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Presunzione esigenze cautelari: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro un’ordinanza che confermava la custodia cautelare in carcere per traffico internazionale di stupefacenti. La Corte ha ritenuto che la presunzione esigenze cautelari non fosse stata superata, valorizzando la gravità dei fatti, il ruolo stabile dell’indagato come fornitore e il suo inserimento in una vasta rete criminale, nonostante le argomentazioni della difesa sulla risalenza dei fatti e su una presunta attività lavorativa lecita.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Esigenze Cautelari: La Cassazione sul Rischio di Reiterazione del Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, offre un’importante analisi sui criteri di valutazione della presunzione esigenze cautelari, in particolare nel contesto di gravi reati come il traffico internazionale di stupefacenti. La decisione sottolinea come la prova contraria offerta dalla difesa debba essere specifica e concreta per poter vincere la presunzione di pericolosità sociale stabilita dalla legge per determinate fattispecie di reato.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma, che aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (nello specifico, metanfetamina, c.d. shaboo). L’indagato, arrestato in Grecia tramite mandato di arresto europeo, era ritenuto un fornitore stabile per un’organizzazione criminale operante tra Roma e Prato.

Il Tribunale, pur dichiarando l’incompetenza territoriale a favore del Tribunale di Firenze, aveva mantenuto la misura cautelare ai sensi dell’art. 27 del codice di procedura penale. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la motivazione del Tribunale fosse carente e illogica. In particolare, si contestava la sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziando la risalenza nel tempo dei reati contestati (fino al 2022), lo smantellamento del sodalizio nel 2023 e la dichiarata esistenza di un’attività lavorativa lecita dell’indagato in Grecia.

La Valutazione della Presunzione Esigenze Cautelari

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Il fulcro della decisione risiede nella corretta applicazione dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, che stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari per reati di particolare allarme sociale. Secondo la Suprema Corte, il Tribunale del Riesame ha fornito una motivazione ampia e congrua, non limitandosi a un’applicazione automatica della presunzione.

Gli Ermellini hanno evidenziato come il Tribunale abbia correttamente valorizzato elementi specifici per giustificare il permanere del pericolo di reiterazione del reato, quali:

* L’estrema gravità e la capacità delinquenziale della struttura associativa.
* Il ruolo stabile e cruciale dell’indagato come fornitore dalla Grecia.
* L’inserimento dell’indagato in un tessuto criminale più ampio, dedito al controllo del traffico di metanfetamina su tutto il territorio nazionale, come emerso dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.
* La mancata recisione dei rapporti con altri associati.

L’onere della prova contraria

La difesa aveva tentato di superare la presunzione esigenze cautelari prospettando elementi come la risalenza dei fatti e una presunta attività lavorativa. Tuttavia, la Corte ha ritenuto tali argomentazioni non sufficienti. La semplice affermazione di svolgere un’attività lavorativa, se non adeguatamente documentata, costituisce un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità. Inoltre, la residenza stabile in Grecia, da dove venivano gestite le forniture illecite, è stata considerata un fattore che, anziché diminuire, rafforzava il rischio concreto che l’indagato potesse riprendere i traffici illeciti.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha qualificato il ricorso come ‘aspecifico’, poiché non contestava i gravi indizi di colpevolezza ma si concentrava unicamente sulla valutazione delle esigenze cautelari in modo generico. Il ragionamento del Tribunale del Riesame è stato giudicato esente da vizi logici, in quanto fondato su elementi concreti e non su mere congetture. La valutazione circa l’assenza di un’attività lavorativa lecita è stata considerata un giudizio di fatto, corroborato dalla mancata produzione di prove documentali da parte della difesa. La decisione del Tribunale di confermare la misura, pur dichiarando l’incompetenza, è stata ritenuta corretta ai sensi dell’art. 27 c.p.p., che consente al giudice incompetente di disporre le misure cautelari per ragioni di urgenza.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per vincere la presunzione di pericolosità legata a reati di grave allarme sociale, non sono sufficienti affermazioni generiche o non provate. È necessario fornire elementi concreti e specifici che dimostrino un effettivo e radicale mutamento delle condizioni di vita dell’indagato, tale da escludere il pericolo di reiterazione del reato. La valutazione del giudice di merito, se logicamente motivata sulla base degli atti processuali, è insindacabile in sede di legittimità. Questo caso conferma la rigorosa interpretazione della giurisprudenza in materia di misure cautelari per i reati di criminalità organizzata.

Quando un tribunale può confermare una misura cautelare pur dichiarandosi incompetente?
Secondo l’art. 27 del codice di procedura penale, il giudice che si dichiara incompetente, se sussistono ragioni di urgenza, può disporre o confermare una misura cautelare. L’ordinanza perde efficacia se, entro venti giorni dalla sua emissione, il giudice competente non provvede a sua volta.

Cosa deve dimostrare la difesa per superare la presunzione di esigenze cautelari?
La difesa deve fornire una prova contraria idonea a dimostrare l’insussistenza del pericolo di reiterazione del reato. Non sono sufficienti mere dichiarazioni, come quella di svolgere un’attività lavorativa, ma servono elementi concreti e documentati che attestino un reale cambiamento nelle circostanze di vita dell’indagato e la recisione dei legami con l’ambiente criminale.

Perché il presunto lavoro lecito dell’indagato non è stato ritenuto sufficiente?
Il Tribunale ha ritenuto l’affermazione non sufficiente perché non supportata da alcuna documentazione. Inoltre, la Corte di Cassazione ha specificato che tale valutazione costituisce un giudizio di fatto, non riesaminabile in sede di legittimità, e che era stata correttamente motivata dal giudice del riesame, che ha invece valorizzato la stabile residenza all’estero come base logistica per la ripresa dei traffici illeciti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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