Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27263 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27263 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a SANT’AGATA DE’ GOTI il 10/06/1962
avverso l’ordinanza del 27/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si riporta alla memoria in atti e conclude per la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’appello proposto avverso l’ ordinanza del Tribunale di Napoli del 19.12.2024, con la quale veniva rigettata la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, applicata nei confronti di COGNOME NOME, per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, di cui al capo 1, sodalizio camorristico clan COGNOME, operante nel territorio beneventano e avellinese, soprattutto nella Valle Caudina, sin dagli inizi degli anni ’90, storicamente articolato in gruppi federati, con un referente preposto a ciascuna delle aree territoriali interessate dall’attività criminale del sodalizio , con il ruolo di referente o, comunque, organizzatore dell’articolazione operante nel territorio di Sant’Agata dei Goti e comuni limitrofi (quali Dugenta, Durazzano e Limatola), unitamente a
NOME NOME, e per due delitti di estorsione, commessi nel 2018, in danno di due imprese edili (RAGIONE_SOCIALE e impresa COGNOME NOME), aggravate ex art. 416 bis.1 cod. pen., rispettivamente ascritti ai capi, 2 e 3.
Contro l’anzidetta ordinanza, l ‘indagato propone ricorso a mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME affidato ad un unico motivo, che lamenta violazione di legge e vizio di difetto assoluto di motivazione, in relazione agli art.274, comma 1, lett. c), 275 e 125, comma 3, cod. proc. pen, in punto di esigenze cautelari.
Si duole della assenza di congrua motivazione circa l’esistenza di un pericolo concreto ed attuale di reiterazione dei reati, in ossequio ai criteri delineati dalla giurisprudenza di legittimità, tenuto conto delle argomentazioni difensive contenute nell’atto di appello cautelare , l’ inadeguatezza del domicilio alternativo offerto e dell’ulteriore presidio del braccialetto elettronico invocato. Quanto alla ritenuta inadeguatezza del decorso del c.d. tempo silente, si deduce la contraddittorietà della ordinanza impugnata, che non avrebbe valorizzato ulteriori elementi di segno positivo, che lascino intravedere una rescissione del vincolo, menzionati da autorevole pronuncia di questa Corte, mentre il Tribunale ha fatto riferimento a condotte del prevenuto e a precedenti penali risalenti nel tempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato e va rigettato.
In primo luogo, va ribadita in tema di applicazione di misure cautelari personali, la presunzione relativa, prevista dagli artt. 275, comma 3, e 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere per determinate fattispecie incriminatrici, quali il reato di cui all’art.416 bis cod. pen. , contestato al capo 1, per il quale opera la regola di esperienza della tendenziale stabilità del sodalizio e dell’adesione ad esso del partecipe, elaborata con riferimento alle organizzazioni di stampo camorristico.
Costituisce un principio consolidato, l’affermazione secondo cui in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo del soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura – caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine – accetta il rischio di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che, da un lato,
attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e, dall’altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento (Sez. 2, n. 8461 del 24/1/2017, De Notaris, Rv. 269121).
La tendenziale stabilità dell’affiliazione mafiosa, infatti, comporta che la permanenza della partecipazione al sodalizio criminoso viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale, ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato (Sez. 1, n.46103 del 07/10/2014, COGNOME, Rv. 261272; Sez.2, n.17100 del 22/3/2011, COGNOME, Rv. 250021).
Applicando tali principi al caso di specie, ne consegue che non costituisce di per sé un elemento sintomatico del recesso dall’associazione il fatto che, dopo una certa data, non siano state monitorate attività illecite. Una volta dimostrata l’adesione al sodalizio, infatti, occorre accertare un fatto – specifico e concreto dal quale desumere la rescissione del legame, quale può essere, a titolo meramente esemplificativo, un lungo periodo di detenzione senza che siano stati mantenuti i contatti, una contrapposizione interna all’associazione cui sia conseguito l’allontanamento di uno dei sodali, nonché fatti oggettivi quali il trasferimento in luogo distanze da quello in cui opera la consorteria, sempre che non vi siano elementi dai quali desumere la continuità della partecipazione. Quanto detto non comporta affatto che vi sia una sorta di inversione dell’onere probatorio, per effetto della quale spetterebbe all’imputato dimostrare il fatto negativo di non far più parte dell’associazione, essendo a quest’ultimo richiesto esclusivamente un onere di allegazione di fatti circostanziati che, sottoposti al necessario controllo secondo le ordinarie regole del riparto probatorio, non consentano di ritenere, neppure secondo la regola del ragionevole dubbio, l’effettiva cessazione dell’adesione al sodalizio Sez. 6, Sentenza n. 1162 del 14/10/2021, dep. 2022, Rv. 282661 -02).
Nella specie, il Tribunale ha, altresì, fondato il giudizio prognostico sul contesto criminale di consumazione dei fatti, sul legame fiduciario con i vertici, sulla rilevanza del ruolo rivestito dall’indagato nel sodalizio, sulla gravità delle condotte dallo stesso poste in essere, sulla possibilità di contare su un’ampia rete di relazioni criminali, nonché sull’allarmante quadro cautelare . A fronte di tali evidenze processuali, con motivazione immune da vizi, il Tribunale ha ritenuto che la distanza temporale tra i fatti contestati e l’ applicazione della misura custodiale non possa essere considerato elemento dirimente per vincere la presunzione relativa, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., giacché è certa o, comunque, altamente probabile, considerata la caratura criminale estrinsecata da COGNOME
l’assenza di elementi idonei a provare l’effettivo ed irreversibile allontanamento dall’ambiente criminale, in cui sono maturate le vicende illecite, e dai fattori causali dei suoi illeciti comportamenti, la riproposizione di situazioni od occasioni analoghe a quelle che hanno dato causa al delitto per cui si procede, in costanza delle quali è molto prevedibile che l’indagato, non sottoposto a vincolo coercitivo, finisca per reiterarne il compimento.
Al riguardo, è corretto il rifermento nella motivazione, in punto di ritenuta persistenza delle esigenze cautelari, alla partecipazione ad una associazione mafiosa storica, di riconosciuta stabilità e radicamento, da molti anni, sul territorio, mai cessato, nonostante le condanne e gli arresti dei suoi sodali, anche in posizione apicale, che non hanno impedito al sodalizio di continuare ad operare nell’attualità, e che ha innestato chiare e consolidate modalità mafiose nel perseguimento dei fini sottesi al programma criminoso, in assenza di altre circostanze che possano indurre a ritenere che NOME COGNOME abbia effettivamente reciso i forti e consolidati legami, di natura familiare, con il contesto mafioso, emergendo, invece, una partecipazione attiva ad alcune dinamiche del sodalizio per la conservazione della consorteria, al cui interno svolge un ruolo di primo piano.
2.1 Quanto al c.d. “tempo silente”, trascorso tra gli ultimi fatti e l ‘ esecuzione della misura, deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza che dispone la misura cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 cod. 2 proc. pen., ai fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico tempo, che assume rilievo, è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi, essendo qualificabile, in presenza di ulteriori elementi, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12807 del 19/02/2020, Rv. 278999 -01).
Al riguardo, il Collegio osserva che la giurisprudenza maggioritaria esclude che tale elemento possa da solo rappresentare prova della rescissione dei legami con il sodalizio criminoso, soprattutto nei casi di associazioni mafiose tradizionali come la camorra in cui, in base alle massime di esperienza di cui si dispone, risulta oltremodo difficile recidere volontariamente e definitivamente il vincolo associativo senza “contraccolpi”. La Corte, perciò, in più occasioni ha affermato che: “in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile
allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari” (così Sez.2, n.7837 del 12/02/2021, Rv.280889-01; Sez. 5, n.16434 del 21/02/2024, Rv. 286267-01; Sez.2, n.6592 del 25/01/2022, Rv. 282766-02; Sez.2, n.38848 del 14/07/2021, Rv. 282131-01; Sez. 5, n.35848 del 11/06/2018, Rv. 273631-01).
Infatti, il diverso orientamento che assume che, in caso di tempo c.d. silente, il giudice avrebbe un onere di motivazione sulla perdurante attualità delle esigenze cautelari anche ove non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, Rv. 281273; Sez. 6, n. 6 16867 del 20/03/2018, Rv. 272919), poiché il fattore tempo, se è rilevante l’arco temporale, assurge a elemento distonico rispetto alla presunzione di perdurante pericolosità dell’indagato, destinato ad essere potenzialmente idoneo a vincere la suddetta presunzione (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Rv. 285272; Sez. 6, n. 2112 del 2024) o altra situazione idonea a denotare un recesso dello stesso dall’associazione, si fonda su inestricabili contraddizioni. Sotto un primo profilo, l’assunto, che talvolta si rinviene nei richiamati precedenti, per il quale quella affermata costituirebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata del dato normativo (v., da ultimo, Sez. 6 n. 2112 del 2024), è distonico rispetto ai principi costantemente affermati dalla Corte Costituzionale nel senso di ritenere che le peculiari caratteristiche del vincolo associativo mafioso impediscano di assumere che misure meno afflittive della custodia cautelare in carcere siano idonee a neutralizzare il periculum libertatis . Di qui, a fronte del chiaro tenore letterale della disposizione, l’individuazione di una sorta di “eccezione” alla presunzione nell’ipotesi di cd. tempo silente finisce con il creare una sorta di norma nuova, non ricompresa nell’ambito dei possibili significanti sul piano letterale della disposizione oggetto di interpretazione (cfr., pur con riferimento all’interpretazione autentica, Corte Cost. sent. n. 4 del 2024, n. 61 del 2022, n. 133 del 2020). A tale risultato, in un sistema nel quale è accentrato nella Corte Costituzionale il sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi e gli atti aventi forza di legge, non si può pervenire, laddove la Consulta abbia più volte avallato un’interpretazione rigorosa di una disposizione normativa mediante un’esegesi che assume di essere costituzionalmente orientata ma solo, in ipotesi, chiedendo alla stessa Corte Costituzionale una pronuncia additiva sull’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., con riferimento alla ricomprensione sotto l’egida della norma di situazioni nelle quali sia trascorso un lungo lasso temporale c.d. silente.
In altre parole, si tratta di motivare adeguatamente sull’esistenza delle esigenze cautelari laddove siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti delle ragioni per escluderle. Nel caso di specie, con motivazione congrua ed immune da vizi, richiamando sia i fatti in contestazione sia la personalità dell’imputato, il Tribunale ha pertanto ritenuto di non potere attribuire al c.d. tempo silente né al periodo di custodia sofferta una portata dimostrativa del definitivo distacco del COGNOME dal sodalizio camorristico in parola. Al riguardo, l’ordinanza impugnata ha fornito, una motivazione congrua e specifica, evidenziando che dagli atti investigativi era emerso che il ricorrente ricoprisse nel clan un ruolo tutt’altro che marginale e circoscritto a due episodi estorsivi, in quanto referente d i un’articolazione del clan COGNOME e, oltre a dirigere il gruppo federato, operante nel territorio di Sant’Agata dei Goti, non solo avesse rapporti molto stretti con i vertici del sodalizio camorristico (incontrandosi con le figure apicali del clan e concordando il compimento di azioni delittuose nell’interesse di tutta l’organizzazione ), ma anche partecipasse in prima persona ai reati attraverso i quali il sodalizio affermava la propria forza sul territorio, circostanze che hanno correttamente rafforzato il convincimento che il decorso del tempo e il periodo di detenzione sofferto non siano stati sufficienti a dimostrare un suo definitivo allontanamento dal sodalizio del quale ha dato prova di condividere pienamente le logiche camorristiche e nel quale era attivamente inserito.
Quale ulteriore indice della permanenza del vincolo associativo, il Tribunale sottolinea che , quanto al reato di cui all’art.416 bis cod. pen., si è in presenza di contestazione ‘ aperta ‘, con condotta perdurante alla data di emissione della misura cautelare, in cui l’originaria contestazione si estende automaticamente e progressivamente, per l’intrinseca natura di tale reato , che lo rende idoneo a durare nel tempo, all’intero sviluppo della fattispecie criminosa, non è smentita dai provvedimenti cautelari in cui non si dà conto di alcuna ipotetica pregressa cessazione della condotta partecipativa.
2.2 Con riferimento agli elementi dedotti dalla difesa, quali la sentenza di assoluzione dell’aprile 2023, relativa a fatti risalenti al 1999, e il trasferimento all’estero del ricorrente (in Belgio dall’estate 2018, in Svizzera dalla seconda metà del 2022), dove avrebbe svolto attività lavorativa, il Tribunale ha sottolineato che trattasi di circostanze entrambe valutate da questa Corte (sentenza n.10644/2024 del 18/02/2024), che ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto avverso il provvedimento del riesame, e ritenuto tali circostanze inidonee a supportare l’asserita rescissione dei rapporti con il sodalizi o, e ad ostacolare la fattiva partecipazione dell’indagato ai delitti -fine, nonostante l’allontanamento geografico dal territorio, per avere il Bisesto mostrato indifferenza a tale esperienza,
riprendendo puntualmente la medesima attività illecita ed il medesimo rango in seno al sodalizio, rafforzato dalla custodia cautelare patita.
Con motivazione corretta ed immune da vizi e censure, il Tribunale ha valutato e ritenuto inidonei a superare la presunzione relativa di pericolosità, anche gli ulteriori elementi dedotti dalla difesa, ossia il decorso di un ulteriore lasso temporale di poco più di un anno dall’inizio della custodia in carcere e il provvedimento di sospensione per complessità dei termini di custodia, a norma dell’art.304 cod. proc. pen.
Quanto al primo, il Tribunale ha richiamato il certificato penale, da cui risultano diverse condanne per reati di grave allarme sociale, quali estorsione, associazione a delinquere e vari reati fine (rapina, porto e detenzione di armi comuni da sparo) e una condanna a 27 anni per omicidio continuato in concorso, rapina, lesioni personali e detenzione e porto di armi e munizioni, nonché la posizione giuridica del ricorrente (due decreti di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno, uno dei quali del 2024). Corretta ed immune da vizi la valutazione del Tribunale in termini di allarmante trasgressività e di assoluta impermeabilità a qualsiasi effetto deterrente o rieducativo di precedenti esperienze giudiziarie e detentive, anche lunghe, nonché ha ritenuto sussistere un’indubbia propensione al crimine dal parte del ricorrente, e che, pertanto, il periodo di detenzione sofferto non ha avuto efficacia dissuasiva o riabilitativa.
Quanto alla sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, il Tribunale, correttamente, l’ha ritenuta irrilevante in quanto non incide sull’attualità delle esigenze cautelari , che in un certo senso presuppone, in quanto si fonda sulla particolare complessità del giudizio, non definibile entro il termine di fase.
2.3 Parimenti, sotto il profilo del l’adeguatezza del regime cautelare disposto, l’ordinanza è immune da censure , adottando una motivazione non suscettibile di censura in questa sede, che richiama la presunzione assoluta di adeguatezza della misura di massimo rigore, di cui all’art.275 cod. proc. pen., che, per il reato di cui all’art.416 bis cod. pen. , non ammette prova contraria, superabile solo nei casi di cui ai commi 4 e 4 bis dell’art.275 cod. pen. , condizioni, nella specie, non richiamate nella richiesta di sostituzione della misura cautelare custodiale con quella degli arresti domiciliari.
Al riguardo, il Tribunale ha, comunque, fondato il diniego di sostituzione della misura applicata richiamando l’ allarmante personalità del Bisesto, delineata alla luce dei gravi fatti per cui si procede e del suo curriculum criminale, in assenza di elementi univocamente indicativi di un eventuale abbandono di logiche criminali, evidentemente radicate, e di un totale cambiamento delle scelte sue di vita, a cui
non hanno portato neanche i lunghi periodi di carcerazione subiti in passato. Ulteriore elemento di valutazione è il comportamento per nulla collaborativo dell’i mputato, il concreto ed attuale pericolo di recidiva, e la necessità della misura di massimo rigore in atto, e la inidoneità di altre forme di coercizione, quali gli arresti domiciliari in Campobasso, anche con braccialetto elettronico, rimesse alla capacità di autodeterminazione del destinatario, che non consentono di monitorare le altre prescrizioni che di consueto accedono alla misura, ma non ostative ad eventuali trasgressioni.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’ art.94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 3/06/2025.