Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26162 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26162 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Baronissi il 11/10/1975
avverso la ordinanza del 07/04/2025 del Tribunale di Salerno udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
ricorso trattato in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1 -bis , cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 07/04/2025 il Tribunale di Salerno, in funzione di riesame, confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno del 04/03/2025, che aveva applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere.
L’indagato , a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’errata valutazione degli atti processuali tra loro incompatibili, nonché illogicità della motivazione. Osserva che il Tribunale del riesame non ha tenuto conto delle risultanze delle indagini difensive, ritualmente depositate, da cui emergerebbe che la causale dell’incontro tra
l’odierno ricorrente e NOME COGNOME non fu la richiesta estorsiva in contestazione, ma il tentativo di intercedere per la dilazione di un debito per l’acquisto di sostanza stupefacente maturato da un amico dell’indagato nei confronti del COGNOME e dei di lui figli; che tale insormontabile incongruenza tra gli atti del presente procedimento, che non sono stati posti a confronto tra loro, inficia la ritenuta sussistenza della gravità indiziaria.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce l’illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 416 -bis .1 cod. pen. Rileva che l’ordinanza impugnata è illogica e contraddittoria, atteso che, dalla stessa narrazione del De Cesare, non emergono quelle caratteristiche della violenza o della minaccia idonee a suscitare un particolare allarme ed una coazione a cui non è possibile resistere; che, invero, la minaccia sarebbe stata portata a bordo di un motorino con l’uso di una improbabile mazza, peraltro, nei confronti di un soggetto notoriamente dedito allo spaccio di droga ed all’usura; che, inoltre, non risulta dagli atti che il Genovese abbia partecipato ad una consorteria mafiosa, di talchè è del tutto illogico che la persona offesa abbia percepito l’esistenza di tale gruppo criminale.
2.3. Con il terz o motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 274 cod. proc. pen. Evidenzia che il Tribunale del riesame, in punto di attualità delle esigenze cautelari, non ha considerato il lungo tempo trascorso dai fatti e che nemmeno può condividersi l’apodittica affermazione per cui il pericolo di reiterazione di analoghe condotte criminose debba desumersi dai precedenti penali da cui l’odierno ricorrente risulta gravato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo non è consentito, perché reitera pedissequamente le doglianze proposte con i motivi di riesame ed affrontate in termini precisi e concludenti dal Tribunale del riesame, che ha valutato gli elementi addotti dalla difesa ed ha dato atto dei motivi per cui li ha disattesi, avendo ritenuto l’inconciliabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME con la ricostruzione dei fatti operata dallo stesso COGNOME, in sede di interrogatorio di garanzia, oltre che con le risultanze delle conversazioni intercettate (pag. 10).
Osserva, sul punto, il Collegio che la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nel ritenere che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in
relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l ‘ apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 -01) e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 -01).
In altri termini, l ‘ insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, con la conseguenza che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l ‘ apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori: sono, dunque, inammissibili quelle censure che, come nel caso di specie, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito, atteso che trattasi di censure non riconducibili alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 -01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884 -01; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244 -01; Sez. 7, ord. n. 12406 del 19/02/2015, COGNOME, Rv. 262948 -01; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 -01). Invero, nel momento del controllo della motivazione, non si deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né si deve condividerne la giustificazione, dovendosi, invece, limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento: ciò in quanto l’art. 606, comma 1, lett. e), del cod. proc. pen. non consente alla Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260 -01; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074 -01).
Orbene, nel caso in esame, come si è sopra evidenziato, l’ordinanza esaminata risulta avere analizzato adeguatamente tutti gli elementi indiziari, anche quelli addotti dalla difesa e, con motivazione assolutamente logica, congrua ed esaustiva avere ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’odierno ricorrente in ordine a l tentativo di estorsione aggravata ascrittagli.
1.2. Il secondo, avente ad oggetto la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., è manifestamente infondato. Si osserva, sul punto, che le modalità della condotta, descritte nel titolo cautelare e puntualmente richiamate dal provvedimento impugnato, non lasciano adito a dubbi in ordine all’utilizzo del metodo mafioso da parte del Genovese, che chiedeva il pagamento del ‘ pizzo ‘ per consentire al De Cesare di continuare a delinquere nel territorio controllato dal sodalizio camorristico omonimo; non solo, perché l’evocazione della famiglia COGNOME e del controllo del territorio di pertinenza è testuale ne ll’agguato del 20/07/2019, seguìto al rifiuto del COGNOME di sottostare alla richiesta estorsiva . Trattasi all’evidenza di circostanze che evocano la contiguità del richiedente il ‘pizzo’ ad ambienti criminali di stampo mafioso ed alla loro metodologia operativa, idonee a massimizzare la portata intimidatoria della richiesta estorsiva.
Ebbene, rispetto alla trama motivazionale del provvedimento impugnato, che si sviluppa in maniera piana, esaustiva e convincente, il motivo reitera le argomentazioni già avanzate in sede di riesame, senza argomentare criticamente in ordine ad eventuali illogicità del percorso argomentativo seguito nel provvedimento impugnato, per cui, sotto questo aspetto, è anche aspecifico.
1.3. Quanto al profilo dei pericula libertatis , il provvedimento impugnato con motivazione esaustiva e priva di vizi logici, dopo aver evidenziato l’allarmante personalità dell’odierno ricorrente, desunta dai plurimi precedenti penali specifici, tanto da ritenere che sia stabilmente dedito alla commissione di siffatti reati, ha rilevato che l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede per i reati aggravati ai sensi dell’art. 416 -bis .1 cod. pen. l’applicazione della misura custodiale intramuraria, a meno che siano acquisiti elementi dai quali risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari ovvero che in relazione al caso concreto le stesse possano essere soddisfatte con altre misure cautelari meno afflittive; che, nel caso di specie, non si rinvengono elementi da cui poter desumere il superamento della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, non rilevando all’uopo il tempo trascorso dai fatti, in assenza di altri dati significativi.
Osserva il Collegio che, quanto alla rilevanza del cosiddetto tempo silente , si registrano due diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo una prima impostazione, è stato affermato che, in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati -alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione -deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche
di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli «elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (cfr., Sez. 6, n. 2112 del 22/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285895 -01; Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, COGNOME, Rv. 285272 -01; Sez. 5, n. 1525 del 06/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285808 -01; Sez. 5, n. 31614 del 13/10/2020, COGNOME, Rv. 279720 -01).
Secondo un diverso orientamento, cui il Collegio intende dare seguito per la sua maggiore plausibilità, invece, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. tempo silente (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari (cfr., Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766 -02; Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131 -01; Sez. 5, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004 -01; Sez. 2, n. 7837 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280889 -01; Sez. 5, n. 26371 del 24/07/2020, COGNOME, Rv. 279470 -01). Tale principio è stato affermato anche a proposito dei reati aggravati dal metodo mafioso di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. (v., tra molte, Sez. 2, n. 7837/2021, cit.; Sez. 5, n. 4321 del 18/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280452 -01; Sez. 1, n. 23113 del 19/10/2018, COGNOME, Rv. 276316 -01).
Dunque, la presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva è superabile solo dalla prova circa l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, in difetto della quale l’onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell’art. 274 cod. proc. pen. deve ritenersi assolto mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un’attenuazione delle esigenze di prevenzione.
Del resto, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen., sicché, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME Rv. 282865 -01; Sez. 2, n. 6592/2022, cit.; Sez. 5, n. 4321/2021, cit.).
1.4. Tutto ciò premesso, rileva il Collegio che, nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha dato sufficientemente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto il tempo trascorso dai fatti del tutto recessivo rispetto ai numerosi precedenti penali, anche specifici, da cui il ricorrente risulta gravato e per le quali ha valutato irrilevante lo stato di detenzione in espiazione pena del ricorrente, valorizzando a quest’ultimo proposito l’autonomia dei titoli detentivi . Con tale motivazione il difensore non si confronta, limitandosi a ribadire la rilevanza del tempo silente.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 -01; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385 -01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849 -01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945 -01).
2 . All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il giorno 3 luglio 2025.