Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9922 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9922 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nata a Palermo il 18/12/1979, avverso l’ordinanza dell’11/10/2024 del Tribunale di Palermo; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 11 ottobre 2024, depositata il 25 novembre 2024, il Tribunale di Palermo ha respinto l’appello cautelare proposto dalla ricorrente avverso l’ordinanza del G.U.P. del Tribunale di Palermo del 10/09/2024, con la quale Ł stata rigettata l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME propone ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., lamentando violazione ed erronea applicazione degli artt. 274 e 275, comma 3, cod. proc. pen.
Deduce la ricorrente che l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e, ai fini della prova contraria, assume rilevanza il fattore temporale ove sia di notevole consistenza; tema sul quale il Tribunale territoriale, lamenta la ricorrente, non offre nessuna motivazione.
Deduce ancora la difesa che anche in ordine alla attualità, concretezza e intensità del pericolo che l’imputato commetta altri delitti, ai sensi dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’ordinanza non offre alcuna motivazione.
Deduce, infine, la difesa che, essendo la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. relativa, superabile quando siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, l’ordinanza impugnata ha ignorato l’incensuratezza
della ricorrente, avente importanti refluenze anche in materia di attualità dell’esigenza cautelare, considerando peraltro che la misura Ł stata applicata ad oltre due anni dalla commissione dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le doglianze mosse con il ricorso, congiuntamente esaminate, sono meramente reiterative di censure già disattese con congrue motivazioni dai giudici di merito e, comunque, manifestamente infondate.
Diversamente da quanto rappresentato in ricorso, il Tribunale ha, innanzitutto, dato atto della inammissibilità dei motivi sulla risalente datazione dei fatti in quanto mera reiterazione di circostanze già dedotte e vagliate in sede di riesame e di precedente appello, precisando, inoltre, in relazione al decorso del tempo, che l’attenuazione od esclusione delle esigenze cautelari non possa essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura.
L’affermazione Ł corretta ed in linea con gli orientamenti affermati dalla piø recente giurisprudenza di legittimità: se, infatti, il c.d. “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza che dispone la misura cautelare, analoga valutazione non Ł richiesta dall’art. 299 cod. proc. pen. ai fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico tempo che assume rilievo Ł quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi, essendo qualificabile, in presenza di ulteriori elementi, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590; Sez. 2, n. 12807 del 19/02/2020, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278999).
Deve anche essere ricordato sul punto che la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., Ł prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen. E ciò trova conferma nella disposizione dell’art. 299, comma 2, cod. proc. pen., che prevede che la misura sia sostituita con altra meno grave o applicata con modalità meno gravose quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura non appaia piø proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, con l’espressa eccezione dei reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.: in relazione a tali reati, dunque, continua a valere anche in sede di valutazione circa la sostituzione della misura – il principio fissato da tale ultima disposizione, secondo cui Ł applicata la custodia cautelare, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risultino risulti che non sono sussistenti esigenze cautelari e che le stesse possono essere soddisfatte con misure meno afflittive (Sez. 3, n. 46241 del 20/09/2022, V., Rv. 283835).
Nel caso in esame, come condivisibilmente affermato dai giudici di merito, risulta di tutta evidenza come non siano stati dedotti elementi concreti da cui desumere un mutamento del complessivo quadro relativo alle esigenze cautelari.
Il giudizio di primo grado si Ł concluso con sentenza di condanna a pena severa (tredici anni e quattro mesi di reclusione), confermando le gravi condotte imputate alla ricorrente, il cui ruolo, qualificato come partecipe dell’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 finalizzata al traffico di sostanza stupefacente del tipo cocaina, oltre che di partecipe dei reati-fine, Ł stato quello di curare i rapporti con i fornitori calabresi di ingenti partite di cocaina, occupandosi del pagamento e della ricezione della droga nel territorio palermitano, mettendo a disposizione l’abitazione per la custodia dello stupefacente, nonchØ utilizzando le proprie autovetture per trasportare la droga
ricevuta in consegna dai corrieri.
A fronte della conclusione del primo grado del giudizio di merito, i giudici dell’appello cautelare affermano che non emergono elementi che consentano di ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari, sottolineando che, in materia di reati associativi finalizzati al traffico di sostanze stupefacenti, la prognosi di pericolosità ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza.
L’ordinanza impugnata ritiene, quindi, di dover reiterare il giudizio di esclusiva adeguatezza della misura applicata, che Ł anche proporzionata alla pena irrogata, tenuto conto dell’inserimento della ricorrente in un contesto professionalmente dedito al traffico di sostanze stupefacenti e che misure meno afflittive, a carattere obbligatorio, non erano idonee a soddisfare l’esigenza di limitare in maniera significativa i movimenti e le opportunità di relazione dell’imputata.
3. Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomentazioni giuridicamente corrette e prive di cedimenti logici o manifeste contraddizioni, avendo il Tribunale dato conto, sulla base della gravità dei fatti, del contesto nel quale sono avvenuti, della personalità dei soggetti coinvolti e di altri elementi ritenuti significativi del pericolo di reiterazione e della inadeguatezza di misure alternative attraverso un percorso argomentativo del tutto lineare e conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
3.1 Invero, per quanto attiene alla verifica dell’esistenza di elementi indicativi di un concreto pericolo di reiterazione del reato, si Ł avuto modo di rilevare, a seguito degli interventi modificativi apportati dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 (l’art. 2, lett. a) della legge suddetta ha disposto che all’art. 274. lett. c) cod. proc. pen. dopo la parola «concreto» siano inserite le parole «e attuale»), che (Sez. 3, n. 37087 del 19/5/2015, Marino, Rv. 264688), l’attuale conformazione della norma codicistica richiede ora che il pericolo che l’indagato commetta altri delitti sia non solo concreto, ma anche attuale, con la conseguenza che non Ł piø sufficiente ritenere – in termini di certezza o di alta probabilità – che questi torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma Ł anche necessario, anzitutto, prevedere – negli stessi termini di certezza o di alta probabilità – che gli si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti (v. anche, Sez. 6, n. 21350 del 11/5/2016, COGNOME, Rv. 266958; Sez. 6, n. 24476 del 4/5/2016, COGNOME, Rv. 266999).
Si Ł però ulteriormente precisato che tale requisito non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare Ł chiamata a realizzare (Sez. 2 n. 5054 del 24/11/2020, dep. 2021, Barletta, Rv. 280566; Sez. 1 n. 14840 del 22/1/2020, COGNOME, Rv. 279122; Sez. 3, n. 34154 del 24/4/2018, COGNOME, Rv. 273674; Sez. 5, n. 33004 del 3/5/2017, COGNOME, Rv. 271216; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269684), dovendosi quindi escludere in presenza di una condotta del tutto sporadica ed occasionale e dovendo, invece, essere affermato qualora – all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure – appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati, senza la previsione di specifiche occasioni di recidivanza, con la conseguenza che il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta (Sez. 2, n. 2474 del 08/11/2024, dep. 2025, Greco; Sez. 3, n. 47644 del 05/12/2024, Sitzia; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991; Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242).
Si Ł peraltro specificato, in alcuni casi, che il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto espressamente dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 nel testo dell’art. 274 lett. c) cod.
proc. pen., costituiva già prima della entrata in vigore della legge in questione un presupposto implicito per l’adozione della misura cautelare, in quanto necessariamente insito in quello della concretezza del pericolo (Sez. 6, n. 24779 del 10/5/2016, COGNOME, Rv. 267830; Sez. 6, n. 9894 del 16/2/2016, C., Rv. 266421; Sez. 3, n. 12477 del 18/12/2015, dep. 2016, Mondello, Rv. 266485).
Il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, dunque, presuppone la riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati che può però essere apprezzata anche sulla base delle modalità della condotta concretamente tenuta, della personalità dell’imputata, del contesto entro il quale i fatti si sono svolti, nonchØ su altri elementi obiettivi che consentano la formulazione del giudizio prognostico richiesto, che resta necessariamente tale.
Nel caso in esame, il Tribunale cautelare ha adeguatamente illustrato le ragioni per le quali era ancora sussistente il pericolo che l’imputata reiterasse la commissione di reati in materia di traffico di sostanze stupefacenti, in ragione della penetrante capacità di controllo del territorio palesata e dell’infungibile ruolo da costei svolto, insieme al coniuge, di curare – anche attraverso telefonici criptati – i rapporti con i fornitori calabresi di sostanza stupefacente.
L’ordinanza impugnata, avendo pertanto ancorato a specifici elementi concreti il periculum libertatis, risulta, sul punto, del tutto immune da censure.
3.2 Anche sotto il profilo della scelta e della valutazione di adeguatezza della misura custodiale, il Collegio non ravvisa fondatezza nei rilievi censori mossi dalla ricorrente, avendo il Tribunale ritenuto che gli arresti domiciliari erano inidonei a contenere l’elevato rischio di recidiva, anche in concreto ravvisabile, tenuto conto dell’inserimento della ricorrente in un ambiente professionalmente dedito al traffico di sostanze stupefacenti del tipo pesante e della conseguente esigenza di limitare in maniera significativa i movimenti e le opportunità di relazione dell’imputata e che, in ragione delle modalità del fatto, una diversa e meno grave misura cautelare non fosse idonea alla recisione dei rapporti con ambienti criminali.
Una motivazione, quindi, ampiamente esistente, esauriente e comunque sicuramente tale da escluderne quella assenza o apparenza di esistenza che sola concreta il vizio di violazione di legge eccepibile in questa sede.
Deve, infatti, ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione Ł ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 6, n. 2705 del 12/09/2024, dep. 2025, COGNOME; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178 – 01).
Anche sul punto l’ordinanza impugnata si Ł espressa del tutto adeguatamente e conformemente alla legge.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse della ricorrente deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, l. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
Alla cancelleria spettano gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 05/03/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME