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Presunzione di pericolosità: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Sebbene i gravi indizi di colpevolezza siano stati confermati, la Corte ha riscontrato un difetto di motivazione sulla presunzione di pericolosità dell’indagato. Il giudice del riesame non aveva adeguatamente considerato il notevole lasso di tempo trascorso dall’unico precedente penale dell’imputato, risalente a molti anni prima. La decisione sottolinea che la presunzione non è assoluta e richiede una valutazione concreta degli elementi a favore dell’indagato.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di Pericolosità e Misure Cautelari: Il Tempo Trascorso Conta

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V Penale, n. 1525 del 2024, offre un’importante riflessione sul concetto di presunzione di pericolosità nei reati aggravati dal metodo mafioso. La Corte ha stabilito che, ai fini dell’applicazione di una misura cautelare, il giudice non può ignorare elementi fattuali, come il notevole tempo trascorso da un unico precedente penale, che contrastano con la presunta pericolosità sociale dell’indagato. La decisione sottolinea la necessità di una motivazione concreta e non automatica.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di tentata estorsione, aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso. L’ipotesi accusatoria si basava su una serie di intercettazioni dalle quali emergeva il tentativo di ottenere uno sconto sull’acquisto di capi di abbigliamento dal titolare di un esercizio commerciale, facendo leva sull’influenza di un noto clan camorristico locale.

Il Tribunale del Riesame, pur annullando parzialmente l’ordinanza per altri reati per incompetenza territoriale, confermava la misura cautelare per la tentata estorsione. Secondo il Tribunale, le conversazioni intercettate fornivano gravi indizi di colpevolezza e giustificavano l’applicazione della presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha impugnato l’ordinanza del Riesame davanti alla Corte di Cassazione, articolando quattro motivi di ricorso:

1. Travisamento delle prove: Si sosteneva che il Tribunale avesse interpretato le intercettazioni in modo parziale e decontestualizzato.
2. Insussistenza del delitto tentato: La difesa argomentava la mancanza degli elementi costitutivi del tentativo di estorsione, quali l’idoneità e l’univocità degli atti.
3. Insussistenza dell’aggravante mafiosa: Veniva contestata la riconducibilità della condotta al metodo mafioso, data l’assenza di minacce esplicite o riferimenti diretti al clan.
4. Carenza delle esigenze cautelari: Si lamentava che il Tribunale avesse applicato automaticamente la presunzione di pericolosità senza considerare un elemento cruciale: l’unico precedente penale dell’indagato risaliva al 2007, un arco temporale così lungo da mettere in discussione la sua attuale pericolosità sociale.

La Valutazione della Presunzione di Pericolosità da Parte della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato i primi tre motivi, ritenendoli infondati. Ha chiarito che l’interpretazione delle intercettazioni è di competenza del giudice di merito e che, nel caso di specie, la valutazione del Tribunale era logica e coerente. Anche la sussistenza dei gravi indizi per il reato tentato e per l’aggravante mafiosa è stata confermata, poiché dal contesto emergeva l’intenzione di sfruttare la forza intimidatrice del clan.

Il punto di svolta è stato il quarto motivo. La Suprema Corte ha accolto la doglianza della difesa, ravvisando un vizio di motivazione proprio sulla valutazione delle esigenze cautelari e sulla presunzione di pericolosità. I giudici di legittimità hanno affermato che la presunzione prevista per i reati di mafia è relativa (iuris tantum) e non assoluta (iuris et de iure).

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha spiegato che, sebbene per i reati aggravati dal metodo mafioso operi una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, questa non esonera il giudice da una valutazione concreta degli elementi forniti dalla difesa per superarla. Nel caso specifico, la difesa aveva evidenziato il notevole lasso di tempo (oltre 15 anni) tra il fatto contestato e l’unico precedente penale dell’imputato.

Questo elemento, secondo la Cassazione, è “astrattamente idoneo a porsi in conflitto con la presunzione di perdurante pericolosità”. Di conseguenza, il Tribunale del Riesame avrebbe dovuto fornire una motivazione “adeguata” e non apodittica per spiegare perché tale circostanza non fosse sufficiente a vincere la presunzione. L’applicazione automatica della norma, senza un confronto argomentativo con i dati fattuali contrari, costituisce un difetto di motivazione che vizia il provvedimento.

Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale dello stato di diritto: le misure che limitano la libertà personale devono essere sempre supportate da una motivazione solida, individualizzata e basata su fatti concreti. La presunzione di pericolosità, pur essendo uno strumento importante, non può trasformarsi in un automatismo che svuota di significato il diritto di difesa. Il tempo trascorso da precedenti condotte illecite è un fattore che il giudice ha l’obbligo di ponderare attentamente, fornendo una spiegazione logica e coerente qualora decida di ritenerlo irrilevante. La causa è stata quindi rinviata al Tribunale di Napoli per un nuovo esame che tenga conto di questo principio.

La presunzione di pericolosità per reati aggravati dal metodo mafioso è sempre assoluta?
No, la sentenza chiarisce che la presunzione è relativa. Ciò significa che può essere superata da elementi di prova concreti che dimostrino l’assenza di attuali esigenze cautelari a carico dell’indagato.

Il lungo tempo trascorso da un precedente reato può essere sufficiente a vincere la presunzione di pericolosità?
Sì, la Corte ha stabilito che un notevole arco di tempo trascorso tra il reato contestato e l’unico precedente penale è un elemento idoneo a porsi in conflitto con la presunzione di pericolosità. Per superare tale elemento, il giudice deve fornire una motivazione specifica e adeguata.

Cosa succede quando la Cassazione annulla un’ordinanza di custodia cautelare per difetto di motivazione?
La Corte di Cassazione annulla il provvedimento e rinvia il caso al giudice che lo aveva emesso (in questo caso, il Tribunale del Riesame) per un nuovo giudizio. Quest’ultimo dovrà riesaminare il punto specifico (le esigenze cautelari), applicando i principi di diritto indicati dalla Cassazione e fornendo una motivazione completa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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