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Presunzione di pericolosità: quando resta il carcere

Un indagato per aver favorito l’evasione di un boss mafioso si è visto negare gli arresti domiciliari. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, confermando che la presunzione di pericolosità per reati di mafia non è superata solo dalla gravità dei fatti, richiamando i rigidi orientamenti giurisprudenziali in materia.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di pericolosità e reati di mafia: la Cassazione conferma il carcere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30500/2025, affronta un tema cruciale nel diritto processuale penale: la presunzione di pericolosità associata ai reati di stampo mafioso e i limiti per la concessione di misure cautelari alternative al carcere, come gli arresti domiciliari. La pronuncia chiarisce che la gravità dei fatti e la natura del reato contestato sono elementi sufficienti a giustificare il mantenimento della custodia in carcere, anche per soggetti incensurati.

Il caso: aiuto a un evaso e la richiesta di arresti domiciliari

Il caso esaminato riguarda un uomo gravemente indiziato di aver prima agevolato l’evasione di un noto esponente di un’associazione mafiosa e, successivamente, di averlo aiutato a sottrarsi all’esecuzione della pena e alle ricerche della polizia. A fronte di tali accuse, il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto la custodia cautelare in carcere.

La difesa dell’indagato aveva richiesto la sostituzione di tale misura con gli arresti domiciliari, anche con l’applicazione del braccialetto elettronico. La richiesta era stata però rigettata sia dal GIP che, in seguito, dal Tribunale del riesame. Quest’ultimo aveva fondato la sua decisione sulla gravità dei fatti e dei reati contestati, ritenendo non superata la presunzione di pericolosità sociale prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale.

Il ricorso in Cassazione basato sulla mancanza di elementi concreti

Contro la decisione del Tribunale, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, il Tribunale si sarebbe limitato a un generico riferimento alla gravità della condotta, senza indicare alcun elemento concreto da cui desumere un effettivo pericolo di recidiva. Si sottolineava, inoltre, lo stato di incensuratezza del ricorrente e il fatto che, in regime di arresti domiciliari, non avrebbe potuto avere contatti con persone diverse dai conviventi.

Le motivazioni della Corte: due orientamenti a confronto

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per fare il punto sui diversi orientamenti giurisprudenziali relativi alla valenza della presunzione di pericolosità. La Corte ha ricordato che esistono due principali linee interpretative:

1. Orientamento Rigoroso: Formatosi soprattutto in relazione alle mafie storiche, sostiene che la presunzione possa essere vinta solo con la prova del recesso dell’indagato dall’associazione criminale o con l’esaurimento dell’attività della stessa. Il semplice decorso del tempo dai fatti contestati (il cosiddetto ‘tempo silente’) non è, da solo, sufficiente a dimostrare un allontanamento irreversibile dal sodalizio.
2. Orientamento più Flessibile: Ritiene che il giudice abbia sempre l’obbligo di motivare sulla rilevanza del tempo trascorso, anche in assenza di una specifica richiesta della difesa, poiché la presunzione ha carattere relativo e non assoluto.

Nel caso specifico, la Corte ha implicitamente aderito all’approccio più rigoroso. Ha stabilito che il Tribunale aveva correttamente ritenuto non superata la presunzione legale, basandosi sulla gravità dei fatti e sulla natura dei reati, che sono di per sé indicatori di un’elevata pericolosità sociale. La richiesta dell’indagato non era supportata da elementi concreti capaci di smentire tale presunzione.

Le conclusioni: la conferma del carcere e le implicazioni pratiche

In conclusione, la sentenza ribadisce un principio fondamentale: per i reati di particolare allarme sociale, come quelli con l’aggravante mafiosa, la legge stabilisce una presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere. Per ottenere una misura meno afflittiva, non è sufficiente appellarsi alla propria incensuratezza o all’assenza di contatti esterni in caso di arresti domiciliari. È necessario, invece, fornire al giudice elementi specifici, concreti e oggettivi che dimostrino in modo inequivocabile il venir meno delle esigenze cautelari. In assenza di tale prova, la gravità intrinseca dei reati contestati è di per sé sufficiente a giustificare il mantenimento della misura cautelare più severa.

Per reati di mafia è possibile ottenere gli arresti domiciliari al posto del carcere?
È molto difficile. La legge prevede una ‘presunzione di pericolosità’ che rende la custodia in carcere la misura standard. Per ottenere una misura meno afflittiva, l’indagato deve fornire prove concrete e oggettive che dimostrino l’assenza di esigenze cautelari, come il recesso dall’associazione criminale.

La gravità dei fatti è un elemento sufficiente per negare gli arresti domiciliari?
Sì. Secondo la sentenza, la gravità dei fatti e i titoli di reato (in questo caso legati ad associazioni mafiose) sono elementi che fondano la presunzione di pericolosità, rendendo di fatto non superata la necessità della custodia in carcere.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente applicato il principio della presunzione di pericolosità, non superata nel caso di specie, confermando così la decisione di mantenere l’indagato in custodia cautelare in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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