Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22032 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22032 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nel procedimento a carico di COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 06/12/1973
avverso l’ordinanza del 25/02/2025 del Tribunale di Napoli;
letti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; lette le conclusioni del difensore dell’indagato, avv. NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe indicata, accogliendo la richiesta di riesame avanzata da NOME COGNOME, ha annullato quella con la quale il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva a costui applicato la custodia cautelare in carcere per il delitto di partecipazione all’associazione di tipo camorristico denominata “clan COGNOME“, con il ruolo di autista e factotum del reggente della cosca, tale COGNOME.
Il Tribunale ha ritenuto che l’ordinanza custodiale, nella valutazione della ricorrenza delle esigenze cautelari, avesse omesso una motivazione puntuale, invece necessaria anche in presenza della presunzione legale di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nei casi, come quello in esame, di decorso di un notevole lasso temporale tra i fatti e l’applicazione della misura. Ha rilevato, in proposito, che la condotta partecipativa dell’indagato al sodalizio si sarebbe protratta soltanto per un paio di mesi, fermandosi a novembre del 2020, ed altresì che quegli è persona incensurata e priva di altre pendenze giudiziarie.
Ricorre avverso tale decisione il Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale, ritenendola viziata per violazione del citato art. 275, comma 3, secondo il quale, in caso di gravi indizi di colpevolezza per il delitto di partecipazione mafiosa, le esigenze cautelari e l’esclusiva adeguatezza della custodia in carcere sono presunte, salvo che si dimostri la sopravvenuta cessazione del sodalizio od il recesso dell’indagato da esso.
Il Tribunale – deduce il ricorrente, con ampia citazione di giurisprudenza – ha fondato il proprio convincimento su un precedente di legittimità (Sez. 6, n. 19863 del 4 maggio 2021) tuttavia espressivo di un indirizzo minoritario all’interno della Corte di cassazione e, peraltro, non aderente al caso di specie, essendosi ivi affermata la necessità di tener conto del tempo intermedio c.d. “silente” qualora – come in quel caso – esso sia accompagnato da circostanze sintomatiche di un possibile allontanamento dell’indagato dai relativi contesti criminali.
Questo non sarebbe, invece, il caso del COGNOME, da valutare altresì alla luce del carattere “storico” del clan di riferimento, operativo sin dagli anni ’70 del secolo scorso e tutt’ora attivo.
Ha depositato la propria requisitoria la Procura generale, chiedendo di annullare l’ordinanza, in accoglimento dell’impugnazione.
Ha depositato memoria e conclusioni scritte la difesa dell’indagato, chiedendo di rigettare il ricorso.
Il motivo di ricorso non è fondato e l’impugnazione, perciò, dev’essere respinta.
Il Procuratore ricorrente si limita a richiamare una linea interpretativa della giurisprudenza soltanto in apparente contrasto con quella valorizzata dal Tribunale del riesame (e più di recente ribadita, ad esempio, da Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272; Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, COGNOME, Rv. 286202). Entrambe, infatti, concordano su un nucleo interpretativo comune:
quello per cui la presunzione legale di esistenza di esigenze cautelari e di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere, per i soggetti gravemente indiziati di
partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, non possa essere vinta sulla base del solo “tempo silente”, il quale, tuttavia, non può reputarsi indifferente “a
prescindere”, vale a dire anche nel caso in cui l’interessato adduca, o siano altrimenti ricavabili dagli atti, altri dati di fatto specifici e logicamente compati
con lo scioglimento del sodalizio o con l’allontanamento dell’indagato da quel contesto criminale.
Se così è, una motivazione – come quella rassegnata dal Tribunale del riesame
– che coniughi l’obiettiva consistenza di quel tempo intermedio neutro, pari a quattro anni, con il ruolo di mero ordine svolto dal ricorrente in seno al sodalizio,
senza una sua diretta implicazione in “reati-scopo”, e con il suo vissuto immune da significativi pregiudizi penali, non può certo reputarsi in contrasto con la
disciplina di rito, secondo la lettura della stessa costituzionalmente orientata al principio di proporzionalità, né può ritenersi viziata da illogicità manifesta.
Ne consegue che essa sfugge a censura in questa sede.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2025.