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Presunzione esigenze cautelari: il tempo non basta

Un soggetto, indagato per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, sostenendo che il tempo trascorso dai fatti avesse reso non più attuali le esigenze preventive. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che per reati di tale gravità vige una presunzione di esigenze cautelari. Tale presunzione non può essere superata dal solo decorso del tempo, specialmente di fronte a una comprovata pericolosità del sodalizio criminale e a un ruolo attivo dell’indagato.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Esigenze Cautelari: Il Tempo Trascorso da Solo Non Sconfigge la Custodia in Carcere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9428 del 2025, si è pronunciata su un tema cruciale della procedura penale: la presunzione esigenze cautelari e il suo rapporto con il tempo trascorso dai fatti. In un caso di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, la Suprema Corte ha chiarito che il cosiddetto ‘tempo silente’ non è, da solo, un elemento sufficiente a escludere la misura della custodia in carcere, specialmente quando la pericolosità del soggetto emerge da un contesto criminale radicato e strutturato.

I Fatti del Caso: Ricorso Contro la Custodia Cautelare

La vicenda giudiziaria ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Napoli, che applicava la misura della custodia cautelare in carcere a un giovane indagato per reati legati al traffico di droga, ai sensi degli artt. 73 e 74 del d.P.R. 309/1990. Tale decisione era stata emessa a seguito dell’annullamento di un precedente provvedimento da parte della Cassazione per un vizio di notifica.

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il Tribunale non avrebbe adeguatamente valutato l’attualità delle esigenze cautelari, ignorando elementi favorevoli come lo stato di incensuratezza e l’assenza di nuovi carichi pendenti successivi ai fatti contestati. Il punto centrale del ricorso era la mancata valorizzazione del tempo trascorso dai fatti, un fattore che, a dire della difesa, avrebbe dovuto indebolire la presunzione di pericolosità.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Presunzione Esigenze Cautelari

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, offrendo una chiara disamina dei principi che regolano le misure cautelari per i reati di particolare gravità.

Il Principio della Presunzione Relativa

Il fulcro della decisione risiede nell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una duplice presunzione (relativa, cioè superabile con prova contraria) per reati come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti:
1. Presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari: si presume che esista un concreto pericolo di reiterazione del reato.
2. Presunzione di adeguatezza della custodia in carcere: si presume che solo la detenzione in prigione sia una misura idonea a fronteggiare tale pericolo.

Per vincere questa presunzione, non basta allegare elementi generici; l’indagato deve fornire prove specifiche e concrete che dimostrino l’assenza di tali esigenze o la sufficienza di una misura meno afflittiva.

La Valutazione del “Tempo Silente”

La Corte ha affrontato direttamente la questione del ‘tempo silente’. Pur riconoscendo l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali che ne valorizzano l’importanza, ha sottolineato come questo fattore debba essere ponderato all’interno di una valutazione complessiva. Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente ritenuto che il tempo trascorso non fosse decisivo.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Cassazione sono state nette. Il Collegio cautelare aveva adeguatamente considerato tutti gli elementi, concludendo che la presunzione non poteva essere superata. Gli elementi a sfavore dell’indagato erano troppo gravi: la pericolosità intrinseca del sodalizio criminale, descritto come radicato, pervicace e operativo anche in piena pandemia; il ruolo di assoluto rilievo ricoperto dall’indagato, incaricato del taglio delle sostanze e della gestione logistica; l’indifferenza manifestata nei confronti dei controlli e degli arresti operati dalle forze dell’ordine durante le indagini.

La Corte ha ribadito che il solo stato di incensuratezza è un elemento ‘inadeguato’ a superare la presunzione di legge quando il quadro indiziario delinea una personalità inserita stabilmente in un contesto criminale di alto profilo. La scelta di delinquere appariva come un ‘impiego stabile’, una decisione di vita che rendeva concreto e attuale il pericolo di recidiva.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un principio fondamentale in materia di misure cautelari per reati di criminalità organizzata. La presunzione esigenze cautelari prevista dall’art. 275 c.p.p. rappresenta un baluardo normativo difficile da superare. La decisione insegna che la valutazione del giudice non può essere frammentaria, ma deve basarsi su un’analisi globale della personalità dell’indagato, del suo ruolo nel sodalizio e della capacità operativa di quest’ultimo. Il tempo trascorso dai fatti può assumere rilevanza solo se accompagnato da altri elementi fattuali concreti che indichino un reale e accertato distacco dal circuito criminale di appartenenza. In assenza di tali elementi, la pericolosità sociale si presume attuale e la custodia in carcere rimane la misura adeguata.

Per reati gravi come il traffico di droga, il tempo trascorso dai fatti è sufficiente a escludere la custodia in carcere?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per i reati contemplati dall’art. 275, comma 3, c.p.p., come l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il solo decorso del tempo (‘tempo silente’) non è di per sé un elemento sufficiente a vincere la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere.

Cosa deve fare un indagato per superare la presunzione di esigenze cautelari?
L’indagato o la sua difesa devono fornire elementi specifici e concreti che dimostrino l’insussistenza delle esigenze cautelari o che queste possano essere soddisfatte con misure meno severe del carcere. Un semplice riferimento allo stato di incensuratezza o al tempo trascorso è considerato inadeguato se contrapposto a un grave quadro indiziario.

Come viene valutata la pericolosità dell’indagato in questi casi?
Il giudice compie una valutazione complessiva che considera la gravità dei fatti, il contesto criminale, la personalità dell’indagato e il suo ruolo all’interno dell’organizzazione. La Corte ha dato rilievo alla professionalità e pervicacia del sodalizio, alla sua capacità di operare costantemente e all’indifferenza mostrata dagli affiliati verso i controlli di polizia, elementi che confermano l’attualità del pericolo di reiterazione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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