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Presunzione esigenze cautelari: il tempo non basta

La Corte di Cassazione ha stabilito che, per i reati di associazione mafiosa, la presunzione delle esigenze cautelari non viene meno con il solo trascorrere del tempo. Un indagato, accusato di appartenere a un clan della ‘ndrangheta, ha visto respinto il suo ricorso contro la custodia in carcere. La Corte ha chiarito che, data la stabilità e la natura pervasiva delle mafie storiche, elementi come un lavoro lecito o l’assenza di precedenti penali non sono sufficienti a dimostrare un effettivo allontanamento dal sodalizio criminale, necessario per superare la presunzione di pericolosità.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Esigenze Cautelari: Il Tempo Non Basta per i Reati di Mafia

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di misure cautelari per i reati di mafia. La presunzione esigenze cautelari, prevista dall’articolo 275 del codice di procedura penale, non può essere superata dal semplice decorso del tempo, specialmente quando si tratta di associazioni criminali storiche e radicate come la ‘ndrangheta. Analizziamo questa importante decisione per capire le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), in particolare a una nota cosca della ‘ndrangheta. Secondo l’accusa, egli agiva come referente del clan, gestendo attività estorsive ai danni di imprenditori locali.

La difesa ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame, e successivamente in Cassazione, sostenendo la mancanza di attualità delle esigenze cautelari. I principali argomenti difensivi erano:

1. Il lungo lasso di tempo (circa tre anni) trascorso tra i fatti contestati e l’emissione della misura cautelare (il cosiddetto “tempo silente”).
2. L’avvio di un’attività lavorativa lecita da parte dell’indagato sin dal 2020.
3. Lo stato di incensuratezza dell’individuo.
4. La marginalità e la breve durata del contributo partecipativo contestato.

La questione della presunzione esigenze cautelari

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione dell’art. 275, comma 3, c.p.p. Questa norma stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari per alcuni reati di particolare gravità, tra cui l’associazione mafiosa. Ciò significa che, in questi casi, la pericolosità dell’indagato si presume, e spetta alla difesa fornire la prova contraria, dimostrando l’assenza di tali esigenze.

La difesa ha tentato di valorizzare il “tempo silente” come prova decisiva dell’allontanamento dell’indagato dal contesto criminale, sostenendo che la pericolosità sociale si fosse attenuata. Tuttavia, la Cassazione ha seguito un percorso argomentativo diverso, distinguendo nettamente la natura delle associazioni mafiose storiche da altre forme di criminalità organizzata.

La Differenza tra Mafie Storiche e Altre Associazioni

La Corte ha sottolineato che sodalizi come la ‘ndrangheta sono caratterizzati da una stabilità strutturale e da un vincolo associativo che tende a essere permanente. L’appartenenza a un clan mafioso non è un legame occasionale, ma una scelta di vita che si presume perduri nel tempo, a meno che non emergano prove concrete di un recesso o di un’effettiva dissociazione.

Questo distingue il reato di cui all’art. 416 bis c.p. da altre associazioni criminali, come quelle finalizzate al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90), dove i legami tra i partecipi possono essere meno stabili e più funzionali al compimento di specifici reati.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. Le motivazioni si basano su quattro snodi principali:

1. Operatività della Cosca: Il clan di riferimento era pienamente operativo e attivo sul territorio.
2. Ruolo non marginale: L’indagato non ricopriva una posizione marginale, ma aveva un ruolo di referente, dimostrato da intercettazioni in cui discuteva di estorsioni e del rispetto delle “regole” mafiose.
3. Irrilevanza del Tempo Silente: Per le mafie storiche, la presunzione esigenze cautelari non è superata dal decorso di un tempo anche considerevole. Il vincolo associativo si considera attivo fino a prova contraria. L’onere di dimostrare l’interruzione del rapporto con il sodalizio grava sull’indagato.
4. Insufficienza degli Elementi Difensivi: L’attività lavorativa lecita e lo stato di incensuratezza sono stati considerati “profili neutri” o non decisivi. Questi elementi non sono sufficienti, da soli, a dimostrare un reale allontanamento dai valori e dalle dinamiche del clan, specialmente a fronte di prove che indicavano la continuità dei rapporti con altri affiliati (inclusi stretti familiari) e una profonda conoscenza delle logiche criminali.

In sostanza, la Corte ha affermato che la pericolosità non deriva solo dai singoli fatti contestati, ma dall’inserimento stabile in una struttura criminale pervasiva e perdurante.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di criminalità organizzata di stampo mafioso. La decisione chiarisce che per vincere la presunzione esigenze cautelari non basta dimostrare un periodo di apparente “normalità” o l’assenza di nuovi reati. È necessario fornire elementi concreti e inequivocabili che attestino un’effettiva e definitiva rottura con l’ambiente criminale di appartenenza. Per il legislatore e la giurisprudenza, il legame con una mafia storica è un vincolo talmente forte che la sua rescissione richiede una prova positiva e non può essere semplicemente dedotta dal silenzio o da comportamenti formalmente leciti.

Il semplice passare del tempo è sufficiente per annullare la custodia cautelare per un reato di mafia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per i reati relativi ad associazioni mafiose storiche (come la ‘ndrangheta), il decorso di un tempo anche considerevole tra i fatti e la misura non è di per sé sufficiente a superare la presunzione di attualità delle esigenze cautelari, data la natura stabile e permanente del vincolo associativo.

Quali elementi sono considerati insufficienti a dimostrare l’allontanamento da un clan mafioso?
La sentenza chiarisce che elementi come lo svolgimento di un’attività lavorativa lecita e l’assenza di precedenti penali (incensuratezza) sono considerati “profili neutri” e non decisivi. Da soli, non bastano a provare un’effettiva interruzione della partecipazione al sodalizio criminale.

Perché la Cassazione distingue tra associazioni mafiose storiche e altri tipi di associazioni criminali?
La Corte distingue perché le mafie storiche sono caratterizzate da una peculiare stabilità strutturale e da un vincolo associativo tendenzialmente permanente. A differenza, ad esempio, delle associazioni per il traffico di stupefacenti, i cui legami possono essere più occasionali e funzionali, l’appartenenza a un clan mafioso è considerata una condizione perdurante che richiede una prova positiva di recesso per essere smentita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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