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Presunzione esigenze cautelari: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11735/2024, ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare per un reato associativo di stampo mafioso. La decisione si fonda sul principio che la presunzione esigenze cautelari, prevista per reati gravi, può essere superata dal significativo lasso di tempo trascorso dai fatti (‘tempo silente’), se non accompagnato da ulteriori elementi che dimostrino l’attuale pericolosità del soggetto. La Corte ha rinviato il caso al Tribunale per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Esigenze Cautelari: Il Tempo Può Superare la Pericolosità?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 11735 del 2024 affronta un tema cruciale nel diritto processuale penale: il valore della presunzione esigenze cautelari di fronte al trascorrere del tempo. In particolare, la Corte si è chiesta se un lungo periodo di ‘silenzio’ criminale possa indebolire la presunzione di pericolosità che giustifica la custodia in carcere per reati di mafia, anche senza una formale dissociazione dell’indagato. La risposta fornita segna un punto importante nell’interpretazione delle norme sulla libertà personale.

Il Caso in Analisi: Un’Ordinanza di Custodia Cautelare Impugnata

I fatti riguardano un soggetto destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati gravi, tra cui l’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.). L’indagato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione contro la decisione del Tribunale del Riesame che aveva confermato la misura detentiva. Tra i vari motivi di ricorso, spiccava quello relativo alla violazione dell’art. 274 c.p.p., concernente le esigenze cautelari.

La difesa sosteneva che il Tribunale avesse errato nel ritenere ancora attuali e concrete le esigenze cautelari, basandosi unicamente sulla presunzione legale prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p., senza considerare adeguatamente alcuni elementi cruciali: il notevole tempo trascorso dai fatti contestati (circa cinque anni), la circostanza che l’indagato fosse alla sua prima esperienza detentiva e il fatto che la presunta associazione criminale fosse stata nel frattempo smantellata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato proprio quest’ultimo motivo, accogliendo il ricorso e annullando l’ordinanza con rinvio al Tribunale per un nuovo esame. Pur rigettando le altre censure di natura procedurale o di merito, i giudici hanno concentrato la loro attenzione sul delicato equilibrio tra la presunzione di pericolosità e la necessità di una sua verifica in concreto, soprattutto quando interviene il fattore tempo.

Le Motivazioni: Il Dibattito sulla Presunzione Esigenze Cautelari

La sentenza si addentra nel cuore di un dibattito giurisprudenziale con due orientamenti contrapposti.

L’Orientamento Rigido: Il ‘Tempo Silente’ non Basta

Un primo indirizzo, seguito dal Tribunale del Riesame nel caso di specie, sostiene che per i reati di eccezionale gravità come l’associazione mafiosa, la presunzione esigenze cautelari di pericolosità sia così forte da poter essere vinta solo da prove concrete di recesso o dissociazione dal sodalizio criminale. Secondo questa visione, il mero ‘tempo silente’ – ossia il decorso di un lungo periodo senza la commissione di nuovi reati – non è sufficiente, da solo, a dimostrare che la pericolosità sia venuta meno.

L’Orientamento Adottato: La Rilevanza del Decorso del Tempo

La Corte di Cassazione, in questa pronuncia, sceglie di dare continuità a un secondo e diverso orientamento, ritenuto più aderente ai principi costituzionali. Secondo questa interpretazione, il tempo trascorso dai fatti contestati, specialmente se si tratta di un arco temporale rilevante e privo di nuove condotte criminali, deve essere espressamente considerato dal giudice. Esso può rientrare tra quegli ‘elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari’ menzionati dallo stesso art. 275, comma 3, c.p.p.

La presunzione, quindi, pur essendo prevista dalla legge, non è assoluta e tende ad affievolirsi con il passare del tempo. Il giudice non può applicarla meccanicamente, ma ha il dovere di motivare in modo approfondito perché, nonostante il tempo trascorso, ritenga che il pericolo di reiterazione del reato sia ancora attuale e concreto. Nel caso specifico, la Corte ha criticato il Tribunale per essersi limitato a un’affermazione apodittica sulla pericolosità, basata su un presunto ‘ruolo apicale’ dell’indagato che, peraltro, non emergeva chiaramente dagli atti.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: le misure cautelari devono rispondere a un pericolo attuale e non possono fondarsi su una pericolosità presunta e cristallizzata nel passato. Il ‘tempo silente’ diventa un fattore che il giudice deve obbligatoriamente ponderare, specialmente in assenza di altri indicatori di pericolosità. L’annullamento con rinvio impone al Tribunale di rivalutare il caso, argomentando specificamente se, a distanza di cinque anni e in un contesto criminale mutato, la detenzione in carcere sia ancora l’unica misura idonea a fronteggiare un pericolo concreto, oppure se la presunzione esigenze cautelari possa ritenersi superata dagli eventi.

Il semplice passare del tempo è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità per i reati di mafia?
Secondo la sentenza, il decorso di un ‘apprezzabile lasso di tempo’ (‘tempo silente’) tra i fatti e la misura cautelare, se non accompagnato da altri elementi fattuali negativi, è un elemento che il giudice deve considerare e può essere idoneo a indebolire e superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, imponendo una motivazione rafforzata sulla loro attualità.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché il Tribunale ha applicato la presunzione di pericolosità in modo acritico e apodittico, senza confrontarsi con l’eccezione difensiva relativa al notevole tempo trascorso dai fatti (cinque anni). Non ha fornito una motivazione adeguata sulla perdurante pericolosità dell’indagato alla luce di tale circostanza.

Cosa dovrà fare ora il Tribunale del Riesame?
Il Tribunale dovrà riesaminare il caso e, applicando il principio di diritto indicato dalla Cassazione, dovrà argomentare specificamente se, nonostante il tempo trascorso, la prima esperienza detentiva dell’indagato e l’assenza di precedenti penali, sussista ancora un pericolo concreto e attuale che giustifichi la custodia cautelare in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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