo giudizio in ordine alle stesse esigenze.
La Sesta sezione dichiarava invece inammissibile il secondo motivo di ricorso, relativo al punto della gravità indiziaria.
Con ordinanza del 20/02/2025, il Tribunale di Bari, all’esito del giudizio di rinvio, ritenuto che non vi fossero elementi per il superamento della doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., rigettava la richiesta di riesame che era stata presentata dallo COGNOME e, per l’effetto, confermava la misura cautelare personale in atto nei suoi confronti.
2. Avverso tale ordinanza del 20/02/2025 del Tribunale di Bari, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e l’erronea applicazione: a) dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., «nella parte dell’ordinanza in cui il Tribunale della Libertà di Bari non si è confrontato con circostanze di fatto debitamente rilevate nei motivi di riesame ed ha omesso di motivare, se non in modo apparente ed apodittico, in relazione alla insussistenza delle esigenze cautelari, così ponendosi in aperto contrasto e violazione del dettato codicistico laddove impone che in presenza di gravi indizi di reità in relazione al delitto associativo di stampo mafioso sia disposta la custodia cautelare in carcere “salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti non sussistono esigenze cautelari”»; b) dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., «nella parte dell’ordinanza in cui il Tribunale della Libertà di Bari non si è uniformato alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto risolta in relazione alla motivazione circa l’attuale persistenza delle esigenze cautelari».
Dopo avere riportato un ampio stralcio della sentenza di annullamento con rinvio della Sesta sezione penale, il ricorrente espone che, nella propria richiesta di riesame, aveva evidenziato come nella motivazione dell’ordinanza “genetica” «vi fosse un generico ed indistinto richiamo alle posizioni dei vari indagati per associazione di stampo mafioso» e aveva perciò «cerca di caratterizzare la posizione del ricorrente sig. NOME COGNOME, rappresentando come egli: a) fosse stato detenuto per espiazione pena dal 10/08/2017 al 15/02/2023, «periodo coincidente, nella motivazione addotta nell’ordinanza genetica, a quello di inizio e climax dell’operatività della pretesa associazione» (che, nell’imputazione provvisoria, era contestata «dal marzo 2016 all’attualità»); b) appena rimesso in libertà, si fosse prima trasferito in un’altra città e poi in Brasile, per tornare Italia (il 09/03/2024) solo dopo avere appresa la notizia della pendenza del
presente procedimento e al solo scopo di parteciparvi, come era «documentato con atti che attestavano l’apertura di una attività commerciale in quel di Fortaleza», sicché «on sussisteva, pertanto, alcuna altra ragione per fare ritorno». A tali circostanze si aggiungevano le seguenti altre: «l’assenza di qualsiasi contestazione concernente i reati fine, l’assenza di qualsiasi contatto registrato, anche solo tramite intercettazioni, tra l’odierno ricorrente ed uno qualsiasi dei soggetti interessati dal procedimento e, più in generale, il totale vuoto indiziario circa una qualsiasi condotta materiale riferibile allo COGNOME e anche solo lontanamente rilevante nel processo de quo».
Ciò esposto, il ricorrente lamenta che il Tribunale di Bari avrebbe «di nuovo obliterato le doglianze difensive affrontando le censure e i temi demandati da Codesta Suprema Corte in modo circolare con motivazione meramente apparente, in aperta violazione del dettato codicistico che prevede una presunzione di adeguatezza della custodia cautelare carceraria in presenza dei gravi indizi di colpevolezza salvo, però, la presenza di elementi dai quali desumere la insussistenza di esigenze cautelari».
NOME COGNOME ribadisce che, nella sua richiesta di riesame, aveva chiarito come il pericolo di reiterazione del reato fosse materialmente e logicamente da escludere «in ragione della sua volontà, espressa per fatti concludenti, di trasferirsi in altro continente ed ivi intraprendere un’attività commerciale dedita al turismo» e che «nulli erano stati i contatti con i pretesi sodali».
Il ricorrente deduce altresì che e modestissime intercettazioni delle chat criptate, che comunque si attestano ai mesi di giugno e luglio 2020 non lo vedono mai né diretto interlocutore né indirettamente interessato. Del resto, lo COGNOME non ha contestato alcun reato fine né è dato comprendere quale sia stato il suo oggettivo contributo, stabile e perdurante, alla pretesa associazione».
Tutto ciò premesso, lo COGNOME denuncia che «tutti gli elementi che il Tribunale ripropone – identici a quelli già cassati – o argomenta per la prima volta, appaiono non solo congetturali ma certamente non pertinenti rispetto alle direttive dei quesiti che Codesta Ecc.ma Corte gli aveva demandato scandendoli punto per punto», con particolare riferimento a quelli, relativi al suo trasferimento in Brasile, che figurano nel quarto capoverso della pag. 7 della sentenza di annullamento con rinvio.
Dopo avere trascritto la motivazione che, a proposito di tale trasferimento, è stata resa dal Tribunale di Bari nel sesto capoverso della pag. 25 dell’ordinanza impugnata, lo COGNOME asserisce che lo stesso Tribunale «ammette pacificamente di non poter sostenere che il trasferimento in altro continente fosse deputato al perseguimento delle finalità mafiose, né che fosse stato concordato con il gruppo né – addirittura – che il gruppo fosse stato informato».
Ripete, ancora una volta, che «on ci sono reati fine contestati né prima né durante il trasferimento all’estero, non ci sono contatti né prima né durante la permanenza in Brasile».
Lo COGNOME trascrive poi la parte della motivazione che, sempre a proposito del suo trasferimento in Brasile, figura nel primo capoverso della pag. 26 dell’ordinanza impugnata, lamentando che «on è dato comprendere né quale sia la pretesa rete di contatti criminali né cosa abbia messo realmente a disposizione dell’associazione, vista l’assenza di reati fine e di contatti con altri pretesi sodali».
Viene poi trascritta l’argomentazione che figura nel quinto capoverso della pag. 26 dell’ordinanza impugnata a proposito della quale il ricorrente deduce che: «ppare di nuovo del tutto assertiva e congetturale la pretesa irrilevanza dell’avere lo COGNOME cambiato continente e l’aver interrotto – anni addietro qualsiasi tipo di rapporto riconducibile in qualsivoglia modo alla associazione; e lo è altrettanto, oltre che viziata da manifesta illogicità, l’affermazione circa l pretesa natura strumentale della documentata attività commerciale in Brasile, che si vorrebbe provata dalla data della relativa certificazione, in quanto successiva alla notizia della ordinanza custodiale. È infatti del tutto ovvio che l’indagato certifichi l’esistenza della sua attività solo dopo che sia sorta la necessità di farlo»
Il ricorrente deduce ancora che sarebbe «superfluo parlare del pericolo di fuga – su cui, non a caso, non vi è letteralmente alcuna parola nell’ordinanza impugnata -», a fronte di un soggetto che già si trovava in un altro continente e che aveva fatto spontaneamente rientro in Italia al solo scopo di esercitare il proprio diritto di difesa». Del resto, ad evitare il pericolo di fuga, «sarebbe stato comunque sufficiente il ritiro dei documenti validi per l’espatrio».
Né vengono evidenziate situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova.
Il ricorrente conclude che: a) posto che la menzionata presunzione relativa «onera ed impegna il Giudice nell’espressione motivata e coerente dei motivi effettivi per cui tutte le circostanze sopra evidenziate non possano essere considerate idonee ai fini del giudizio di insussistenza», «a motivazione in tema di esigenze cautelari è di nuovo fin troppo generica e, laddove affronta la singola circostanza, del tutto congetturale»; b) «il vizio dedotto concreta certamente una violazione dell’art. 626, comma 3, c.p.p., laddove il Tribunale ha inteso letteralmente disattendere le indicazioni, puntuali e cogenti, impartite da Codesta Suprema Corte».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché è stato proposto per un motivo manifestamente infondato.
Il Collegio ritiene infatti che il Tribunale di Bari si sia uniformato alla sentenza di annullamento con rinvio della Sesta sezione penale e, nel farlo, abbia anche coerentemente e del tutto logicamente motivato in ordine al mancato superamento della presunzione di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen.
La Sesta sezione penale aveva ravvisato due fondamentali lacune nella motivazione dell’ordinanza del 04/04/2024 del Tribunale di Bari.
La prima lacuna derivava dal fatto che, a fronte della circostanza che lo COGNOME era stato detenuto dal 2017 al 2023, «in questo lasso temporale, obiettivamente non breve, non è stato indicato alcun elemento dimostrativo del perdurante vincolo associativo». Ciò tenuto anche conto che il Tribunale di Bari: a) nell’indicare che il collaboratore di giustizia NOME COGNOME aveva parlato dello COGNOME come «di un affiliato nel 2022 e 2023», non aveva spiegato se tale riferimento temporale dovesse intendersi relativo al momento in cui il collaboratore aveva reso le proprie dichiarazioni o al fatto che ancora nel 2022 e nel 2023 lo COGNOME era intraneo al gruppo criminoso; b) nel valorizzare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME il quale aveva riferito del rito di affiliazione dello COGNOME mentre lo stesso si trovava agli arresti domiciliari, non aveva indicato quando tale rito fosse avvenuto.
La seconda lacuna derivava dal diniego del rilievo, sempre ai fini del superamento delle menzionate presunzioni, dell’elemento che lo COGNOME, dopo essere stato detenuto per circa sei anni (come si è detto, dal 2017 al 2023), si era trasferito in Brasile. Secondo la Sesta sezione penale, nell’ordinanza del 04/04/2024, il Tribunale di Bari non aveva in particolare spiegato: «a) perché sarebbe irrilevante la circostanza che un soggetto affiliato, rimesso in libertà dopo anni di detenzione, si è trasferito in Brasile; b) perché ciò non potrebbe essere espressione di una dissociazione; c) perché il trasferimento in Brasile sarebbe compatibile con la perdurante condotta partecipativa al gruppo mafioso; d) in cosa, il trasferimento sarebbe funzionale al perseguimento delle finalità mafiose del gruppo; e) se quel trasferimento fu concordato con il gruppo, se il gruppo ne fu informato».
Quanto alla prima lacuna indicata, si deve osservare che, nell’ordinanza oggi impugnata, il Tribunale di Bari – dopo avere ribadito come tre collaboratori di giustizia (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) avessero concordemente indicato lo COGNOME come un affiliato a NOME COGNOME con il grado di “quarta” e con un ruolo specifico nel campo del traffico degli
stupefacenti, e dopo avere evidenziato come, dagli esiti delle attività di intercettazione e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME fosse emerso come lo COGNOME fosse stato un partecipe particolarmente attivo nell’associazione, atteso che, oltre a svolgere compiti legati al traffico degli stupefacenti, aveva assunto un ruolo anche nello scontro armato in occasione della guerra interna al proprio clan -, nel passare a esaminare «la valenza del dato temporale», ha argomentato che, posto che nessuno dei collaboratori di giustizia che avevano parlato dell’affiliazione dello COGNOME avevano riferito di un suo successivo e più recente allontanamento dal clan: a) nel corso del suo interrogatorio del 19/04/2024 – successivo, perciò, alla prima ordinanza del 04/04/2024 -, il collaboratore di giustizia NOME COGNOME aveva esplicitamente affermato l’attualità dell’affiliazione dello COGNOME («ora è un affiliato di COGNOME NOME»); b) sia dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME (il quale aveva riferito che, durante la loro comune detenzione, collocabile fra il novembre e il dicembre del 2019, aveva percepito lo COGNOME parlare con l’altro partecipe NOME COGNOME – avendo anche l’accortezza di non discorrere apertamente in cella e di ricorrere alla scrittura – dei loro traffici stupefacente), sia dall’esame di conversazioni criptate Sky ECC di cui all’annotazione della polizia giudiziaria del 31/10/2024 prodotta dal pubblico ministero (nelle quali NOME COGNOME e NOME COGNOME parlavano di «Nereo», motivatamente identificato dal Tribunale nello Zanghi, come di un soggetto attivamente coinvolto nel traffico di stupefacenti nel giugno-luglio 2020, in concomitanza con l’ottenimento, da parte dello COGNOME, di benefici che gli avevano consentito di allontanarsi dal carcere), risultava come il ricorrente, anche nel corso della sua detenzione, avesse in realtà continuato a occuparsi degli affari illeciti del clan nel settore degli stupefacenti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Collegio rileva che il ricorrente, a parte l’argomentazione, relativa alle sole conversazioni criptate Sky ECC e del tutto generica, che stesse «non lo vedono mai né diretto interlocutore né indirettamente interessato», ha omesso di confrontarsi con la motivazione che si è sopra riassunta, e reputa che, con la stessa motivazione, il Tribunale di Bari abbia senz’altro del tutto logicamente colmato la lacuna, che era stata ravvisata dalla Sesta sezione penale, in ordine al «vuoto probatorio» concernente gli anni che lo COGNOME aveva trascorso in carcere.
Quanto alla seconda lacuna derivante dal diniego del rilievo dell’elemento che il ricorrente, dopo la sua detenzione, si era trasferito in Brasile, il Tribunale d Bari ha argomentato che, considerato che, alla luce di quanto aveva in precedenza esposto, era risultato che lo COGNOME aveva impostato il proprio vissuto al costante servizio del sodalizio – al quale aveva continuato a fornire il proprio contributo, nello specifico settore del narcotraffico, anche durante la sua detenzione in carcere
(anche approfittando dei benefici che gli erano stati concessi per riallacciare i contatti, evidentemente mai recisi, con il COGNOME e con altri sodali), così dimostrando la pervicacia della sua “messa a disposizione”, che non era stata intaccata neppure dalla restrizione carceraria (che non aveva chiaramente sortito alcun effetto né deterrente né, tanto meno, rieducativo) -, si doveva reputare che la riconquistata libertà e l’immediato trasferimento in Brasile non si potessero ritenere espressivi, nelle circostanze concrete, di un’effettiva dissociazione dal sodalizio criminoso.
Ciò anche tenuto conto del fatto che il collaboratore di giustizia NOME COGNOME aveva riferito di essere a conoscenza di un lungo periodo di carcerazione che lo COGNOME aveva subito in passato in Brasile e che il collaboratore di giustizia NOME COGNOME aveva riferito che lo COGNOME si occupava «di grossi quantitativi di cocaina» e, in particolare, «aveva contatti anche in Brasile».
Alla luce di ciò, contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, non si può affatto reputare illogica la conclusione del Tribunale di Bari secondo cui il trasferimento in Brasile appariva correlato alla rete di contatti criminali che il ricorrente, in un passato non particolarmente lontano, aveva già messo a disposizione del sodalizio.
Quanto al dedotto svolgimento, in Brasile, di un’attività lavorativa imprenditoriale lecita, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, il Tribunale di Bari, nel valutare la documentazione che lo COGNOME aveva prodotto al riguardo, non ha illogicamente considerato «la data della relativa certificazione» (così il ricorso), ma, correttamente, la data di costituzione della società («risulta infatti costituita con contratto dell’11/03/2024») e la data di inizio dell’attiv d’impresa («con data di inizio attività registrata il 14/03/2024»), con la conseguenza che l’argomentazione dello stesso Tribunale secondo cui la costituzione della menzionata società, in quanto successiva all’emissione e all’esecuzione della misura cautelare (che si ebbe il 09/03/2024), appariva strumentale a sostenere la tesi difensiva del trasferimento all’estero per svolgervi un’attività lavorativa lecita, non si può affatto ritenere illogica. Così come appare non manifestamente illogica neppure l’altra argomentazione che è stata sviluppata dal Tribunale di Bari al riguardo secondo cui non era emerso come lo COGNOME avesse potuto mantenere egli stesso, oltre alla propria compagna con un figlio piccolo, per oltre un anno in Brasile con risorse lecite.
Il Collegio reputa pertanto che, con la motivazione che si è riassunta, il Tribunale di Bari abbia del tutto logicamente colmato anche la seconda lacuna, che era stata ravvisata dalla Sesta sezione penale, relativa all’elemento che lo COGNOME dopo la sua detenzione, si era trasferito in Brasile.
5. In conclusione, le doglianze del ricorrente di violazione ed erronea applicazione, per le ragioni dallo stesso indicate, sia dell’art. 275, comma 3,
secondo periodo, cod. proc. pen., sia dell’art. 627, comma 3, dello stesso codice, si devono ritenere manifestamente infondate.
6. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento
della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
I- ter,
disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 06/06/2025.