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Presunzione di pericolosità: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa. La Corte ha stabilito che la presunzione di pericolosità non può basarsi su motivazioni astratte, ma richiede una valutazione concreta dei fatti, specialmente dopo un lungo periodo di detenzione dell’indagato senza prove di un persistente legame con il sodalizio criminale. Il caso è stato rinviato al Tribunale per un nuovo esame.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di Pericolosità: la Cassazione richiede una valutazione concreta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di misure cautelari per reati di mafia, sottolineando che la presunzione di pericolosità non può giustificare la detenzione in carcere in modo automatico. La decisione del giudice deve sempre basarsi su una valutazione concreta e aggiornata dei fatti, specialmente quando un lungo periodo di tempo e la detenzione pregressa creano un ‘vuoto probatorio’ sull’attualità del vincolo associativo. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo indagato per partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, con un’imputazione che copre il periodo ‘dal marzo 2016 all’attualità’. A suo carico veniva disposta la misura della custodia cautelare in carcere. La difesa, tuttavia, presentava ricorso evidenziando circostanze peculiari: l’indagato era stato detenuto ininterrottamente dal 2017 al 2023 per espiare un’altra pena. Una volta tornato in libertà, si era trasferito in Brasile per avviare un’attività imprenditoriale, rientrando in Italia solo per partecipare al procedimento a suo carico. La difesa sosteneva che questi elementi, uniti all’assenza di contatti recenti con altri indagati, fossero sufficienti a dimostrare il superamento della presunzione di pericolosità.

Il Tribunale del Riesame aveva confermato la misura, ritenendo che lo stato detentivo non implicasse di per sé la rescissione del legame con il clan e che il trasferimento in Brasile avesse una ‘valenza neutra’, data la presunta pregressa attività dell’indagato nel narcotraffico internazionale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’indagato, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale. La Corte ha ritenuto viziata la motivazione del provvedimento impugnato, giudicandola astratta e non adeguatamente ancorata alle specificità del caso concreto. La decisione non ha riguardato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma si è concentrata esclusivamente sulla valutazione delle esigenze cautelari e, in particolare, sulla corretta applicazione della presunzione di pericolosità.

Le Motivazioni: Oltre la Presunzione di Pericolosità

Il cuore della sentenza risiede nella critica mossa dalla Cassazione al ragionamento del Tribunale. I giudici di legittimità hanno spiegato che, sebbene la detenzione non interrompa automaticamente il legame con un sodalizio criminoso, un periodo di carcerazione molto lungo (in questo caso, sei anni) senza alcun elemento che dimostri la persistenza del vincolo associativo non può essere ignorato.

La Corte ha evidenziato un ‘vuoto probatorio’ significativo: durante i sei anni di detenzione, non erano emerse dichiarazioni di collaboratori, intercettazioni, colloqui in carcere o forme di assistenza economica tipiche delle organizzazioni mafiose verso i detenuti e le loro famiglie. Di fronte a questo silenzio probatorio, il Tribunale non può limitarsi a invocare la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. Deve, al contrario, spiegare con elementi concreti perché tale presunzione debba ritenersi ancora valida.

Anche la valutazione del trasferimento in Brasile è stata giudicata ‘instabile’. La Cassazione ha sottolineato come il Tribunale non abbia spiegato:

* Perché il trasferimento all’estero dopo anni di carcere sarebbe irrilevante.
* Perché non potrebbe essere interpretato come un tentativo di dissociazione.
* Quali finalità mafiose concrete tale trasferimento avrebbe perseguito.

In sostanza, il giudice non può limitarsi a formulare ipotesi astratte, ma deve ancorare la sua decisione a fatti specifici che dimostrino l’attualità e la concretezza del pericolo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia rafforza un principio di garanzia fondamentale: le misure che limitano la libertà personale devono essere sempre giustificate da un’analisi rigorosa e individualizzata. La presunzione di pericolosità, pur essendo uno strumento importante nella lotta alla criminalità organizzata, non è una ‘cambiale in bianco’. Essa può e deve essere superata da elementi di fatto che indichino un allontanamento dal contesto criminale, come un lungo periodo di detenzione senza contatti o un radicale cambiamento di vita.

La sentenza impone ai giudici di merito un onere motivazionale rafforzato: di fronte a un ‘tempo silente’, devono ricercare e indicare elementi concreti che provino la persistenza del vincolo associativo e, di conseguenza, l’attualità delle esigenze cautelari. Un monito importante contro gli automatismi e a favore di una giustizia più attenta al caso singolo.

Una lunga detenzione può superare la presunzione di pericolosità per i reati di mafia?
Sì, secondo la Corte, un lungo periodo di detenzione (nel caso specifico, sei anni) in cui non emerge alcun elemento concreto che dimostri la persistenza del vincolo associativo (come contatti, ordini, o sostegno economico dal clan) costituisce un ‘vuoto probatorio’ che indebolisce la presunzione e richiede una motivazione rafforzata da parte del giudice per giustificare ulteriori misure cautelari.

In che modo il giudice deve valutare il tempo trascorso senza prove di attività criminale?
Il giudice non può ignorare il cosiddetto ‘tempo silente’. Deve valutare concretamente se questo periodo, specialmente se accompagnato da altri fattori come la detenzione, abbia effettivamente reciso i legami dell’indagato con l’associazione criminale. Non è sufficiente un ragionamento astratto; servono elementi specifici che dimostrino che la pericolosità è ancora attuale, nonostante il tempo trascorso.

Il trasferimento all’estero di un indagato è automaticamente un fatto neutro o sospetto?
No, la Corte ha definito ‘instabile’ la motivazione che considera il trasferimento all’estero come un fatto neutro senza un’analisi concreta. Il giudice deve valutare le circostanze specifiche: perché un soggetto si trasferisce dopo anni di detenzione? Potrebbe essere un’espressione di dissociazione? Oppure, al contrario, ci sono prove che il trasferimento sia funzionale agli interessi del clan? La valutazione non può essere astratta, ma deve basarsi su elementi fattuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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