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Presunzione di pericolosità: tempo e rieducazione

La Corte di Cassazione annulla un’ordinanza di custodia cautelare per un reato di stampo mafioso commesso da minorenne oltre dieci anni prima. La sentenza sottolinea che la presunzione di pericolosità può essere superata da prove concrete come il lungo tempo trascorso e un percorso di rieducazione, che il giudice deve attentamente valutare.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di pericolosità: quando tempo e rieducazione contano

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 806 del 2024, offre un’importante lezione sul bilanciamento tra esigenze di sicurezza e diritti individuali, in particolare sul concetto di presunzione di pericolosità. La Corte ha stabilito che, anche di fronte a reati gravissimi come quelli di stampo mafioso, il giudice non può ignorare il tempo trascorso e il percorso di cambiamento di un individuo. Questa decisione riafferma la necessità di una valutazione concreta e attuale della pericolosità sociale, anche quando la legge la presume.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un uomo accusato di omicidio e tentato omicidio, commessi nel 2009 nell’ambito di un agguato di camorra per il controllo del territorio. All’epoca dei fatti, l’indagato era minorenne. Dopo molti anni, nel 2022, viene disposta nei suoi confronti una misura di custodia cautelare in un istituto penale minorile sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.

Il Tribunale del Riesame, dopo un primo annullamento e un rinvio da parte della stessa Cassazione, confermava la misura cautelare. L’indagato ha quindi presentato un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata valutazione della sua attuale pericolosità sociale.

La Decisione della Corte di Cassazione e la presunzione di pericolosità

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso relativo alle esigenze cautelari. I giudici hanno annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame, rinviando il caso per un nuovo giudizio. Il punto centrale è la critica alla valutazione operata dal giudice del rinvio, ritenuta illogica e in contrasto con i principi stabiliti dalla stessa Cassazione.

Il Tribunale aveva infatti fatto leva sulla gravità dei reati commessi nel 2009 e nel 2011 per dedurre una persistente pericolosità, ignorando completamente gli elementi positivi emersi nel lungo periodo intercorso.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Cassazione si concentra sull’interpretazione dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una presunzione di pericolosità per chi è gravemente indiziato di reati di mafia, con la conseguenza che la custodia in carcere è quasi automatica. Tuttavia, la Corte chiarisce che tale presunzione non è assoluta, ma relativa. Può essere superata fornendo la prova di elementi concreti che ne dimostrino l’infondatezza nel caso specifico.

La Corte ha individuato diversi errori nel ragionamento del giudice del Riesame:

1. Svalutazione del tempo trascorso: Il Tribunale non ha dato il giusto peso al fatto che i reati risalivano a oltre dieci anni prima. Un lasso di tempo così significativo impone una motivazione rafforzata sull’attualità del pericolo.

2. Errata interpretazione del percorso rieducativo: L’indagato, durante un lungo periodo di detenzione per un’altra causa, aveva intrapreso un percorso di risocializzazione, conseguendo un diploma professionale e partecipando ad attività laboratoriali. Il Riesame aveva erroneamente ritenuto questi elementi irrilevanti perché maturati in un contesto detentivo. La Cassazione ribalta questa visione, affermando che proprio le attività svolte in carcere, finalizzate al reinserimento sociale e lavorativo, sono indicatori concreti di un possibile cambiamento.

3. Violazione del principio rieducativo: Ignorare tali percorsi positivi, secondo la Corte, smentisce il senso rieducativo della pena sancito dall’art. 27 della Costituzione e si pone in conflitto con i principi indicati nel precedente provvedimento di rinvio.

La Suprema Corte ha quindi enunciato un principio di diritto chiaro: il giudice, nel valutare la sussistenza delle esigenze cautelari, deve considerare il fattore “tempo trascorso dai fatti” e la “rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza”, desumibile da indicatori concreti come le attività risocializzanti svolte durante la detenzione e l’assenza di recenti comportamenti criminali.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa sentenza è di fondamentale importanza. Essa stabilisce che nessuna presunzione legale può trasformarsi in un automatismo che ignora la realtà attuale di una persona. Anche per i reati più gravi, la valutazione sulla pericolosità deve essere ancorata al presente, tenendo conto di tutti gli elementi disponibili, inclusi quelli che testimoniano un cambiamento positivo.

In pratica, la decisione rafforza le garanzie individuali, imponendo ai giudici un onere motivazionale più stringente. Non basta richiamare la gravità del reato passato per giustificare una misura cautelare; è necessario spiegare perché, nonostante il tempo e gli eventuali percorsi di recupero, l’indagato sia ancora oggi pericoloso. Questo approccio garantisce che la custodia cautelare rimanga ciò che deve essere: una misura eccezionale, legata a un pericolo concreto e attuale, e non una pena anticipata.

La presunzione di pericolosità per i reati di mafia è assoluta?
No. Secondo la sentenza, la presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. è relativa. Ciò significa che può essere superata se la difesa fornisce elementi concreti che dimostrano l’assenza di un pericolo attuale, come il lungo tempo trascorso e un percorso di risocializzazione.

Il tempo trascorso dal reato è sufficiente da solo a escludere le esigenze cautelari?
No, il solo decorso del tempo non è di per sé sufficiente. Tuttavia, la Corte sottolinea che un notevole lasso di tempo, unito ad altri indicatori concreti (come l’assenza di nuovi reati e un percorso di recupero), deve essere attentamente valutato dal giudice per verificare l’attualità della pericolosità.

Le attività di rieducazione svolte in carcere hanno valore nella valutazione della pericolosità attuale?
Sì, assolutamente. La Cassazione ha stabilito che le attività risocializzanti svolte durante periodi di detenzione (come lo studio, il lavoro e la partecipazione a laboratori) sono indicatori concreti di un possibile cambiamento e devono essere considerate positivamente nel giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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