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Presunzione esigenze cautelari: il tempo la attenua

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un Pubblico Ministero contro l’annullamento di una misura di custodia cautelare. La sentenza stabilisce che la presunzione di esigenze cautelari per reati di tipo mafioso non è assoluta e si attenua con il passare del tempo. Un notevole lasso temporale tra i fatti e l’applicazione della misura, unito a una condotta di vita regolare dell’indagato, impone al giudice una motivazione rafforzata sulla concreta e attuale pericolosità sociale del soggetto.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Esigenze Cautelari: La Cassazione e l’Effetto del Tempo

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 6 Penale, n. 22032 del 2025, offre un chiarimento fondamentale sul concetto di presunzione esigenze cautelari nel contesto dei reati di associazione di tipo mafioso. La Corte ha stabilito che, sebbene la legge preveda una presunzione di pericolosità per tali delitti, questa non è assoluta e deve essere attentamente vagliata dal giudice, soprattutto quando è trascorso un notevole lasso di tempo dai fatti contestati. Questo principio garantisce che la libertà personale, bene costituzionalmente protetto, non sia sacrificata sulla base di automatismi, ma solo a fronte di un pericolo concreto e attuale.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Napoli nei confronti di un soggetto indagato per partecipazione a un’associazione di tipo camorristico. All’indagato era contestato il ruolo di autista e factotum del reggente del clan. Tuttavia, il Tribunale del Riesame, accogliendo l’istanza difensiva, annullava tale misura. La motivazione del Tribunale si basava su due elementi chiave: il notevole tempo trascorso tra i fatti (risalenti a quasi cinque anni prima) e l’applicazione della misura, e il fatto che l’indagato fosse incensurato e privo di altre pendenze giudiziarie.

La Presunzione Esigenze Cautelari e il Ricorso del PM

Contro la decisione del Tribunale del Riesame, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per Cassazione. La Procura sosteneva una violazione dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Secondo tale norma, in presenza di gravi indizi per delitti di mafia, le esigenze cautelari si presumono e la custodia in carcere è considerata l’unica misura adeguata. Il Pubblico Ministero riteneva che il Tribunale avesse erroneamente disapplicato questa presunzione legale, seguendo un orientamento giurisprudenziale minoritario che dà peso al cosiddetto “tempo silente”, ovvero il periodo intercorso tra il reato e la misura cautelare, per escludere l’attualità del pericolo.

La Posizione della Difesa e della Procura Generale

La difesa dell’indagato, ovviamente, chiedeva il rigetto del ricorso, sostenendo la correttezza dell’operato del Tribunale del Riesame. A supporto della tesi accusatoria, invece, interveniva la Procura Generale presso la Corte di Cassazione, la quale concludeva per l’accoglimento del ricorso del PM e, di conseguenza, per l’annullamento dell’ordinanza di scarcerazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Pubblico Ministero, ritenendolo infondato. I giudici di legittimità hanno chiarito che il contrasto tra gli orientamenti giurisprudenziali citati dalle parti è solo apparente. Entrambe le linee interpretative, infatti, concordano su un nucleo fondamentale: la presunzione esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. non è assoluta e incondizionata. Il decorso di un lasso temporale significativo tra la cessazione della condotta criminosa e il momento della decisione sulla misura cautelare è un fattore che il giudice deve sempre considerare. Questo periodo di “silenzio investigativo”, se unito ad altri elementi favorevoli all’indagato (come lo stato di incensuratezza), può concretamente indebolire la presunzione di pericolosità sociale. In questi casi, non è sufficiente per il giudice fare generico riferimento alla presunzione legale; è invece necessaria una motivazione puntuale e specifica che dimostri perché, nonostante il tempo trascorso e la condotta apparentemente regolare, l’indagato sia ancora da ritenere socialmente pericoloso. Il Tribunale del Riesame, pertanto, aveva correttamente applicato questo principio, richiedendo una motivazione rafforzata che nell’ordinanza originaria era mancata.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio di civiltà giuridica: le misure che incidono sulla libertà personale devono essere ancorate a una valutazione concreta e attuale del pericolo. La presunzione esigenze cautelari è uno strumento a disposizione del legislatore per fronteggiare fenomeni criminali di particolare allarme, ma non può trasformarsi in un automatismo che svuota il ruolo del giudice. Il tempo che passa non è un fattore neutro; al contrario, è un elemento cruciale che, insieme ad altri indicatori, può dimostrare un allontanamento del soggetto dal contesto criminale. Questa decisione impone ai giudici della cautela un onere motivazionale più stringente, a garanzia dei diritti fondamentali dell’individuo, anche di fronte alle accuse più gravi.

La presunzione di esigenze cautelari per reati di mafia è assoluta?
No, la sentenza chiarisce che la presunzione non è assoluta. Il giudice deve sempre valutare la sussistenza di un pericolo concreto e attuale, soprattutto se è passato molto tempo dai fatti.

Quale valore ha il tempo trascorso tra il reato e l’applicazione della misura cautelare?
Un notevole lasso temporale tra la condotta contestata e l’applicazione della misura cautelare è un elemento fondamentale che indebolisce la presunzione di pericolosità. Questo fattore impone al giudice di fornire una motivazione specifica e rafforzata sulla necessità attuale della misura.

Lo stato di incensurato dell’indagato può influenzare la decisione sulla custodia in carcere per reati di mafia?
Sì, lo stato di incensuratezza, unito al decorso del tempo, è una circostanza che il giudice deve considerare. Può essere sintomatico di un possibile allontanamento dell’indagato dai contesti criminali e, quindi, incidere sulla valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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