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Presunzione esigenze cautelari: il tempo non basta

La Cassazione conferma la custodia in carcere per un indagato per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, respingendo il ricorso basato sul tempo trascorso dai fatti. La Corte ribadisce la validità della presunzione esigenze cautelari, che non può essere superata dalla sola inerzia temporale ma richiede prove concrete della cessata pericolosità.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia cautelare e tempo: quando la pericolosità non svanisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9209 del 2024, torna su un tema cruciale della procedura penale: la presunzione esigenze cautelari e il suo rapporto con il tempo trascorso dalla commissione dei reati. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere perché, per alcuni gravi delitti, la pericolosità sociale dell’indagato è considerata persistente, anche a distanza di anni, giustificando la misura della custodia in carcere.

I Fatti del Caso: un’associazione per delinquere e la misura cautelare

Il procedimento nasce dal ricorso di un individuo indagato per reati molto gravi, tra cui la partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (art. 74 D.P.R. 309/90), oltre a vari episodi di detenzione e spaccio di stupefacenti e porto di armi. I fatti contestati risalivano al 2018, mentre l’ordinanza di custodia cautelare in carcere era stata emessa nel 2023. La difesa dell’indagato aveva impugnato tale misura davanti al Tribunale del Riesame, il quale però l’aveva confermata. Da qui il ricorso in Cassazione, incentrato su un unico, centrale motivo: la mancanza di attualità delle esigenze cautelari a causa del notevole lasso di tempo intercorso.

Il ricorso in Cassazione: il “tempo silente” contro la presunzione esigenze cautelari

La tesi difensiva sosteneva che il Tribunale avesse errato nel ritenere ancora sussistente il pericolo di recidiva. Secondo il ricorrente, il lungo periodo di ‘tempo silente’ – circa cinque anni – trascorso senza nuove condotte criminali, unito al fatto di essersi trasferito e di essere quasi incensurato, avrebbe dovuto far venir meno la necessità della misura detentiva più grave. Si contestava, in sostanza, una motivazione inadeguata sull’attualità della pericolosità e sulla scelta della custodia in carcere rispetto a misure meno afflittive come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

L’analisi della Corte sulla presunzione esigenze cautelari

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una chiara e dettagliata spiegazione dei principi giuridici applicabili. La decisione si fonda principalmente sulla cosiddetta ‘doppia presunzione’ prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale.

La Prevalenza della Norma Speciale

I giudici hanno innanzitutto ribadito che, per reati di particolare allarme sociale come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la legge stabilisce una presunzione relativa. Si presume non solo che esistano esigenze cautelari, ma anche che la custodia in carcere sia l’unica misura adeguata a fronteggiarle. Questa norma speciale prevale su quella generale (art. 274 c.p.p.), che richiederebbe al giudice una dimostrazione puntuale dell’attualità del pericolo.

La Corte chiarisce che il semplice decorso del tempo non è, di per sé, una ‘prova contraria’ idonea a superare questa presunzione. Il tempo è un fattore neutro, a meno che non sia accompagnato da elementi concreti che dimostrino un’effettiva attenuazione della pericolosità dell’individuo.

La valutazione della pericolosità attuale

Nonostante la forza della presunzione, la Corte evidenzia come il Tribunale del Riesame avesse comunque motivato in modo puntuale sulla persistenza della pericolosità. Sono stati valorizzati elementi specifici, quali:

* Le modalità dei fatti: Le condotte non erano isolate, ma inserite in un contesto criminale organizzato, capace di sopravvivere agli interventi repressivi.
* La personalità dell’indagato: Descritto come un membro attivo del gruppo, impegnato costantemente nello spaccio e nell’uso di armi da guerra (una mitraglietta).
* La condotta successiva: L’indagato era stato controllato in tempi recenti in compagnia di altri coindagati, un fatto che smentisce l’ipotesi di un allontanamento dal contesto criminale.

Le motivazioni della decisione

La Corte Suprema ha ritenuto che gli argomenti della difesa, come il trasferimento di residenza o la quasi incensuratezza, fossero elementi di valenza neutra, insufficienti a scardinare il grave quadro indiziario e la presunzione legale. La capacità a delinquere e l’inserimento in una solida struttura criminale sono stati considerati fattori predominanti nel giudizio prognostico sulla recidiva. Inoltre, la natura dei reati contestati, che possono essere facilmente commessi anche dall’abitazione con l’aiuto di complici, ha reso la misura degli arresti domiciliari inadeguata a contenere il pericolo.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma un principio fondamentale in materia di misure cautelari per i reati più gravi: la presunzione di pericolosità e di adeguatezza del carcere non è una formula vuota, ma un preciso strumento voluto dal legislatore per contrastare le forme più allarmanti di criminalità. Per superarla non è sufficiente appellarsi al tempo trascorso, ma è necessario fornire elementi concreti e specifici che dimostrino un reale e positivo cambiamento nella personalità e nella condotta dell’indagato. In assenza di tali prove, il giudizio di pericolosità rimane ancorato alla gravità dei fatti e al contesto in cui sono maturati.

Il semplice passare del tempo è sufficiente a far decadere le esigenze cautelari per reati gravi?
No. Secondo la Corte, il mero decorso del tempo è un elemento neutro e non basta, da solo, a vincere la presunzione di pericolosità, specialmente per reati come l’associazione finalizzata al narcotraffico, per i quali opera una presunzione legale.

Perché per certi reati la custodia in carcere è presunta come misura adeguata?
Per i delitti di particolare gravità, elencati nell’art. 275, comma 3, c.p.p., il legislatore ha introdotto una ‘doppia presunzione’: si presume sia l’esistenza delle esigenze cautelari sia l’adeguatezza della custodia in carcere come unica misura idonea, salvo che l’indagato fornisca una prova contraria specifica.

Quali elementi valuta il giudice per confermare la pericolosità attuale di un indagato a distanza di anni dai fatti?
Il giudice compie una valutazione complessiva che include le modalità dei fatti contestati (gravità, organizzazione), la personalità dell’indagato desunta anche dalla sua condotta di vita, e l’eventuale persistenza di legami con l’ambiente criminale. Nella sentenza, ad esempio, sono stati considerati rilevanti i recenti controlli in compagnia di coindagati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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