Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7737 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7737 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Bovalino il 27/04/1963; avverso l’ordinanza del 24/09/2024 del Tribunale di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito il difensore, avv. NOME COGNOME, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con ordinanza del 24 settembre 2024, il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto ex art. 310 cod. proc. pen. dalla difesa dell’indagato avverso l’ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria, che, in data 6 agosto
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2024, aveva rigettato l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con altra misura meno afflittiva, disposta nei confronti dell’indagato medesimo in relazione ai reati di cui agli artt. 74 e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, nonché per i delitti previsti dagli artt. 23 della legge n. 110 del 1975 e 648 cod. pen.
Avverso l’ordinanza, l’indagato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di censura, il vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione agli artt. 125, 274 e 275 cod. proc. pen.
Secondo la prospettazione difensiva, il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente omesso di considerare, ai fini della valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, il lungo periodo di tempo trascorso in stato di custodia cautelare in carcere dall’odierno indagato, sufficiente ad elidere la presunzione di legge, per la naturale dissoluzione del vincolo associativo che originariamente legava il ricorrente ai suoi sodali; così contrapponendosi alla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, anche se in tema di misure cautelari per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’applicazione della misura cautelare ed il tempo trascorso dall’indagato in stato di custodia cautelare, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari. E ciò, tanto più se si considera che l’odierno ricorrente è stato condannato per il reato di associazione. a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 – e, segnatamente, alla attività di coltivazione e commercializzazione di cannabis indica – la quale, prescindendo da radicamenti sul territorio, da particolari collegamenti personali e da qualsivoglia specifica connotazione del vincolo associativo, non potrebbe neppure costituire un’adeguata base logico-giuridica della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., rappresentando piuttosto una fattispecie aperta rispetto alla quale non è possibile enucleare una regola di esperienza, ricollegabile ragionevolmente a tutte le connotazioni criminologiche del fenomeno. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con successiva memoria, datata -9 novembre 2024, la difesa ha presentato un motivo nuovo, con il quale insiste sostanzialmente nel censurare la motivazione dell’ordinanza impugnata. I giudici del riesame, in violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza delle misure coercitive, avrebbero omesso qualsivoglia spiegazione delle ragioni per le quali una misura diversa da quella carceraria non sarebbe stata idonea a soddisfare eventuali esigenze cautelari – e,
segnatamente, quella della reiterazione criminosa – tenuto conto che, dopo la riforma del 2015, anche il pericolo di fuga e quello di recidiva di cui all’art. 274, comma 1, lettere b) e c), cod. proc. pen., devono essere attuali, oltre che concreti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, con il quale si censura il difetto di motivazione in ordine agli art 125, 274 e 275 cod. proc. pen., è inammissibile, perché formulato in modo non specifico e comunque basato su censure dirette ad ottenere da questa Corte una rivalutazione della sussistenza delle esigenze cautelari; rivalutazione preclusa in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
Ne consegue che, per tali reati, continua a valere, anche in sede di valutazione circa la sostituzione della misura, il principio fissato da tale ultima disposizione, secondo cui è applicata la custodia cautelare salvo che siano acquisiti elementi dai quali risultino che non sono sussistenti esigenze cautelari e che le stesse possono essere soddisfatte con misure meno afflittive (Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Rv. 282766-02; Sez. 3, n. 46241 del 20/09/2022, Rv. 283835).
A ciò si aggiunga che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, allorquando il giudice ritenga non vinta tale presunzione, questi può limitarsi a dare atto dell’inesistenza di elementi idonei a superarla, dovendo fornire specifica
motivazione soltanto quando la difesa abbia evidenziato circostanze idonee a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari e/o abbia dedotto l’esistenza di elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere tutelate con misure diverse (Sez. 4, n. 31194 del 27/06/2024, in motivazione; Sez. 3, n. 48706 del 25/11/2015, Rv. 266029).
Ebbene, nel caso di specie, nel rilevare che il tempo decorso doveva considerarsi quale elemento neutro rispetto alla perdurante sussistenza delle ragioni che hanno determinato l’adozione della misura, e pertanto, non valutabile, l’ordinanza impugnata – che, a ben vedere non applica la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., di talché l’eccezione della difesa deve ritenersi irrilevante, prima ancora che manifestamente infondata – contiene certamente una motivazione non censurabile in diritto e nel complesso non illogica, essendo consolidato il principio secondo cui, in linea generale, il mero decorso del tempo dall’esecuzione della misura cautelare, qualunque essa sia, non assume di per sé rilievo determinante come fattore di attenuazione delle esigenze cautelari, esaurendo la sua valenza soltanto nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia (ex multis, Sez. 4, n. 17470 del 22/03/2024, Rv. 286207; Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2018, Rv. 273139; Sez. 1, n. 24897 del 19/05/2013, Rv. 25583; Sez. 2, n. 45213 del 08/11/2007, Rv. 238518). È ben vero, infatti, che per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., rispetto ai quali è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge n. 47 del 16 aprile 2015 e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di. un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Rv. 285272; Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, Rv. 281273-02), ma la prova del superamento della presunzione non può comunque ritenersi desumibile dal mero decorso del tempo (Sez. 3, n. 6592 del 25/01/2022, Rv. 282766-02; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, Rv. 282004). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso in esame, dunque, secondo la esauriente valutazione dei giudici del riesame, devono considerarsi sussistenti le esigenze cautelari necessarie ai fini dell’applicazione·della misura di massimo rigore, non potendosi ritenere sufficiente a tal fine il tempo trascorso dal prevenuto in custodia cautelare. La gravità indiziaria – afferente alla partecipazione dell’indagato ad un’associazione finalizzata al narcotraffico e, segnatamente, alla coltivazione di ben 4.352 piante, da cui sarebbe stato possibile ritrarre 10.912,00 grammi di principio attivo, pari a 426.485 dosi medie singole – infatti, è stata correttamente ritenuta attuale dal
Tribunale di Reggio Calabria, il quale ha evidenziato come l’odierno ricorrente sia stato condannato all’elevata pena di 8 anni e 10 mesi di reclusione, dando altresì debitamente conto dell’impossibilità concreta di applicare, nel caso di specie, la misura degli arresti domiciliari, anche con applicazione del braccialetto elettronico, atteso che il prevenuto avrebbe eseguito tale misura nel proprio domicilio, trovandosi così a convivere con i figli con i quali aveva commesso in concorso i delitti a lui contestati; figli, peraltro, titolari di ampia libertà di movimento giac sottoposti alle misure dell’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria. Di talché, correttamente l’unica misura adeguata è stata ritenuta quella custodiale carceraria.
1.2. GLYPH Anche il motivo nuovo è inammissibile, dal momento che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di esaminare il motivo nuovo, in base a quanto disposto dall’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 23939 del 25/02/2021, Rv. 282021). L’inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione, infatti, non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Rv. 277850).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che·”la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 27/11/2024.