Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13791 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13791 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 25/04/1984 a VILLARICCA
avverso l’ordinanza in data 30/10/2024 del TRIBUNALE DI NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostit Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame;
sentito l’avvocato NOME COGNOME, anche in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna l’ordinanza in data 30/10/2024 del Tribunale di Napoli, che ha confermato l’ordinanza in data 05/09/2024 del G.i.p. dello stesso Tribunale, il quale ha applicato misura cautelare della custodia in carcere per il reato di tentativo di estors aggravata dalle modalità mafiose.
Deduce:
1.1. Violazione di legge, inosservanza di norma processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen..
Il ricorrente premette che con l’istanza di riesame aveva evidenziato l’esistenza di una pluralità di elementi dimostrativi della ridotta pericolosità di Bianco, così da poter essere cautelato con la misura degli arresti domiciliari, per come evincibile -tra le altre cose- dalla natura tentata del reato, dalla desistenza volontaria rispetto alle condotte contestate, oltre che dalla loro datazione al novembre 2022 e dalla loro occasionalità, attesa la pacifica non appartenenza dell’indagato al sodalizio criminale, oltre all’atteggiamento collaborativo da lui assunto nel corso dell’interrogatorio di garanzia, quando ammetteva le proprie responsabilità operando anche una chiamata in reità a carico di COGNOME PietroCOGNOME
Denuncia, quindi, l’apparenza della motivazione, atteso che la posizione di COGNOME viene in gran parte trattata senza distinguerla da quella del coindagato NOMECOGNOME che -diversamente da COGNOME– veniva raggiunto da gravi indizi di colpevolezza anche in relazione al reato associativo, così che il tribunale attribuiva erroneamente anche all’odierno ricorrente la doppia presunzione di pericolosità, prevista soltanto in caso di intraneità ad associazione di tipo mafioso, segnalando apoditticamente la mancata indicazione di elementi concreti capaci di smentire il pericolo di recidiva e la recisione con il contesto di criminalità organizzata.
Sostiene, dunque, che proprio l’estraneità di COGNOME al sodalizio criminoso avrebbe dovuto spingere il tribunale a valutare se gli elementi rappresentati con il riesame fossero idonei a superare la presunzione di adeguatezza della sola misura della custodia cautelare in carcere.
Viene altresì denunciata la contraddittorietà della motivazione, che indicava COGNOME come uno dei soggetti più attivi del gruppo operante sul territorio, pur in presenza di una penetrante indagine che documentava l’estraneità dell’indagato 4al sodalizio criminoso, così che nessuna dissociazione doveva essere dimostrata.
Aggiunge che il tribunale richiedeva la prova del recesso da un gruppo criminale cui COGNOME non apparteneva, non essendo a tal fine conducente un unico precedente per armi risalente al 2011, come tale inidoneo a rappresentare un rapporto di continuità delinquenziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e perché propone questioni di merito non consentite in sede di legittimità.
1.1. La manifesta infondatezza attiene alla denuncia di motivazione apparente, fondata su un sostanziale travisamento delle argomentazioni poste a
fondamento della decisione impugnata, oltre che sulla pretermissione di molteplici elementi valorizzati dal tribunale.
Il travisamento della motivazione si rinviene soprattutto con riguardo al tema della recisione dei rapporti dal gruppo criminale.
Il ricorrente sostiene che i giudici sarebbero incorsi nel vizio di contraddittorietà in quanto, pur ritenendo Bianco estraneo al sodalizio criminoso, hanno comunque osservato che quegli non aveva dimostrato la recisione dal gruppo criminale, in realtà richiesta soltanto per gli appartenenti all’associazione di tipo mafioso.
Tale assunto si fonda su di una lettura parziale della motivazione dell’ordinanza impugnata che, invero, ha una struttura argomentativa ben più complessa ed è in gran parte trascurata dalla difesa.
Il tribunale, infatti, ha ben distinto la posizione dell’odierno ricorrente rispetto a quella di NOME, spiegando che dalle intercettazioni e dagli esiti delle attività investigative (che non sono state oggetto di contestazione) è emerso che, COGNOME, oltre a essere il protagonista principale della vicenda estorsiva in esame, risultava “profondo conoscitore” delle vicende del sodalizio criminoso, per come dimostrato da una pluralità di elementi valorizzati nell’ordinanza impugnata: conoscenza delle regole malavitose; conoscenza del “prezziario” applicato dal clan sulle tangenti nelle vendite dei capannoni; condivisione delle esigenze del clan di ridefinire gli equilibri criminali sul territorio, prevedendo lui stesso la destinazione di una quota al gruppo COGNOME; intervento per tentare una conciliazione con COGNOME NOME nel corso della vicenda estorsiva .
Il tribunale, in sostanza, ha valorizzato une serie di elementi a carico di COGNOME che fanno emergere l’esistenza di un suo rapporto consolidato con il clan, tale da permettergli di esprimersi su questioni strategiche del sodalizio e sui rapporti di questo con altri clan.
Vale la pena rimarcare come manchi nel ricorso in esame un reale confronto vquesto apparato argomentativo, considerato nella sua interezza.
Una volta evidenziati l’esistenza di un rapporto così profondamente strutturato e attivamente coltivato da COGNOME con il sodalizio criminoso e il correlato rapporto di derivazione della matrice mafiosa dell’estorsione, non si rinviene alcuna contraddittorietà nel fatto che il tribunale abbia ritenuto che, per superare la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sarebbe stato necessario dimostrare la recisione di tale legame tra l’indagato e il clan, pur non appartenendovi.
Una tale ordito motivazionale assolve all’obbligo di motivazione richiesto in tema di presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. quando il delitto aggravato dall’art. 416-bis.1 cod. pen. sia contestato a un soggetto che non sia intraneo al sodalizio di tipo mafioso.
A tale proposito, infatti, questa Corte ha già avuto modo di precisare che «in tema di custodia cautelare in carcere disposta per i delitti aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen., sebbene l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. operi una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, in difetto di contestazione di intraneità al contesto associativo di tipo mafioso, ma di mero ricorso alle modalità comportamentali tipiche di tali associazioni, la presunzione di perdurante pericolosità ha carattere marcatamente relativo e il giudice è chiamato a valutare gli elementi astrattamente idonei a escludere tale presunzione, desunti dal tipo di reato per il quale si procede, dalle concrete modalità del fatto e dalla risalenza dei precedenti. (Fattispecie relativa all’applicazione della custodia cautelare in carcere per il reato di tentata estorsione aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso nei confronti di persona che annoverava un unico precedente del 2007, in cui la Corte ha annullato, con rinvio al tribunale del riesame, l’ordinanza impugnata rilevando che il notevole arco di tempo trascorso tra il delitto contestato e l’unico precedente gravante sull’indagato, doveva essere valutato alla luce di tutte le condotte, coeve e successive al fatto, poste in essere dal soggetto)» (Sez. 5, n. 1525 del 06/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285808 – 01).
Peraltro, va sottolineato come il tribunale abbia altresì osservato che non poteva essere valorizzato a favore dell’indagato il rapporto collaborativo asseritamente prestato, visto che COGNOME aveva reso dichiarazioni inveritiere nel tentativo di ridimensionare la propria posizione e che il rapporto di lavoro allegato era stato di breve durata e part-time, così risultando insignificante.
Ancora, il tribunale ha altresì rimarcato, in punto di attualità delle esigenze, che dall’intercettazione n. 2747 del 10/03/2023, COGNOME NOME si rivolgeva proprio a COGNOME per procurarsi un’arma, così evocandosi una continuità rispetto ad altro delitto in materia di porto e detenzione di armi aggravati ai sensi dell’allora vigente art. 7 L. n. 203 del 1991, per il quale l’odierno ricorrente ha riportato condanna nel 2011.
Un tale apparato argomentativo -in gran parte trascurato dal ricorrentedimostra la manifesta infondatezza della denuncia di motivazione apparente, illogica e contraddittoria.
1.2. Tale manifesta infondatezza discende dal fatto che il ricorso si risolve, in realtà, in una valutazione delle risultanze processuali alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito e, in quanto tale, non prospettabile nè scrutinabile in sede di legittimità, atteso che, in tema di misure cautelari personali «il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito» (Sez. 2, n. 31553 del
4 GLYPH
•—.z,
17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di
Iasi, Rv. 269884 – 01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo Rv. 252178).
1.3. A ciò si aggiunga che il ricorso si mostra altresì aspecifico, atteso che
-per come visto- sfugge al confronto con l’apparato argomentativo del provvedi- mento impugnato, considerato nella sua interezza.
Il vizio di aspecificità, invero, si configura non solo nel caso della indeter- minatezza e genericità, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugna- zione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza
cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, n. 11951
del 29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv.
216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4,
03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492,
Tasca, Rv. 237596).
3. Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/02/2025