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Presunzione di pericolosità nel reato di mafia: la Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un individuo contro la misura della custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa. La sentenza ribadisce la forza della presunzione di pericolosità prevista per questo tipo di reato, affermando che una precedente condanna, unita a recenti contatti con esponenti del clan, è sufficiente a dimostrare la persistenza del vincolo e a giustificare la misura detentiva, superando le obiezioni basate sul mero decorso del tempo.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di Pericolosità nel Reato di Mafia: la Cassazione Conferma la Custodia in Carcere

Con la sentenza n. 11786/2024, la Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: la presunzione di pericolosità per chi è accusato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.). La pronuncia chiarisce come, anche a distanza di anni da una precedente condanna, la custodia in carcere resti la misura adeguata se emergono elementi che indicano la persistenza del legame con il sodalizio criminale. Questo principio è fondamentale per comprendere il rigore del sistema cautelare in materia di mafia.

I Fatti del Caso: la Persistenza del Legame Criminale

Il caso riguarda un individuo, già condannato in via definitiva nel 1998 per associazione mafiosa, raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il Tribunale del Riesame aveva confermato la misura, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza circa la sua perdurante partecipazione a un noto clan mafioso. Secondo l’accusa, l’uomo, una volta tornato in libertà, aveva ripreso attivamente il suo ruolo all’interno dell’organizzazione, dedicandosi ad attività estorsive, mantenendo contatti costanti con esponenti di vertice del gruppo e provvedendo al sostentamento di altri membri detenuti.

La Difesa e i Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre argomenti principali:
1. Mancanza di gravi indizi: Si sosteneva che gli elementi raccolti non provassero una condotta di partecipazione attiva e che la vecchia condanna del 1998 non potesse essere decisiva.
2. Carenza delle esigenze cautelari: La difesa contestava la sussistenza di un pericolo attuale e concreto di recidiva, data la lontananza nel tempo dei precedenti penali.
3. Inadeguatezza della misura: La custodia in carcere era ritenuta una misura sproporzionata e eccessivamente afflittiva.

L’Analisi della Corte sulla Presunzione di Pericolosità

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi. L’analisi dei giudici si è concentrata su due pilastri fondamentali.

Continuità del Vincolo Associativo

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte ha validato l’approccio del Tribunale del Riesame, il quale aveva valorizzato una serie di elementi concreti. Le intercettazioni telefoniche e ambientali dimostravano non solo contatti persistenti con figure apicali del clan, ma anche un coinvolgimento diretto in dinamiche criminali attuali, come le estorsioni nel settore ortofrutticolo e il fenomeno del cosiddetto “cavallo di ritorno”. Questi fatti, secondo la Corte, smentivano l’ipotesi di un legame ormai reciso, dimostrando al contrario una piena e continua operatività dell’indagato all’interno del sodalizio.

La Doppia Presunzione dell’Art. 275 c.p.p.

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Per i reati di mafia, questa norma stabilisce una duplice presunzione:
* Presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari: Si presume, fino a prova contraria, che esista un concreto pericolo di reiterazione del reato. Spetta all’indagato dimostrare l’assenza di tale pericolo.
* Presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere: La detenzione in carcere è considerata l’unica misura idonea a fronteggiare la pericolosità, salvo che non vengano forniti elementi specifici che dimostrino il contrario.

La Corte ha sottolineato che il mero decorso del tempo dalla precedente condanna non è, da solo, sufficiente a vincere la presunzione di pericolosità. Questo perché il legame con un’associazione mafiosa è per sua natura stabile e permanente, e solo una prova concreta di rescissione del vincolo può attenuare il giudizio di pericolosità.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla giurisprudenza consolidata in materia. I giudici hanno affermato che la valutazione della prova sulla continuità dell’adesione al sodalizio può basarsi anche su elementi che, presi singolarmente, non sarebbero sufficienti per una nuova accusa di partecipazione. Tuttavia, quando letti alla luce di una precedente condanna definitiva, questi elementi (come contatti, incontri, coinvolgimento in affari illeciti) acquistano un peso indiziario significativo, dimostrando che il vincolo non si è mai interrotto. Di conseguenza, le presunzioni legali previste dall’art. 275 c.p.p. operano a pieno regime, rendendo obbligatoria l’applicazione della custodia in carcere in assenza di prove contrarie fornite dalla difesa, prove che nel caso di specie non sono state presentate.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce la linea di rigore dell’ordinamento nella gestione cautelare dei reati di criminalità organizzata. Le conclusioni che se ne traggono sono chiare: per chi ha un passato di appartenenza a un clan mafioso, qualsiasi segnale di contatto o coinvolgimento attuale può riattivare la massima allerta dello Stato. La presunzione di pericolosità non è un automatismo cieco, ma un principio fondato sulla natura stessa del vincolo mafioso, che richiede una prova attiva e inequivocabile di dissociazione per poter essere superato. Questa pronuncia serve da monito, confermando che il tempo, da solo, non cancella il marchio di pericolosità sociale legato all’appartenenza mafiosa.

Una vecchia condanna per mafia è sufficiente per giustificare una nuova misura cautelare in carcere?
No, non da sola. Tuttavia, secondo la sentenza, una precedente condanna definitiva diventa un elemento di fortissimo peso se unita a nuovi indizi (come intercettazioni, contatti con esponenti del clan, coinvolgimento in attività illecite) che dimostrino la persistenza e l’attualità del legame con l’associazione criminale.

Come funziona la presunzione di pericolosità per i reati di mafia?
Per i reati di associazione mafiosa, la legge (art. 275, comma 3, c.p.p.) presume due cose: primo, che esistano le esigenze cautelari (pericolo di reiterazione del reato), a meno che l’indagato non provi il contrario; secondo, che la custodia in carcere sia l’unica misura adeguata. L’indagato deve fornire elementi specifici per dimostrare di aver reciso ogni legame con l’ambiente criminale.

Il semplice passare del tempo può annullare la pericolosità di un soggetto legato alla mafia?
No. La sentenza chiarisce che il mero decorso del tempo ha una valenza neutra. Per superare la presunzione di pericolosità, non basta che sia passato molto tempo da una condanna precedente, ma è necessario che questo lasso di tempo sia accompagnato da altri elementi concreti che dimostrino un’effettiva rescissione del legame con il sodalizio criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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