Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1854 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1854 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a REGGIO CALABRIA il 18/02/1988
avverso l’ordinanza del 05/07/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
udito il difensore:
Avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per raccoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 5 luglio 2024, il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto il ricorso proposto, ex art. 309 del codice di rito, nell’interesse di NOME COGNOME confermando quindi il provvedimento con cui era stata applicata, in data 10 maggio 2024, la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. e, più precisamente, perché, in qualità di partecipe del sodalizio di ‘ndrangheta operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria (e, segnatamente, della cosca COGNOME), svolgeva il ruolo di referente della cosca, dava esecuzione a direttive provenienti dai capi del sodalizio, veicolava messaggi tra i consociati e forniva il proprio stabile contributo nella raccolta estorsiva ai danni di imprenditori e commercianti.
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite dei propri difensori, Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito enundato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con cui si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle ritenute esigenze cautelari e, in particolare, alla valutazione drca l’attualità delle stesse.
La difesa reputa violata la regola iuris volta a valorizzare il cd. tempo silente nei contesti cautelari presuntivi di cui all’art. 275, comma 3, del codice di rito; diversamente da quanto ritenuto dal Collegio del riesame, tale canone ermeneutico è destinato a valere per tutti i reati indicati nel comma 3 dell’art. 275, ivi compresi quelli a contestazione aperta, qual è il delitto provvisoriamente imputato al ricorrente. Con motivazione inadeguata rispetto a un approccio esegetico costituzionalmente orientato – valorizzato di recente dalla Sesta sezione di questa Corte con sentenza n. 11735 del 25 gennaio 2024, ric. Tavella – il Tribunale del riesame ha definito alla stregua di “profili neutri” gli elementi valorizzati dalla difesa. Tra tali elementi – dotati, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, di pregnanza decisiva ai fini della dimostrazione dell’allontanamento dal contesto criminale di appartenenza – la difesa rimarca, in particolare, 1) la documentata attività lavorativa lecita, svolta dal ricorrente già a partire dal 2020, 2) lo status di persona incensurata dell’Autolitano, 3) la marginalità del contributo partecipativo dello stesso, peraltro di breve durata (due mesi: 31 marzo- maggio 2021) e, di fatto, sostanziatosi in un’unica interlocuzione diretta (il riferimento è alla conversazione, oggetto di captazione, del 31 marzo 2021 in cui il ricorrente raccontava al cugino di un confronto con un sodale, relativo ad attività estorsive), 4) il tempo di circa tre anni intercorso tra i fatti contestati (risalenti al marzo 2021) e l’emissione della misura cautelare (10 maggio 2024).
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
L’unico motivo di ricorso è infondato, sia perché il ricorrente muove censure manifestamente contrastate dagli atti processuali, attribuendo alla motivazione della decisione impugnata un contenuto logico e critico diverso da quello reale (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione), sia perché le tesi difensive sul significato da accordare al cd. tempo silente nei reati associativi si pongono in contrasto con i consolidati orientamenti di questa Corte in tema di presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari nei contesti associativi che siano espressione di mafie cd. storiche.
Il ricorrente tenta di valorizzare, a vantaggio della propria tesi difensiva, una recente giurisprudenza (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 02), certamente condivisibile, senza tuttavia confrontarsi, in maniera critica ed effettiva, con il più ampio contesto motivazionale dell’impugnato provvedimento, in cui sono solidamente argomentati i seguenti profili: 1) l’attuale operatività della cosca COGNOME (articolazione territoriale dell’associazione di stampo mafioso, denominata ‘ndrangheta, operante nell’area meridionale di Reggio Calabria); 2) la non marginale posizione del prevenuto nell’ambito della stessa; 3) la diversa -e più intensa- cautela che deve muovere l’interprete allorché si tratti di valutare l’incidenza del cd. tempo silente sulla presunzione relativa di sussistenza delle esigenze di cui all’art. 275, comma 3, del codice di rito in contesti associativi propri delle mafie storiche; 4) la diversità strutturale che contraddistingue il reato associativo -rilevante in questa sede- di cui all’art. 416 bis cod. pen. rispetto ad altre tipologie di delitti associativi (quale quello di cui all’art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).
Sui quattro snodi motivazionali qui indicati occorre soffermarsi, al fine di dar conto delle ragioni per le quali questo Collegio reputa infondate le censure difensive e, ciò, alla luce della giurisprudenza secondo cui «in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. non è superata per effetto del decorso di un tempo considerevole tra l’emissione della misura e i fatti contestati qualora risultino accertate la consolidata esistenza dell’associazione, la pregressa partecipazione alla stessa dell’indagato e la sua perdurante adesione ai valori del sodalizio (nel caso di specie, ‘ndrangheta)» (Sez. 6, n. 19787 del 26/03/2019, COGNOME, Rv. 275681 – 01).
Nella prima parte della motivazione, si tratteggiano interessi, caratteristiche e perdurante operatività della cosca in questione, evidenziando le forme di controllo delle attività economiche sul territorio da parte di numerosi indagati, svolte anche in sinergia con la famiglia COGNOME e, in particolare, con NOME COGNOME e il fratello NOME (padre del ricorrente). Dalle emergenze istruttorie -hanno osservato i giudici del riesame- è risultato che i figli di costoro (l’odierno ricorrente, insieme al cugino NOME assumevano il ruolo di referenti della cosca; e proprio ad NOME e NOME COGNOME gli imprenditori dovevano rivolgersi per adempiere alla nota pratica della “messa a posto”, condizione necessaria, nella logica malavitosa delle estorsioni, per lo svolgimento delle loro attività nel settore edilizio. Le risultanze investigative evidenziate dal Tribunale rivelavano l’inserimento dell’odierno ricorrente all’interno dell’associazione di ‘ndrangheta, con un ruolo rilevante nelle attività estorsive della cosca. In particolare, dalla conversazione del 31 marzo 2021, oggetto di intercettazione, emergeva la posizione del ricorrente, quale referente della cosca e latore di “imbasciate”, in una vicenda estorsiva relativa alle “autorizzazioni” che la cosca avrebbe o meno “concesso” a imprenditori edili del territorio, nonché alle pratiche di cd. “messa a posto” (v. pp. 14-19 dell’impugnato provvedimento).
Così rievocato, in estrema sintesi, il contesto associativo di riferimento come ricostruito dai giudici del riesame, deve senz’altro convenirsi con l’opzione ermeneutica valorizzata dal Tribunale per inquadrare l’incidenza del cd. tempo silente sulla presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in un contesto caratterizzato dalla presenza di una mafia cd. storica. A tal proposito, il Tribunale ha correttamente ribadito, e applicato al caso in esame, il consolidato orientamento di legittimità in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., secondo il quale «in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato previsto dall’art. 416-bis cod. pen., ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., occorre distinguere tra associazioni mafiose storiche o comunque caratterizzate da particolare stabilità, in relazione alle quali è necessaria la dimostrazione del recesso dell’indagato dalla consorteria, non rilevando, ai fini dell’attualità delle esigenze cautelari, la distanza temporale tra l’applicazione della misura ed i fatti contestati, ed associazioni mafiose non riconducibili alla categoria delle mafie “storiche”, per le quali può rilevare a tali fini anche il decorso del tempo» (Sez. 5, n. 36389 del 15/07/2019, COGNOME, Rv. 276905 – 01; v anche Sez. 6, n. 17022 del 28/05/2020, Iezza, n.m., secondo cui la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. non è superata per effetto del decorso di un tempo considerevole tra l’emissione della misura e i fatti contestati qualora risultino
accertate la consolidata esistenza dell’associazione, la pregressa partecipazione alla stessa dell’indagato e la sua perdurante adesione ai valori del sodalizio; v. anche Sez. 6, n. 19787 del 26/03/2019, COGNOME, già citata).
Ora, in disparte il ragionevole apprezzamento del Collegio del riesame, esente dai dedotti vizi, secondo cui il tempo silente nel caso di specie (anni tre) non sia da considerare alla stregua di un “tempo considerevole” data la posizione non marginale del prevenuto nell’associazione criminale di riferimento e la sua convinta adesione ai valori dell’associazione, si osserva che., in motivazione, sono state illustrate adeguatamente le ragioni per cui si è esclusa sia la prova del recesso e/o dell’allontanamento dalla cosca investigata sia l’incidenza sulla prognosi cautelare del dedotto decorso temporale. Sono stati, infatti, diffusamente evidenziati profili dirimenti ai fini della sussistenza della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, del codice di rito, quali: 1) la continuità di rapporti del ricorrente con sodali e storici appartenenti della cosca, anche con posizioni apicali (è peraltro il caso, osserva il Tribunale, dei fratelli NOME e NOME COGNOME, rispettivamente zio e padre del ricorrente); 2) la conoscenza approfondita -disvelata dalla conversazione del 31 marzo 2021- di dinamiche e condotte impositive ai danni dell’imprenditoria locale; 3) la piena condivisione degli interessi illeciti perseguiti dalla cosca (di cui è spia tra le altre- l’uso costante, da parte del ricorrente, della prima persona plurale, come osservato dal Tribunale); 4) l’attitudine -talvolta anche molto spiccata (v. parte finale di p. 17) a impartire direttive ai sodali per imporre agli imprenditori il rispetto delle regole mafiose.
Si nota, infine, che il ricorrente tenta di valorizzare a proprio vantaggio il precedente giurisprudenziale già citato (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, COGNOME, Rv. 286202 – 02), senza tuttavia “dialogare” con i giudici del riesame e trascurando di esaminare quel precedente alla luce del dovuto distinguishing tra casi di specie affatto diversi. Come giustamente osservato dal Collegio del riesame, si danno casi in cui il reato associativo, diversamente dal delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., non si caratterizza necessariamente per la tendenziale stabilità nel tempo deli legami tra compartecipi; è, tale, l’ipotesi che ricorre nel reato associativo di cui all’art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Proprio la giurisprudenza della Sezione sesta di questa Corte ha evidenziato la diversità strutturale che contraddistingue il reato associativo di cui all’art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, rispetto a quello associativo -rilevante in questa sede- di cui all’art. 416 bis cod. pen. E, invero, la specificità del delitto associativo finalizzato al traffico di stupefacenti è stata individuata dalla Corte di cassazione (Sez. 6, n. 14045 del 13/02/2024, Bruno, n.m., in motivazione, punto 4) nel fatto che «i legami tra compartecipi non presentno quella tendenziale stabilità nel tempo che, invece, contraddistingue l’appartenenza alle associazioni di stampo mafioso.
Si è affermato, infatti, -.che in tema di misure coercitive disposte per il r associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza d esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve esse desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in qua tale fattispecie associativa è qualificata unicamente dai reati fine e non post necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari -connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ulti della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attesta recesso individuale o lo scioglimento del gruppo».
Mette conto anche osservare che, in ogni caso, anche con specifico riguardo al reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la giurisprudenz legittimità ha chiarito come la prognosi di pericolosità postuli una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all 275, comma 3, cod. proc. pen. (enfasi nostra. Cfr., sul punto, Sez.3, n.16357 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293; Sez.4, n. 3966 del 12/1/2021, COGNOME, Rv. 280243).
Tanto premesso, devono ritenersi deprivati di forza argomentativa i rilievi difensivi tesi a rimarcare la pretesa incidenza del cd. tempo silente di tre anni su presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. comma 3, cod. proc. pen, in un delitto, quale quello provvisoriamente attribuito, con contestazione cd. aperta, non avendo il ricorrente sottoposto all’attenzione de Tribunale fatti che potessero essere considerati indicativi di un’effett interruzione della partecipazione al sodalizio (su tale onere di allegazione: v. Se 2, n. 37104 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285414 – 01). In effetti, come illustrato d Collegio del riesame, tali non possono ritenersi né l’attività lavorativa lecita g partire dal 2020 (elemento comune a tutti i coindagati, che ragionevolmente il Tribunale ha considerato non significativo a fronte delle ricordate risultanz istruttorie) né l’incensuratezza dell’Autolitano. La neutralità, o mancata decisivi di tali profili è, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, logicamen argomentata, ove si considerino le ulteriori notazioni del Collegio del riesame circ l’auto-percezione dell’Autolitano quale membro dell’associazione, rivelata dalla preoccupazione di non fare “brutta figura” col gruppo di appartenenza, come anche la cautela e le scaltrezza manifestate nell’evitare il rischio di esporsi (e ve quindi, arrestati) per un’operazione estorsiva che non sembrava promettere ritorni importanti sul piano economico.
Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio ritiene che il ricorso vada rigettato. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 22/11/2024
Il consigliere estensore
II
prasidente