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Presunzione esigenze cautelari: la Cassazione decide

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa. La Corte ha ribadito che la presunzione esigenze cautelari per i reati di mafia non viene meno con il solo trascorrere del tempo, essendo necessaria la prova del recesso dall’associazione criminale. Elementi da altri procedimenti e dichiarazioni di collaboratori sono stati ritenuti validi a dimostrare la continuità del vincolo associativo.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione esigenze cautelari e reati di mafia: la parola alla Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30028 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: la presunzione esigenze cautelari nei confronti di soggetti indagati per associazione di tipo mafioso. La decisione ribadisce la solidità di tale presunzione, sottolineando come il semplice decorso del tempo non sia sufficiente a dimostrare il venir meno della pericolosità sociale dell’indagato, se non accompagnato da prove concrete di un recesso dal sodalizio criminale.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Catanzaro che confermava la misura della custodia cautelare in carcere per un soggetto indagato per partecipazione a un’associazione di ‘ndrangheta. Il provvedimento era stato emesso nonostante lo stesso Tribunale avesse annullato l’ordinanza per due specifici reati di estorsione, ritenendo insussistenti i gravi indizi di colpevolezza per tali episodi.

La difesa dell’indagato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:
1. Mancanza di prove e travisamento: Secondo il ricorrente, gli elementi a carico erano insufficienti a dimostrare una sua ‘rinnovata operatività’ nel clan, specialmente dopo una precedente condanna per lo stesso reato e un periodo di detenzione terminato nel 2018. Gli indizi, basati su intercettazioni e dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, venivano considerati contraddittori e inidonei a provare la persistenza del vincolo associativo.
2. Mancanza di attualità delle esigenze cautelari: La difesa sosteneva che il considerevole lasso di tempo trascorso dai fatti contestati avrebbe dovuto imporre al giudice una motivazione rafforzata sull’attuale sussistenza delle esigenze cautelari, obbligo che, a suo dire, era stato disatteso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni difensive. I giudici di legittimità hanno ritenuto l’ordinanza impugnata immune da vizi logici e giuridici, confermando l’impianto accusatorio che giustificava il mantenimento della misura cautelare.

Le Motivazioni della Sentenza: il valore della presunzione esigenze cautelari

Il cuore della pronuncia risiede nell’analisi della presunzione esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. La Corte ha articolato il suo ragionamento su diversi punti chiave.

La Valutazione degli Indizi e la Continuità del Vincolo Mafioso

La Cassazione ha chiarito che il Tribunale del riesame ha correttamente valutato la gravità indiziaria, non basandosi solo sui singoli episodi estorsivi (per i quali l’ordinanza era stata annullata), ma su un quadro complessivo che includeva:
– La precedente condanna definitiva per partecipazione allo stesso sodalizio, che attesta un inserimento stabile e strutturato nel clan.
– Le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ritenute attendibili.
– Gli accertamenti di un altro procedimento penale, relativi a una tentata estorsione pluriaggravata commessa nel 2019, che dimostravano la prosecuzione dell’attività criminale dell’indagato anche dopo la scarcerazione del 2018.

A tal proposito, la Corte ha ribadito un principio importante: nel giudizio cautelare, a differenza del dibattimento, è legittimo utilizzare elementi probatori provenienti da altri procedimenti, anche non definitivi, per fondare il giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelari.

L’Attualità delle Esigenze e la Stabilità delle Associazioni Mafiose

Il punto più significativo della sentenza riguarda la contestazione sulla mancanza di attualità delle esigenze. La Corte ha affermato che, per le associazioni mafiose ‘storiche’ e caratterizzate da elevata stabilità (come quella in esame), la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari è particolarmente forte.

Di conseguenza, non è il semplice trascorrere del tempo a far venire meno la pericolosità dell’indagato. Al contrario, spetta a quest’ultimo fornire la prova di un suo effettivo recesso dal sodalizio criminale o, in alternativa, dimostrare fatti di portata equivalente che indichino la rescissione del vincolo. Nel caso di specie, l’indagato non ha fornito alcun elemento in tal senso; anzi, gli indizi raccolti puntavano nella direzione opposta, ovvero verso una piena e attuale appartenenza al clan.

Le Conclusioni

La sentenza n. 30028/2024 consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di misure cautelari per reati di mafia. La decisione invia un messaggio chiaro: l’appartenenza a un’associazione mafiosa crea un vincolo di pericolosità che si presume persistente nel tempo. Per vincere questa presunzione, non basta invocare il ‘tempo silente’, ma è necessario un comportamento attivo e inequivocabile che dimostri l’abbandono definitivo del percorso criminale. La pronuncia, inoltre, riafferma la legittimità dell’uso di un ampio spettro di elementi indiziari, inclusi quelli provenienti da altri procedimenti, per valutare la pericolosità sociale dell’indagato nella fase cautelare.

Il semplice trascorrere del tempo è sufficiente a far decadere le esigenze cautelari per un reato di associazione mafiosa?
No. Secondo la sentenza, per le associazioni mafiose storiche e stabili, vige una presunzione di persistenza della pericolosità. Il solo decorso del tempo non è sufficiente a superare tale presunzione, ma è necessaria la prova di un recesso effettivo dell’indagato dal sodalizio criminale o di fatti equivalenti.

È possibile utilizzare elementi di prova provenienti da un altro procedimento penale per giustificare una misura cautelare?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che, nella fase del giudizio cautelare, è legittimo fare riferimento a elementi risultanti da altri procedimenti a carico dell’indagato, anche se non ancora definitivi, per valutare la sussistenza delle esigenze cautelari.

Cosa deve dimostrare un indagato per ottenere la revoca di una misura cautelare basata sulla presunzione di pericolosità per reati di mafia?
L’indagato deve offrire elementi concreti che dimostrino la rescissione del vincolo associativo. Questo significa fornire la prova di un comportamento attivo che segnali in modo inequivocabile l’abbandono del sodalizio criminale. La semplice assenza di nuove condotte criminose per un certo periodo non è, di per sé, sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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