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Presunzione esigenze cautelari: il tempo non basta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25573/2025, ha stabilito che per reati associativi legati al narcotraffico, la presunzione di esigenze cautelari non viene meno per il solo decorso di un lungo periodo di tempo dai fatti. Anche a distanza di cinque anni, se non vengono forniti elementi concreti che dimostrino un radicale e stabile cambiamento dello stile di vita, la misura della custodia cautelare in carcere rimane giustificata per neutralizzare il pericolo di recidiva.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Esigenze Cautelari: Il Tempo Trascorso Non Annulla il Rischio di Recidiva

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, affronta un tema cruciale nel diritto processuale penale: la presunzione esigenze cautelari e il suo rapporto con il cosiddetto ‘tempo silente’, ovvero il lasso temporale tra la commissione di un reato e l’applicazione di una misura restrittiva. La Corte ribadisce un principio consolidato: per i reati di particolare gravità, come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, il semplice passare degli anni non è sufficiente a vincere la presunzione che l’indagato sia ancora socialmente pericoloso.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda due soggetti destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per la loro partecipazione a un’associazione criminale dedita al narcotraffico. L’attività del sodalizio era cessata circa cinque anni prima dell’esecuzione della misura. Gli indagati, tramite i loro difensori, avevano presentato ricorso al Tribunale del Riesame, sostenendo che il notevole tempo trascorso avesse fatto venir meno l’attualità del pericolo di reiterazione del reato. A supporto di questa tesi, adducevano di aver radicalmente cambiato stile di vita, intrapreso attività lavorative lecite e formato nuovi nuclei familiari.

Il Tribunale del Riesame, tuttavia, aveva confermato la misura, ritenendo che la presunzione legale di pericolosità non fosse stata superata. Contro questa decisione, gli indagati hanno proposto ricorso per Cassazione.

L’Analisi della Corte sulla presunzione esigenze cautelari

La Suprema Corte rigetta i ricorsi, offrendo una chiara disamina dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola custodia in carcere per reati di particolare allarme sociale, tra cui l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga.

La Corte chiarisce che tale presunzione può essere superata, ma non con argomenti generici. Il ‘tempo silente’ è un elemento che il giudice deve considerare, ma da solo non basta. Esso acquista rilevanza solo se accompagnato da altri elementi fattuali concreti e specifici, capaci di dimostrare un’effettiva attenuazione della pericolosità sociale dell’indagato.

Il Ruolo del ‘Tempo Silente’ e il Cambio di Vita

I ricorrenti avevano puntato proprio sul tempo trascorso e sul presunto cambiamento di vita. La Cassazione, però, avalla la valutazione del Tribunale del Riesame, secondo cui gli elementi portati dalla difesa non erano sufficienti a scardinare la presunzione esigenze cautelari. In particolare, il tribunale di merito aveva evidenziato una sproporzione tra i redditi leciti dichiarati e lo stile di vita degli indagati (disponibilità di veicoli, motocicli, ecc.), desumendone la persistente pericolosità.

La Corte sottolinea che la prova contraria alla presunzione deve essere rigorosa. Non basta allegare l’esistenza di un’attività lavorativa o la formazione di una famiglia. È necessario dimostrare che queste nuove circostanze abbiano realmente reciso ogni legame con l’ambiente criminale e abbiano instaurato uno stile di vita stabile e interamente basato sulla legalità. Nel caso di specie, questa prova non è stata ritenuta raggiunta.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa della normativa e della giurisprudenza consolidata. Le motivazioni principali sono:
1. Inefficacia della Prova Contraria: Gli elementi forniti dagli indagati (lavoro, famiglia) sono stati giudicati insufficienti a dimostrare un reale e definitivo abbandono delle condotte criminali, soprattutto a fronte di uno stile di vita non pienamente giustificato dai redditi leciti.
2. Persistenza della Pericolosità: La natura del reato associativo e il ruolo ricoperto dagli indagati sono stati considerati indicatori di una pericolosità radicata, che il solo decorso del tempo non può elidere.
3. Logicità della Valutazione di Merito: La Corte ha ritenuto che la valutazione del Tribunale del Riesame fosse logica, coerente e priva di vizi di legge, e come tale non sindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma con forza che la presunzione esigenze cautelari prevista per i reati più gravi rappresenta un baluardo a tutela della collettività. Per superarla, l’indagato ha l’onere di fornire una prova ‘qualificata’ del proprio cambiamento, dimostrando con elementi concreti e univoci di aver intrapreso un percorso di vita che escluda la probabilità di una ricaduta nel crimine. Il semplice trascorrere del tempo, pur rilevante, non costituisce una ‘sanatoria’ automatica della pericolosità sociale.

Il solo trascorrere di molto tempo tra il reato e l’arresto è sufficiente a escludere la custodia in carcere?
No. Secondo la Corte, il decorso di un apprezzabile lasso di tempo (‘tempo silente’) è un elemento che il giudice deve considerare, ma da solo non è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità, specialmente per reati gravi. Deve essere accompagnato da altri elementi fattuali che dimostrino un’effettiva diminuzione del rischio di recidiva.

Cosa si intende per presunzione di esigenze cautelari secondo l’art. 275, comma 3, c.p.p.?
È una presunzione legale (relativa, cioè che ammette prova contraria) secondo cui, per alcuni reati di particolare gravità come l’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, si presume che esistano le necessità di applicare una misura cautelare e che solo la custodia in carcere sia adeguata a soddisfarle. L’onere di dimostrare il contrario spetta all’indagato.

Quali prove deve fornire un indagato per dimostrare un reale cambiamento di vita e superare la presunzione?
L’indagato deve fornire elementi concreti, specifici e univoci. Non basta affermare di avere un lavoro o una famiglia. È necessario dimostrare, ad esempio, la stabilità del lavoro, la sufficienza dei redditi leciti a sostenere il proprio tenore di vita e l’assenza di contatti con ambienti criminali. La prova deve essere tale da convincere il giudice che il percorso di vita è stato radicalmente e stabilmente modificato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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