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Presunzione di pericolosità: quando resta in carcere

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare per un soggetto accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha stabilito che la presunzione di pericolosità non viene meno con il solo trascorrere del tempo se l’indagato manifesta, con condotte concrete anche durante la detenzione, la persistenza del legame con il sodalizio criminale e una continua pericolosità sociale.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di Pericolosità: Anche in Carcere la Pericolosità Sociale Non Si Ferma

La valutazione della presunzione di pericolosità in materia di reati associativi, come il traffico di stupefacenti, è un tema complesso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti fondamentali, stabilendo che il semplice trascorrere del tempo non è sufficiente a dimostrare la cessazione dei legami con un’organizzazione criminale, specialmente se la condotta dell’indagato, anche durante la detenzione, indica il contrario. Analizziamo il caso per comprendere i principi applicati dai giudici.

Il Contesto del Ricorso: Tempo Trascorso e Attività Lavorativa

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/1990). La difesa sosteneva che le esigenze cautelari non fossero più attuali, basando la propria tesi su due elementi principali:

1. Il lungo tempo trascorso (tre anni) dall’ultimo contatto documentato con il sodalizio criminale.
2. Lo svolgimento di un’attività lavorativa proficua, sia dentro che fuori dal carcere, interpretata come segno di un percorso di riscatto e di rescissione dei legami criminali.

Secondo il ricorrente, questi fattori avrebbero dovuto superare la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, che in questi casi non è assoluta ma relativa.

La Valutazione della Presunzione di Pericolosità da Parte della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale di Roma. I giudici hanno ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato: la prognosi sulla pericolosità di un soggetto coinvolto in un’associazione criminale non si limita a valutare l’operatività attuale dell’associazione stessa o la data degli ultimi reati-fine commessi. Al contrario, essa deve considerare la possibile commissione di futuri reati che esprimano la stessa professionalità criminale e lo stesso livello di inserimento nei circuiti illegali.

Le Condotte Rilevanti in Carcere

La Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente valutato l’attualità del pericolo di reiterazione del reato. L’errore della difesa è stato quello di isolare il fattore tempo, senza considerare le condotte tenute dal ricorrente anche dopo i primi arresti. Nello specifico, sono emersi elementi schiaccianti che dimostravano la persistenza del vincolo associativo:

* Prosecuzione dell’attività criminale: L’individuo aveva continuato a operare per il sodalizio anche dopo un primo arresto nel 2021.
* Rinnovata fedeltà: Durante i colloqui in carcere successivi a un secondo arresto nel 2022, aveva rinnovato la sua fedeltà al capo dell’organizzazione.
* Spaccio in carcere: Dalle intercettazioni telefoniche era emerso che l’indagato si era dedicato allo spaccio di stupefacenti persino all’interno dell’istituto penitenziario.
* Sostegno economico dall’associazione: Riceveva denaro dal capo del sodalizio per il proprio mantenimento in carcere e per le spese legali.

Questi comportamenti sono stati interpretati come sintomi inequivocabili di una perdurante pericolosità, rendendo irrilevante il lasso di tempo trascorso dai fatti originariamente contestati.

le motivazioni della decisione

La decisione della Corte si fonda sulla corretta applicazione dei principi che regolano la presunzione di pericolosità. I giudici hanno spiegato che, sebbene tale presunzione sia relativa e possa essere vinta da prova contraria, gli elementi portati dalla difesa erano del tutto insufficienti. Anzi, le condotte successive dell’indagato non solo non dimostravano un distacco dal contesto criminale, ma ne confermavano la piena e attuale appartenenza. Il vincolo con l’associazione non si era mai interrotto; al contrario, si era manifestato con atti concreti e gravi anche durante lo stato di detenzione. In un simile contesto, il decorso del tempo perde la sua valenza di elemento potenzialmente indicativo di una cessata pericolosità, poiché è neutralizzato da comportamenti che ne dimostrano la piena attualità.

le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale: per vincere la presunzione di pericolosità legata a gravi reati associativi, non basta affermare di aver cambiato vita. È necessario fornire elementi concreti, univoci e concludenti che dimostrino una reale e definitiva rottura con l’ambiente criminale di provenienza. Le attività svolte durante la detenzione assumono un’importanza fondamentale in questa valutazione. Continuare a operare per l’associazione, manifestare fedeltà ai capi e delinquere anche da reclusi costituisce la prova più evidente che le esigenze cautelari non solo persistono, ma sono più che mai attuali. Per la giustizia, i fatti contano più del tempo che passa.

Il semplice trascorrere del tempo è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità per un soggetto accusato di associazione per delinquere?
No. Secondo la sentenza, il tempo trascorso è solo uno degli elementi di valutazione e non è di per sé idoneo a far ritenere superata la presunzione, specialmente se altre condotte dimostrano la persistenza del legame criminale e della pericolosità sociale.

Le azioni commesse da un indagato mentre si trova in carcere possono influenzare la valutazione delle esigenze cautelari?
Sì, in modo decisivo. La Corte ha dato grande peso al fatto che l’indagato avesse continuato a delinquere (spacciando in carcere), a mantenere contatti e a ricevere supporto economico dall’associazione durante la detenzione, ritenendo tali condotte una chiara prova dell’attualità della sua pericolosità.

Cosa comporta per il ricorrente la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La declaratoria di inammissibilità impedisce alla Corte di esaminare il merito delle questioni sollevate. Comporta inoltre la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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