Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11735 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11735 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 25/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Mileto il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza emessa il 20 giugno 2023 dal Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; che ha concluso per
udito il difensore, AVV_NOTAIO, GLYPH l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catanzaro, accogliendo parzialmente la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME avverso l’ordinanza di custodia
cautelare, ha annullato l’aggravante di cui al capo 58 dell’imputazione provvisoria e confermato nel resto il provvedimento cautelare impugnato.
2.NOME COGNOME ricorre per cassazione deducendo sei motivi, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1 Violazione degli artt. 294, comma 4, 299 e 302 cod. proc. pen. e nullità dell’interrogatorio di garanzia conseguente all’impossibilità per il difensore d prendere visione degli atti posti a fondamento dell’ordinanza cautelare. Rileva, infatti, il ricorrente che il difensore è stato avvisato solo 1’11/5/23, alle ore 20,45, del fissazione dell’udienza di convalida del fermo per il giorno successivo alle ore 8. Si eccepisce, pertanto, la tardività della notifica che ha impedito alla difesa di esercitar il diritto riconosciuto dall’art. 293, comma 3, cod. proc. pen. Sostiene, al riguardo il ricorrente che la nozione di “tempestività” dell’avviso prevista dall’art. 294 cpp dev essere intesa in relazione all’esigenza di assicurare sia la presenza fisica della difesa che la visione degli atti.
2.2 Violazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen. in relazione alla valutazione della gravità degli indizi di colpevolezza concernenti il reato di cui capo 1. In particolare, deduce che:
è stata considerata la sentenza definitiva emessa nel procedimento denominato “Genesi” in cui era imputato il nipote dell’odierno ricorrente, ma non quest’ultimo; b)le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia sono inidonee a fondare il giudizi di gravità indiziaria in quanto, in particolare, quelle rese da NOME COGNOME i ordine coinvolgimento del ricorrente nell’occultamento del cadavere di NOME COGNOME sono smentite dalla sua assoluzione da tale reato; le dichiarazioni rese da NOME COGNOME in merito all’omicidio di NOME COGNOME sono de relato e non hanno trovato riscontro, posto che come dichiarato da altro collaboratore di giustizia, NOME COGNOME, il motivo di tale omicidio era legato a dei furti. Ciò smentisce la tesi accusatoria secondo la quale tale omicidio costituiva una “risposta” a quello di NOME COGNOME; le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono generiche e, quanto a quelle di COGNOME, de relato;
dai colloqui in carcere tra il ricorrente e COGNOME COGNOME non emerge con certezza che il primo si sia recato a parlare con i vertici dell’associazione nè emerge alcun riferimento esplicito a NOME COGNOME.
2.3 Violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in relazione alla tentata estorsione contestata al capo 25. Sostiene il ricorrente che la motivazione del Tribunale è apodittica ed illogica in quanto, come dimostrato anche dall’esito della c.d. “imbasciata”, il suo atteggiamento verso le presunte persone offese trova quale unica ragione il mancato rispetto del diritto di prelazione da parte degli acquirenti. Ad avviso del ricorrente, inoltre, lo stesso atteggiamento delle persone offese, che non hanno dato alcuna risposta alla c.d. “imbasciata”, conferma che non è ravvisabile nella fattispecie in esame alcuna minaccia, stante l’inidoneità della condotta ad incidere sulla libertà di autodeterminazione delle vittime.
2.4 Violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in relazione al reato di cui al capo 57. Deduce il ricorrente che gli elementi indiziari considerati consistono nelle sole intercettazioni ambientali, senza che siano stati acquisiti riscontri oggettivi in merit alla circostanza che sia stato proprio il ricorrente ad esplodere il colpo di fucile o fatto che le armi fossero proprio del COGNOME.
2.5 Violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione al capo 25, non emergendo alcun elemento dai cui desumere l’elemento psicologico necessario ai fini della configurabilità della finalità agevolatrice, atteso che, all’epoca dei fatti, non vi era al accertamento relativo alla esistenza della ‘ndrina di Mileto. Deduce, inoltre, il ricorrente, quanto al metodo mafioso, l’insufficienza della sola “innbasciata”, termine che nel linguaggio popolare si riferisce anche alla trasmissione di messaggi di natura lecita. Si insiste, inoltre, sulle ragioni della condotta del ricorrente (il mancato rispetto del diritt prelazione) e sul fatto che dalla conversazione intercettata non emerge il contenuto della richiesta inviata ai COGNOME nè se questa sia stata effettivamente recapitata.
2.6 Violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. in relazione alle esigenze cautelari, reputate sussistenti sulla base della presunzione stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sottovalutando la risalenza nel tempo delle condotte in contestazione nonché la circostanza che il ricorrente è alla sua prima esperienza detentiva e che la presunta associazione è stata totalmente destrutturata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato in relazione alla questione relativa alle esigenze cautelari, posta con il sesto motivo di ricorso, mentre è inammissibile nel resto.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto prospetta un vizio non deducibile dinanzi al tribunale del riesame.
Va, infatti, ribadito che la questione relativa alla inefficacia della misura cautelar personale correlata all’irregolarità dello svolgimento dell’interrogatorio di garanzi non è deducibile dinanzi al tribunale del riesame in quanto eventuali vizi della procedura che regola la fase successiva all’emissione ed all’applicazione del vincolo cautelare non attengono né alla legittimità del titolo cautelare, né a quella della procedura di riesame (così, da ultimo, Sez. 2, n. 54267 del 12/10/2017, COGNOME, Rv. 271366).
Va, infatti, considerato che l’interrogatorio di garanzia esplica un’efficaci limitata nel procedimento di riesame, dovendosi considerare le dichiarazioni eventualmente rese dall’indagato in tale occasione alla stregua di “elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini” dei quali è necessario l’apprezzamento (cfr. in tal senso: Cass. Sez. 3, n. 26725 del 04/03/2015, Felittì, Rv. 264182); gli eventuali vizi procedurali relativi al compimento di detto atto incidono, invece, sulla perdurante efficacia della misura cautelare e fuoriescono dal perimetro della cognizione affidata al Tribunale per il riesame, circoscritta alla valutazione dell legittimità della misura.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto dietro l’apparente denuncia di una violazione di legge, tende a sollecitare una non consentita e diversa lettura degli elementi indiziari. Rileva il Collegio che l’ordinanza impugnata, con una motivazione persuasiva ed immune dal denunciato vizio giuridico, ha ritenuto la gravità del quadro indiziario a carico del ricorrente basandosi, in primo luogo, sul pregresso accertamento con sentenza irrevocabile dell’esistenza del sodalizio mafioso, e, in secondo luogo, quanto alla partecipazione del ricorrente, sulle convergenti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, sul contenuto dei colloqui in carcere tra il ricorrente e il figlio NOME e sui contatti diretti tra il primo e NOME COGNOME, ritenuto capo della ‘ndrina di Paravati (si vedano, in particolare, le pagine da 2 a 8 dell’ordinanza), la cui portata è stata “attualizzata” alla luce degli elemen indiziari relativi alla vicenda della tentata estorsione di cui al capo 25 (commessa tra il 12/4/2016 e il 20/7/2018), vicenda che sarà esaminata nel successivo paragrafo.
Il terzo motivo di ricorso è generico, versato in fatto e di contenuto confutativo in quanto tende a sollecitare una rilettura degli elementi indiziari alla luce di preteso diritto di prelazione che, contrariamente ai più elementari principi giuridici
sarebbe stato vantato dal ricorrente nei confronti, non della parte venditrice, bensì della parte acquirente.
Rileva il Collegio che l’ordinanza impugnata, con motivazione immune da vizi logico giuridici, con la quale il ricorrente omette il dovuto confronto critico, ha post a fondamento del giudizio di gravità indiziaria relativo alla tentata estorsione i contenuto della conversazione intercettata tra il ricorrente e COGNOME (trascritto all pagine 8 e 9 dell’ordinanza), fornendone una interpretazione non manifestamente illogica e, pertanto, non censurabile in questa Sede (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). In particolare, si è posto l’accento sulle parti del dialogo in cui il ricorrente si lamentava con il capo della ‘ndrina delle «scorrettezze» delle persone offese, affermando di avere loro mandato un messaggio tramite NOME COGNOME. A tale ultimo riguardo, sono interamente versate in fatto e, dunque, non proponibili in questa Sede le argomentazioni difensive volte a confutare la natura di minaccia “silente” di siffatta condotta, sostanzialmente ravvisata dal Tribunale in considerazione del contesto criminale in cui si inserisce la condotta in questione.
5. Il quarto motivo è generico, versato in fatto e, comunque, manifestamente infondato. Il ricorrente, infatti, omette di confrontarsi criticamente con l argomentazioni della sentenza impugnata che hanno ravvisato la gravità del quadro indiziario, basandosi, da un lato, sul colpo di arma da fuoco risultante dalle intercettazioni dall’altro sul contesto (una battuta di caccia) in cui questo si inseriva Prive di pregio sono, peraltro, le argomentazioni difensive in merito alla mancanza di prova dell’appartenenza dell’arma al COGNOME, dovendosi, al riguardo, ribadire che ai fini del concorso in detenzione o porto illegale di armi è sufficiente che ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale di esse e si trovi, pertanto, in una situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi momento, disporne (cfr. Sez. 1, n. 6796 del 22/01/2019 Susino, Rv. 274806).
6. Il quinto motivo è generico e versato in fatto. Va, innanzitutto, premesso che, contrariamente a quanto sostenuto GLYPH dal ricorrente, il Tribunale ha ravvisato l’aggravante in esame con riferimento, non alla finalità agevolatrice, ma all’impiego del metodo mafioso (si veda pagina 10 dell’ordinanza). La sussistenza di detta aggravante è stata, inoltre, ravvisata, sulla base di una argomentazione coerente con il principio di diritto, qui ribadito, in base al quale è configurabile la circosta aggravante del metodo mafioso anche in presenza dell’utilizzo di un messaggio intimidatorio “silente”, cioè privo di una esplicita richiesta, qualora l’associazion
abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (cfr. Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019 Di Caprio Rv. 277182). A tale motivazione il ricorrente, senza alcun confronto critico con il principio di diritto qu ribadito, si limita a contrapporre delle considerazioni di merito completamente estranee alle questioni deducibili in questa Sede.
7. E’, invece, fondato, il sesto motivo di ricorso.
Va, innanzitutto, premesso che sulla questione relativa alla rilevanza del tempo decorso dai fatti contestati sulla concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, nei casi in cui opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sono ravvisabili nella giurisprudenza di legittimità due indirizzi ermeneutici.
Secondo un primo orientamento, cui si è uniformata l’ordinanza impugnata, il c.d. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati), ove non accompagnato da altri elementi fattuali, è inidoneo a superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Si afferma, infatti, che detta presunzione è prevalente, in quanto speciale, rispetto alle disposizioni generali stabilite dall’art. 274 cod. proc. pen. cosicché se i titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., la presunzione in esame fa ritenere sussistente i caratteri di attualità e concretezza del pericolo, salvo prova contraria, non desumibile, tuttavia, dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, ove non accompagnata da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità (cfr. Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766 – 02; Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282865; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004). In particolare, con riferimento alla custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., si è affermato che la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, escludendosi che il cd. “tempo silente” costituisca, da solo, prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a forn la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari (si veda, in tal senso, Sez. 2, n. 38848 del
14/07/2021, Giardino, Rv. 282131; Sez. 2, n. 7837 del 12/02/2021, Manzo, Rv. 280889).
7.1 Altro orientamento, cui il Collegio intende dare continuità, ritiene, invece, che, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di u esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (in tal senso, tra le tante, Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272; Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Pianta, Rv. 274861).
Si è, infatti, condivisibilmente affermato che la presunzione menzionata – in particolare nelle ipotesi in cui sono contestati un reato per sua natura non permanente oppure un reato permanente, come quello associativo, ma oggetto di contestazione “chiusa”, perché corredata dall’indicazione del momento di cessazione della condotta partecipativa – tende ad affievolirsi, quando un considerevole arco temporale separi il momento di consumazione del reato da quello dell’intervento cautelare.
Ad avviso del Collegio la soluzione in esame appare coerente con la stessa struttura del reato associativo e, in particolare, con le connotazioni “dinamiche” proprie della condotta di partecipazione. Va, infatti, considerato che secondo il consolidato principio di diritto, più volte affermato da questa Corte anche a Sezioni Unite, il contributo all’attualità della vita associativa ed alla realizzazione dei fini la stessa si propone non può risolversi in una semplice adesione di tipo ideologico, che sicuramente rileva sul piano psicologico, ma deve, comunque, concretarsi in una condotta partecipativa, anche di rilievo non particolarmente incisivo e, come tale, sostituibile, che sia funzionale alla realizzazione degli scopi illeciti della compagine e dimostrativa di una attualità dell’inserimento in essa dell’indagato e, quindi, della permanenza del delitto associativo non solo sul versante oggettivo della struttura associativa in sé considerata, ma anche su quello soggettivo della personale adesione ad essa del singolo indagato. Si tratta, dunque, più che di un mero “status” di appartenenza, di un ruolo dinamico e funzionale, connotato dallo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore
del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U., n. 36958 del 27/05/2021, Modafferi, Rv. 281889; Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670).
Osserva, al riguardo il Collegio che, a fronte di siffatta connotazione della condotta di partecipazione ad una associazione di stampo mafioso e della incontestata natura permanete di tale reato, il tempo intercorso tra i fatti contestati e l’emissione della misura cautelare, ove sia privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, può rilevare quale fattore sintomatico della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione – dovendosi, peraltro, escludere la necessità che il recesso dell’associato assuma le forme di una dissociazione espressa, coincidente con l’inizio della collaborazione con l’Autorità Giudiziaria.
7.3 Il Tribunale, aderendo acriticamente al primo orientamento ermeneutico, disatteso dal Collegio, pur a fronte dell’eccezione difensiva in merito alla rilevanza del tempo “silente”, si è limitato ad affermare apoditticamente che la presunzione non può considerarsi superata in considerazione del ruolo apicale svolto dal ricorrente e della connotazione “storica” del sodalizio mafioso in esame.
Ebbene, rileva il Collegio che tale motivazione non solo contrasta con il principio di diritto qui condiviso, ma risulta meramente apparente, fondandosi su un dato – il ruolo di vertice del ricorrente – che non emerge in modo inequivoco dal complesso argomentativo dell’ordinanza impugnata e che, anzi, appare difforme dalla stessa ricostruzione del contenuto delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia (si vedano, in particolare, le pagine da 2 a 6 dell’ordinanza) i quali sembrerebbero averlo tutti indicato quale mero affiliato alla RAGIONE_SOCIALEndrangheta.
Ritiene, pertanto, il Collegio che, a fronte del significativo lasso di tempo intercorrente tra tali condotte e la misura custodiale (emessa a distanza di cinque anni), nonché del diverso ruolo che sembrerebbe ricoperto dal ricorrente all’interno del sodalizio, il Tribunale avrebbe dovuto argomentare in ordine alla perdurante pericolosità del COGNOME che, peraltro, non sembrerebbe gravato da altri precedenti penali.
Alla luce di quanto sopra esposto, va disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 25 gennaio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Pre s idente