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Presunzione esigenze cautelari: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato per reati di droga, il quale sosteneva che il tempo trascorso dai fatti avesse fatto venir meno l’attualità del pericolo di reiterazione. La Corte ha ribadito che la presunzione esigenze cautelari, prevista per reati di particolare gravità, impone la custodia in carcere a meno che l’indagato non fornisca prove concrete della sua insussistenza. Il solo decorso del tempo non è stato ritenuto sufficiente a vincere tale presunzione, data la gravità dei fatti e il coinvolgimento dell’indagato in un contesto criminale di alto livello.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione esigenze cautelari: la Cassazione e il fattore tempo nei reati di droga

Quando si parla di reati di particolare gravità, come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, il nostro ordinamento prevede meccanismi rigorosi per la gestione delle misure cautelari. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 12353/2024, offre un chiarimento fondamentale sulla cosiddetta presunzione esigenze cautelari e sul peso che il tempo trascorso dai fatti ha nel valutarne l’attualità. Questo principio stabilisce che, per certi reati, la necessità di una misura restrittiva è presunta dalla legge, invertendo l’onere della prova.

I fatti del caso: custodia in carcere e il ricorso al riesame

Il caso in esame riguarda un individuo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per reati legati al traffico di droga, specificamente quelli previsti dagli artt. 73 e 74 del d.P.R. 309/1990. La difesa aveva presentato ricorso al Tribunale del Riesame, basando la propria argomentazione su un unico punto: la mancanza di attualità del pericolo di reiterazione del reato. Secondo il ricorrente, il considerevole tempo trascorso tra la commissione dei fatti contestati (risalenti al 2021) e l’esecuzione della misura (avvenuta nel 2023) avrebbe dovuto indebolire, se non annullare, la necessità della misura cautelare più afflittiva.

La questione giuridica: il valore della presunzione esigenze cautelari

Il cuore della controversia legale risiede nell’interpretazione dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma introduce una duplice presunzione ‘relativa’ (cioè che ammette prova contraria) per i soggetti indiziati di reati di particolare allarme sociale, tra cui l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La presunzione riguarda sia la sussistenza stessa di esigenze cautelari, sia l’adeguatezza della custodia in carcere come unica misura idonea. Il ricorrente sosteneva che il Tribunale avesse applicato questa presunzione in modo astratto e generico, senza considerare l’elemento concreto del tempo trascorso, che avrebbe imposto una valutazione più specifica dell’attualità del pericolo.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. I giudici di legittimità hanno ribadito che la presunzione stabilita dall’art. 275, comma 3, è un principio cardine del sistema cautelare per i reati più gravi. Essa allevia l’onere motivazionale del giudice, il quale non è tenuto a dimostrare in positivo l’esistenza delle esigenze cautelari, ma solo a dare atto dell’assenza di elementi concreti, forniti dalla difesa, in grado di vincere tale presunzione.

L’onere della prova a carico dell’indagato e la valutazione del tempo trascorso

La Corte chiarisce che l’obbligo di motivazione del giudice diventa più stringente solo quando l’indagato o la sua difesa allegano elementi specifici che dimostrino l’insussistenza delle esigenze cautelari o la possibilità di soddisfarle con misure meno gravi. In questo caso, il solo decorso del tempo non è stato ritenuto un elemento sufficiente a superare la presunzione. Il Tribunale, infatti, aveva correttamente bilanciato il tempo trascorso con altri elementi di fatto, quali le modalità della condotta criminosa, il coinvolgimento dell’indagato in un contesto criminale di alto livello, la professionalità dimostrata e la disponibilità offerta al sodalizio criminale. Questi fattori sono stati ritenuti preponderanti e indicativi di un’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale. Si è sottolineato che la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è una norma speciale che prevale sulla disciplina generale dell’art. 274 cod. proc. pen. e include in sé i caratteri di attualità e concretezza del pericolo, salvo prova contraria. Il Tribunale del Riesame, nel caso di specie, non si è limitato a un’applicazione automatica della presunzione, ma ha fornito elementi fattuali specifici a conferma della sua tenuta. Ha evidenziato come la condotta dell’indagato si inserisse in un contesto criminale strutturato e di notevole spessore, caratterizzato da modalità operative che denotavano professionalità e piena adesione al programma criminoso. Questi elementi, secondo la Corte, sono stati implicitamente ma correttamente ritenuti di pregnanza tale da neutralizzare l’argomento basato sul solo lasso temporale, confermando così la logicità e la congruità della motivazione dell’ordinanza impugnata.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: nei procedimenti per reati di particolare gravità, la presunzione legale di pericolosità sociale ha un peso significativo. Per l’indagato, non è sufficiente appellarsi al tempo trascorso per ottenere un’attenuazione della misura cautelare. È necessario, invece, fornire elementi di fatto concreti e specifici (come un radicale cambiamento di vita, un’attività lavorativa stabile e lecita, l’assenza di contatti con ambienti criminali) che possano convincere il giudice dell’effettivo venir meno delle esigenze cautelari. La pronuncia serve da monito: la valutazione del pericolo di reiterazione del reato è un giudizio complesso che non si esaurisce in un mero calcolo cronologico, ma richiede un’analisi ponderata di tutti gli elementi a disposizione del giudice.

Quando si applica la presunzione di esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.?
Si applica quando un soggetto è raggiunto da gravi indizi di colpevolezza per uno dei delitti specificamente elencati nella norma, tra cui l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/1990).

Il tempo trascorso dai fatti è sufficiente, da solo, a superare la presunzione di esigenze cautelari?
No, secondo la sentenza, il solo decorso del tempo non è sufficiente a vincere la presunzione, specialmente se controbilanciato da elementi concreti che dimostrano la gravità della condotta, la professionalità criminale e l’inserimento dell’indagato in un contesto delinquenziale strutturato.

Chi deve provare l’insussistenza delle esigenze cautelari nei reati gravi come quello in esame?
L’onere di fornire elementi idonei a dimostrare l’insussistenza delle esigenze cautelari o l’adeguatezza di una misura meno afflittiva ricade sull’indagato o sulla sua difesa. In assenza di tali elementi, la presunzione legale rimane valida.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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