Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13803 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13803 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Biancavilla l’11/06/1977;
avverso la ordinanza del Tribunale di Catania, in funzione di giudice del riesame, del 02/12/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; {6
sentito l’avv. COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
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Con la ordinanza in epigrafe, pronunciata ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., il Tribunale di Catania ha confermato quella emessa dal Giudice per le indagini preliminari della stessa città in data 28 ottobre 2024, con la quale, tra l’altro, era stata disposta nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto gravemente indiziato del delitto di detenzione e porto illegale di ami da fuoco con l’aggravante dell’agevolazione del clan mafioso COGNOME Taccuni di Biancavilla, dal 2019 e in permanenza attuale (capo 8 della imputazione provvisoria).
In sintesi, il Tribunale – dopo avere premesso la perdurante operatività nell’arco temporale 2020/2022 dell’associazione mafiosa COGNOME in Adrano (quale articolazione del clan catanese COGNOME) – ha respinto la richiesta di riesame proposta dall’indagato, ritenendo che la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico trovava conferma nelle varie intercettazioni, nelle attività di osservazione e controllo poste in essere dalla polizia giudiziaria e nelle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia. Quanto poi alle esigenze di natura cautelare il Tribunale ha evidenziato l’assenza di elementi in forza dei quali superare la c.d. ‘doppia presunzione’ e, comunque, la sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati desunto dall’inserimento dell’indagato nel settore del commercio illecito delle armi da fuoco e nel clan mafioso sopra indicato, dedito all’utilizzo delle armi per mantenere la propria egemonia sul territorio di riferimento.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo pe suo annullamento.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc., l’erronea applicazione ed interpretazione dell’art. 273 del codice di rito ed il vizio di motivazione omessa ed illogica, anche per travisamento, con riferimento alla desunta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto oggetto di imputazione provvisoria fondato, a suo dire, unicamente sulle intercettazioni rimaste del tutto prive di riscontri esterni.
2.2. Con il secondo motivo l’indagato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 274 e ss. del codice di rito rispetto alla ritenuta sussistenza delle esigenze di natura cautelare ed ai criteri di scelta della misura; al riguardo, osserva che l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto, in particolare, del fatto che egli è già detenuto per un altro procedimento, di talché non sussiste il pericolo di reiterazione del reato.
Il sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha depositato memoria con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Infine, all’esito della udienza in camera di consiglio, le parti hanno concluso nei termini sopra riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Anzitutto, deve ricordarsi che la verifica che viene compiuta in questa sede non riguarda la ricostruzione dei fatti, né può comportare la sostituzione dell’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, dovendosi dirigere verso il controllo che il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e per verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devon governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01), nel provvedimento genetico, purché le deduzioni difensive non siano potenzialmente tali da disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo in tal caso la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate.
2.1. Inoltre, al fine dell’adozione della misura cautelare, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati; in altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comm 2, cod. proc. pen.
2.2. Non va poi dimenticato che, ai fini della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, è illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il loro esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine (Sez. 1, n.30415 del 25/09/2020, Rv. 279789 – 01).
Ciò posto, il materiale indiziario esaminato dal Tribunale di Catania è costituito dagli esiti della prova tecnica (intercettazioni ambientali e telefoniche) e dai dati conoscitivi di natura dichiarativa rappresentati dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia. Al riguardo deve ricordarsi che l’interpretazione delle conversazioni intercettate, persino quando le stesse abbiano contenuto criptico o cifrato, costituisce questione di fatto; questione, pertanto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e che si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Pertanto, laddove con il vizio di motivazione, si proponga in realtà una diversa e alternativa lettura delle risultanze dialogiche, condotta nella decisione senza vizi logici e travisamenti cognitivi, la censura è in parte qua inammissibile, poiché il controllo di legittimità non ha ad oggetto il fatto, ma la motivazione espressa a sostegno della sua ricostruzione.
Come è noto, gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni, alle quali non abbia partecipato l’indagato, costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall’art. 192, comma 1, cod. proc. pen., senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno; tuttavia, qualora tali elementi abbiano natura indiziaria, essi debbono essere valutati alla luce del disposto dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME ed altri Rv. 260842). La valenza dimostrativa delle captazioni è, invero, collegata al fatto che i colloquianti sono ignari dell’ascolto operato da terzi, il che svincola l’attività espressiva da ogni formalizzazione,
rendendola tendenzialmente genuina e potenzialmente autosufficiente, quando sia rintracciabile chiarezza espressiva nella narrazione dei fatti vissuti e comunicati, e possa essere esclusa la veicolazione di dati non rispondenti al vero, per imprecisione, millanteria o interesse specifico del locutore. Deve poi evidenziarsi che sono prive di fondamento le censure con cui si contesta l’omesso vaglio della credibilità soggettiva dei propalanti, che è stata oggetto di specifico esame nella ordinanza impugnata senza violare alcuno degli obblighi motivazionali tipici della fase in cui si trova ancora il presente procedimento.
Nel caso in esame il Tribunale di Catania, con motivazione adeguata ed esente da evidenti vizi logici, ha convenuto con la prospettazione accusatoria rispetto alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’odierno ricorrente per il delitto oggetto della imputazione provvisoria a suo carico. Nello specifico, dopo avere sottolineato la operatività del clan COGNOME in Adrano nell’arco temporale dal 2020 al 2022 e che l’indagato era stato oggetto di un procedimento per appartenenza al medesimo sodalizio per il periodo intercorso dal 2018 sino al novembre 2020, il giudice del riesame cautelare ha osservato che NOME COGNOME aveva un rapporto privilegiato con il capo NOME COGNOME con il quale affrontava le questioni di interesse del gruppo, nel cui interesse curava anche i rapporti con il gruppo catanese di riferimento sopra indicato.
4.1. Quanto poi al reato oggetto della imputazione provvisoria si è dato rilievo, in modo non contraddittorio, al contenuto di varie intercettazioni nel corso delle quali l’indagato ed altri sodali discutevano di armi già in loro possesso, nonché dell’acquisto di nuove; in particolare, nel corso di una conversazione l’odierno ricorrente si mostrava interessato all’acquisto di una pistola illegalmente detenuta da NOME COGNOME, mentre in un’altra egli si vantava con uno sconosciuto di essere un esperto in materia e di detenere le armi proprio per il gruppo mafioso sopra indicato (cfr. pagg. 4 e ss. dell’ordinanza impugnata).
4.2. Da quanto sopra esposto consegue che il Tribunale del riesame ha motivato, in modo adeguato e coerente, rispettando i principi giurisprudenziali in materia, circa la sussistenza degli elementi che consentono di configurare l’esistenza del delitto di porto e detenzione di armi e della aggravante contestata, valutando complessivamente tutti gli elementi di carattere indiziario sopra indicati. Deve infine aggiungersi che il Tribunale ha anche fatto proprie le
valutazioni contenute nell’ordinanza genetica rispetto alla credibilità del narrato dei vari collaboratori di giustizia che hanno rilasciato dichiarazioni nell’ambito del presente procedimento (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME).
Pertanto, il ricorrente – pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione – intende pervenire ad una differente valutazione degli elementi di natura indiziaria rispetto a quella coerentemente svolta dal giudice a quo.
Anche il secondo motivo è infondato; come noto, in tema di misure cautelari personali, il disposto di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sancisce, nei confronti degli indagati di delitti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. una doppia presunzione, di natura relativa per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze cautelari e di natura assoluta con riguardo all’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria, quest’ultima superabile nei soli casi previsti dall’art. 275, commi 4 e 4-bis, del codice di rito (Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, Rv. 284857 – 01). Il giudice, quindi, non deve dimostrare la ricorrenza dei ‘pericula libertatis’ ma deve soltanto apprezzare gli eventuali segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione, in mancanza dei quali va applicata in via obbligatoria la misura della custodia in carcere.
5.1. Con riferimento alla dedotta insussistenza delle esigenze cautelari in considerazione del fatto che l’indagato è detenuto per altra causa, si rileva anzitutto che egli – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso – non chiarisce se si trova in regime di custodia cautelare o in espiazione della pena e che, comunque, in tema di misure restrittive della libertà, non incide sulla valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari, la eventuale detenzione dell’indagato già, a diverso titolo, in atto, in quanto soggetta ad autonome vicende, cui non è connessa la ragione di cautela imposta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
5.2. Nel caso in esame il Tribunale, in modo non manifestamente illogico, ha dato rilievo alla operatività dell’associazione sino a tempi non risalenti ed al fatto che l’indagato deteneva le armi per conto del sodalizio, al fine di garantire la sua egemonia sul territorio attraverso azioni violente anche nei confronti di gruppi
rivali. Ne consegue che, anche rispetto a tali profili, l’indagato sollecit apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimità.
6. Il ricorso deve essere, pertanto, respinto ed il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle
spese processuali; la cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94, comma disp. att. cod. proc. pen.
1-ter,
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese. Manda alla disp. att. cod.
cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, proc. pen.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2025.