Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 19751 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 19751 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESAGNE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/01/2024 del TRIB. LIBERTA’ di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Lette le conclusioni scritte per l’udienza camerale senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla i. n. 176/2020, come prorogato, in ultimo, ex art. 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n.215, conv. dalla I. 23 febbraio 2024 n. 18) , del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. NOME ()COGNOME, che na chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e degli AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO per il ricorrente che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 8 gennaio 2024 il Tribunale di Lecce ha rigettato la richiesta di riesame personale avverso l’ordinanza emessa in data 24 novembre 2023 con la quale il GIP del Tribunale di Lecce aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di COGNOME NOME in quanto indagato dei seguenti reati.
insieme ad altri indagati:
B) per il delitto di cui agli artt. 416 bis’1. cod. pen., 74 comma 1, 2, 3, 4 e 5 del d.P.R. 309/90, come modificato dalla legge n. 49 del 21/2/2006, per essersi associati tra loro e, al fine di commettere più delitti di importazione, acquisto, detenzione a fini di cessione, cessione di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo marijuana, hashish, cocaina ed eroina, con i ruoli di seguito rispettivamente indicati; (…) in particolare, COGNOME NOME, partecipe, forniva abitua mente sostanza stupefacente ed armi fungendo da intermediario nei rapporti con altri canali di rifornimento in Calabria.
Con le aggravanti: dell’essere gli associati in numero superiore a dieci; dell’ingente quantità di sostanze stupefacenti; dell’avere commesso il fatto al fine di agevol(Vassociazione di tipo mafioso di cui al capo A) dell’imputazione poiché i proventi dell’attività illecita confluivano nelle casse dell’organizzazione mafiosa.
In San Pietro V.co, Trepuzzi e altrove dal 21/05/2020 con permanenza
In concorso con COGNOME NOME:
B28) per i delitti di cui agli art. 110 cod. pen., 73 commi 1 e 4 d.P.R. 309/90, perché COGNOME forniva sostanza stupefacente del tipo marijuana per la somma di euro 1000;
In Trepuzzi in data antecedente e prossima al 12/2/2021
In concorso con COGNOME NOME:
B33) per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen., 73 d.P.R. 309/90, perché in concorso tra loro, anche in tempi diversi e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, COGNOME vendeva a COGNOME che acquistava per la successiva cessione a terzi stupefacente per la somma non inferiore a 8500,00 curo, nonché vendeva due kg di sostanza stupefacente del tipo marijuana;
In Trepuzzi, il 12/2/2021
In concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME:
B35) per il delitto di cui all’art. 2, 4, 7 L. n. 895/67, perché in concorso tr loro, detenevano una pistola caiibro 7; In Galatina, il 9/1/2021.
B36) per il delitto di cui agli artt., art. 2, 4, 7 L. n. 895/67 perché in co corso tra loro, portavano nella pubblica via, trasportandole, diverse armi non meglio identificate; In Taviano, il 9/1/2021.
Ricorre il COGNOME, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 292 co. 1 lett. c) cod. proc. pen. per nuilità dell’ordinanza caut lare genetica in mancanza di autonoma valutazione da parte del GIP.
Il ricorrente si duole della mancanza dell’autonoma valutazione da parte del giudice che ha emesso l’ordinanza dispositiva della misura cautelare.
Vi sarebbe stato un assoluto appiattimento sulle risultanze dell’attività di p.g. e sulle contestazioni dell’accusa, mancando quel quid pluris che rende comprensibile il percorso valutativo compiuto nell’app!icazione della misura.
Il provvedimento sarebbe redatto mediante un ampio uso della tecnica del copia-incolla oltre che della trascrizione delle captazioni, anche nella parte relativa alle considerazioni della richiesta di applicazione della misura.
Si riporta il passaggio posto a pagina 46 dell’ordinanza per sottolinearne l’identicità con quello di cui a pagina 44 della richiesta di misura cautelare.
Del resto, si aggiunge che l’ordinanza impugnata presenta appena 5 pagine aggiuntive rispetto alla richiesta del PM, a fronte di 25 indagati e 39 contestazioni, al fine di evidenziare la mancanza di un’autonoma valutazione.
Il ricorrente evidenzia che indicativa delle modalità di redazione dell’estensore sarebbe la parte relativa alla contestazione del reato associativo mafioso laddove COGNOME un lunghissimo richiamo testuale, di 88 pagine, della richiesta del P.M., si indicano poi le ragioni di non condivisione dell’assunto accusatorio.
In tal modo, secondo la tesi del ricorrente, il giudicante avrebbe voluto acquisire la “patente” di autonomia argomentativa e motivazionale per poi procedere ad aderire acriticamente alle richieste cautelari dal P.M.
Si richiama l’orientamento di questa Corte secondo cui la necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza impone al giudice di effettuare uno specifico vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisi in relazione alle singole posizioni e contestazioni. E tale prescrizione non può ritenersi assolta per il solo fatto che l’ordinanza, redatta con la tecnica del c.d. copiaincolla, accolga la richiesta del pubblico ministero solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice, così come la diversa gradazione delle misure, non costituiscono, di per sé,
indice di una valutazione critica, e non meramente adesiva, della richiesta cautelare.
Ci si duole che la specifica deduzione difensiva sul punto sarebbe stata ritenuta infondata senza un adeguato confronto con la stessa.
Si precisa che ad essere censurata non è la mancanza di originalità grafica del provvedimento genetico ma l’inesistente argomentazione autonoma sulla gravità indiziaria in relazione alla partecipazione del COGNOME al sodalizio finalizza al narcotraffico.
Né si ritiene rilevante l’avvenuta esclusione della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1. cod. pen. e all’art. 74 comma 5 d.P.R. 309/90 in quanto la mancanza di autonoma valutazione riguarda la specifica posizione processuale del COGNOME.
Con un secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancanza di gravità indiziaria sulla fattispecie di cui al capo B) della rubrica (art. 74 commi 1, 2, 3, 4 e 5 d,P.R. 309/90).
Si lamenta la carenza dei gravi indizi nell’ambito di un quadro complessivamente confuso dove la partecipazione al sodalizio criminale viene tratta esclusivamente dalle singole condotte di detenzione ai fini di spaccio di stupefacenti in un ristretto arco temporale, di soli due mesi, non coincidente con il più ampio spazio di operatività dell’associazione.
Ci si duole che l’ordinanza impugnata abbia completamente ignorato quanto dedotto dalla difesa ed abbia tralasciato emergenze istruttorie evidentemente in contrasto con la ricostruzione indiziaria operata.
Il ricorrente, consapevole dell’impossibilità di proporre in questa sede una lettura alternativa delle conversazioni intercettate, evidenzia il mancato esame delle censure difensive e l’automatica conclusione della sussistenza della gravità indiziaria attraverso la partecipazione ai presunti reati scopo dell’associazione in materia di droga e armi.
Si richiamano i principi stabiliti da questa Corte in relazione al rapporto tra il presunto fornitore e l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, evide ziando che gli indici di valenza indiziaria indicati dal Gip nell’ordinanza genetica mal si conciliano con l’apporto permanente che deve caratterizzare la partecipazione al sodalizio criminoso integrante il delitto previsto dall’articolo 74 d.P.R 309/90.
Si sottolinea che l’essere venuto in contatto, in poche circostanze ed in un arco temporale particolarmente breve, con alcuni soggetti inseriti nell’associazione non può ritenersi indice di appartenenza stabile al sodalizio criminale venendo meno il requisito della permanenza dell’apporto che deve caratterizzare il soggetto interno all’organizzazione rispetto al mero concorrente nel reato, tanto più nel caso
come quello che ci occupa, che vede un unico episodio ex articolo 73 d.P.R. 309/90, contestato solo al capo 33.
Precisa il ricorrente che per configurare un’associazione ex articolo 74 occorre che il vincolo associativo abbia natura permanente o almeno stabile e sia destinato a durare oltre la realizzazione dei delitti che siano stati eventualmente già programmati. Mentre, il mero concorso è un accordo per la realizzazione di uno o più reati che possono essere in continuazione tra lbro.
Si contesta che il tribunale del riesame, a fronte dei rilievi difensivi, abbi valorizzato la natura continuativa dei rapporti commerciali tra il COGNOME e i gruppo capeggiato dal COGNOME, mentre si sarebbe potuto parlare esclusivamente della reiterazione di singole condotte di reato in concorso.
Con un terzo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274, 275 comma 3 e 292 cod. proc. peri, per insussistenza delle esigenze cautelari e non operatività della presunzione e>: art. 275 co. 3 cod. proc. pen., nonché violazione dell’art. 309 co. 9 cod. proc. pen. per elusione degli elementi favorevoli all’indagato.
Ci si duole della carenza di elementi dimostrativi della pericolosità dell’indagato e dell’impossibilità di neutralizzare le esigenze cautellari con una misura meno afflittiva, anche alla luce del tempo trascorso dalla cessazione della condotta associativa contestata.
Si evidenzia, inoltre, l’utilizzo nell’ordinanza genetica di una motivazione cumulativa per “categoria” di soggetti senza alcun riferimento alla singola posizione cautelare del COGNOME, omettendo la valutazione ntaIrmeta sulla concretezza e attualità del pericolo e la verifica dell’eventuale idoneità di una misura meno afflittiva.
Peraltro, dal momento della cessazione della concreta permanenza del delitto associativo al momento dell’esecuzione della misura era trascorso il non trascurabile periodo di tre anni.
Nei motivi di riesame si era evidenziato, inoltre, che dalla stessa informativa di reato emergeva la prova della rescissione di ogni rapporto tra il COGNOME e i suoi referenti all’interno del sodalizio criminoso.
Si lamenta che il tribunale del riesame, in tema di attualità delle esigenze cautelari, si è limitato all’indicazione di contatti telefonici intervenuti tra Cata e COGNOME successivamente al 12/2/2021 e di altre due conversazioni risalenti al 23/1/2021 e al 7/2/2021, omettendo di considerare l’avvenuta cessazione di ogni contatto tra loro successivamente a quello del 12/2/2021, circostanza confermata dalle indagini che, nonostante il proseguire delle intercettazioni, non registravano più alcun contatto tra loro.
Pertanto, secondo la tesi difensiva, la presunzione di pericolosità risulta superata dalla prova del definitivo allontanamento dell’indagato dai soggetti suoi referenti all’interno dell’associazione e, quindi, dal definitivo venir meno di ogn contatto e legame con la stessa.
Si contesta, poi, l’adeguatezza e la proporzionalità della misura adottata senza tener conto del già invocato tempo silente e dell’incensuratezza dell’indagato.
Viene definita illogica la motivazione che ritiene inadeguata la misura cautelare degli arresti domiciliari con l’utilizzo degli strumenti di cui all’articolo 27 cod. proc. pen.
La giustificazione per cui in tal modo non verrebbero interrotti i contatti con l’organizzazione criminale, sostanzialmente determinerebbe la reintroduzione della preclusione assoluta che la Corte costituzionale e il legislatore hanno voluto rimuovere dal nostro ordinamento nell’ipotesi di contestazione del reato previsto dall’articolo 74 d.P.R. 309/90.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con i conseguenti effetti.
Le parti hanno reso le conclusioni scritte indicate in epigrafe.
In particolare, con la memoria difensiva, si insiste sulla tematica del c.d. tempo silente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati appaiono infondati.
Per contro, il provvedimento impugnato appare contrassegnato da motivazione che, secondo il perimetro di cognizione del giudice di legittimità in sede cautelare, contiene l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (anche con riferimento alla puntuale analisi delle specifiche doglianze difensive), oltre ad essere corretto in diritto.
Ne deriva il proposto ricorso va rigettato.
Non coglie nel segno il primo motivo di ricorso con cui il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione laddove il giudice del riesame ha ritenuto legittima l’ordinanza genetica di custodia cautelare, che si assumeva da parte della difesa essere affetta da vizio di carenza di autonoma valutazione della gravità indiziaria.
Ed invero, il profilo in questione appare ampiamente esaminato e disatteso dal tribunale del riesame salentino, che ha fatto corretta applicazione della consolidata giurisprudenza di Qttlesta Corte in tema di autonoma valutazione.
Come ricorda il provvedimento impugnato, la difesa già in quella sede, come in questa, aveva sostenuto che l’ordinanza gravata contenesse la pedissequa riproduzione della richiesta del Pubblico Ministero, priva di alcun vaglio critico autonomo. In particolare, si era affermato che ricorreva un “assoluto appiattimento sulle risultanze rappresentate dai militari di p.g. procedenti prima, e dalla Pubblica Accusa poi, circa tutte le contestazioni di provvisoria incolpazione dal capo B al capo B37 (capo B37 di cui però il COGNOME non risponde)”, realizzato mediante l’adozione della tecnica del “copia-incolla”. E a riprova dell’asserto difensivo, si effettuava anche in quella sede il raffronto tra una pagina dell’ordinanza gravata (pag.46) con altra pagina della richiesta del P.M. (pag.44) evidenziandone la perfetta corrispondenza di contenuto. Infine, si asseriva che nell’ordinanza genetica si fosse utilizzato una sorta di stratagemma, consistito nell’aver inserito nel testo del provvedimento le prime 88 pagine della richiesta del PAVV_NOTAIO. per poi esporre le ragioni di non condivisione (difatti rigettando tutta quella parte della ricostruzion accusatoria) ed in tal modo si sarebbe assicurata “la patente di autonomia argomentativa e motivazionale” dei provvedimento, limitandosi pertanto nella parte restante dello stesso a riprodurre pedissequamente il contenuto della richiesta.
Così sunteggiata la tesi difensiva, il provvedimento impugnato l’ha confutata con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto, che pertanto si sottrae alle proposte censure di legittimità.
In punto di diritto i giudici salentini ricordano come le Sezioni Unite abbiano evidenziato come «…il legislatore del 2015 ha chiaramente mostrato, anche con interventi paralleli su più norme (gli artt. 292, comma 2, lett. c e 292, comma 2, lett. c-bis), di considerare fra gli obiettivi connotanti la riforma quello di sanzion qualsiasi prassi di automatico recepimento, ad opera del giudice, delle tesi dell’Ufficio richiedente, così da rendere effettivo il doveroso controllo giurisdizionale preteso dalla Costituzione prima che dalla legge ordinaria, e da rendere altresì forte la dimostrazione della specifica valutazione dell’organo giudiziario di prima istanza sui requisiti fondanti la misura, precludendone la sanatoria che potrebbe derivare dall’intervento surrogatorio pieno del giudice della impugnazione, pure rimasto previsto nello stesso comma 9 (Sez. U., n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789)».
Tuttavia, va ricordato come questa Corte di legittimità abbia più volte evidenziato come, in tema di motivazione delle ordinanze cautela ri, successivamente all’introduzione delle modifiche apportate dalla legge, 16/4/2015, n. 47, la previ-
sione dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza non abbia carattere innovativo, né miri ad introdurre un vacuo formalismo che imponga la riscrittura originale di ciascuna circostanza di fatto rilevante. Ciò che occorre è che dall’ordinanza emerga l’effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante. L’aggettivo autonoma è, infatti, riferito specificamente alla valutazione e non all’esposizione dei presupposti di fatto del provvedimento, sicché, rispetto a quest’ultima, anche COGNOME la riforma, è consentito il rinvio «per relationem» o per incorporazione – alla richiesta del pubblico ministero, mentre dall’atto dovrà emergere il giudizio critico del giudice sulle ragioni che giustifican l’applicazione della misura (cfr. ex multis Sez.1, n. 8323 del 15/12/2015 dep. 2016, Cosentino, Rv. 265951).
In altri termini, la necessità di autonoma valutazione da parte del giudice procedente è compatibile con un rinvio «per relationem» o per ncorporazione della richiesta del pubblico ministero, che non si traduca in un mero recepimento del contenuto del provvedimento privo dell’imprescindibile rielaborazione critica (cfr. anche Sez. 5, n. 36917 del 20/6/2017, C., Rv. 271307; Sez. 2, n. 3289 del 14/12/2015 dep. 2016, COGNOME ed altri, Rv. 265807; Sez. 4, n. 31646 del 27/3/2018, COGNOME ed altro, Rv. 273429). Tale esigenza risulta soddisfatta, dunque, anche quando il giudice ripercorra, motivando per relationem, gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purché dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui li ritenga idonei a supportare l’applicazione della misura (Sez. 3, n. 35296 del 14/4/2016, Elezi, Rv. 268113).
In altri termini, in tema di misure cautelari personali, ricorre un’autonoma valutazione da parte del giudice ex art. 292, comma 2, lett. c) bis, cod. proc. pen. – anche in sede di gravame – quando venga richiamato in maniera più o meno estesa il provvedimento impugnato con la tecnica di redazione “per incorporazione”, con condivisione delle considerazioni già svolte da altri, poiché valutazione autonoma non vuol dire valutazione diversa o difforme, sempreché emerga dal provvedimento una conoscenza degli atti del procedimento e, se necessario, una rielaborazione critica degli elementi sottoposti a vaglio giurisdizionale, eventualmente con la graduazione o rigetto delle misure (Sez. 5, n. 70 del 24/9/2018 dep. 2019, Pedato, Rv. 274403; conf. Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, dep. 2019, Rv. 275339 – 01).
E’ stato anche precisato che in tema di motivazione delle misure cautelari, il difetto di originalità linguistica o espositiva del contenuto del provvedimento cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari rispel:to alla richiesta del pubblico ministero non implica automaticamente la violazione dell’obbligo di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, ma
rileva soltanto come uno degli elementi da cui desumere l’insussistenza di un effettivo vaglio da parte del giudice (Sez. 3, n. 35720 del 6/10/2020, Cordioli, Rv. 280581).
Affermata, dunque, la legittimità della tecnica ch incorporazione della richiesta del Pubblico Ministero nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip, rileva il provvedimento impugnato correttamente come tutte le decisioni di questa Corte di legittimità registratesi successivamente all’entrata in vigore della I. 47/2015, nel ribadire l’assunto per il quale la nuova disciplina, con l’esplicita pre visione di una “autonoma valutazione”, non hanno innovato rispetto al passato ,:à-loiuop,0 compresa la possibilità di fare ricorso alla motivazione per relationem -rimarcas6à, tuttavia, il dovere da parte di qualsiasi giudice di effettuare un reale ed effettivo vaglio critico del materiale probatorio sottoposto al suo esame e di fornire un contributo qualitativo aggiuntivo, dimostrando di aver proceduto a un esame valutativo delle argomentazioni poste a sostegno della richiesta del pubblico ministero. Apparendo evidente, infatti, che il legislatore è intervenuto – positivizzando un principio già ovvio nel sistema di competenze funzionali in materia cautelare a fronte delle ricorrenti questioni in tema di motivazione apparente delle ordinanze cautelari, laddove l’estensore faccia un improprio ricorso – non solo come canovaccio espositivo dei dati di fatto raccolti, ma anche sotto il profilo dell’analisi tica e della rilevanza decisionale del materiale raccolto — ad atti delle indagini alla richiesta del P.M. Conseguentemente, al tribunale è attribuito il potere-dovere di annullamento dell’ordinanza che non contenga l’autonoma ‘valutazione’, a norma dell’art. 292 cod. proc. pen., delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa.
Correttamente i giudici salentini hanno rilevato come la questione attenga, dunque, alla verifica delle condizioni minime in presenza delle quali è possibile affermare che il giudice della cautela abbia compiuto un effettivo ed autonomo giudizio valutativo. E ricordano come si sia osservato in dottrina che l’incertezza sulla reale estensione dei poteri del giudice del riesame è strettamente connessa alla ineliminabile dose di discrezionalità interpretativa del giudice emittente e dei giudici dell’impugnazione nella valutazione del quantum (e deh quomodo) di motivazione adeguata.
Corretto è anche il rilievo, che si legge nel provvedimento impugnato, secondo cui, anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge 16 aprile 2015 n. 47 agli artt. 292 e 309 cod. proc. pen., persiste il potere dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impositivo della misura, qualora questo sia assistito da una motivazione che anche in forma stringata aderisca alia richiesta cautelare, a meno che non si sia in presenza di una motivazione del tutto priva di vaglio critico dell’organo giudicante mancando,
in tal caso, un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti. (Sez. 6, 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Liccardo, Rv. 27259601).
Ebbene, con motivazione logica e congrua, che non pare prestarsi alle proposte censure, i giudici del gravame cautelare (pag. 4 del provvedimento impugnato) danno atto di ritenere che, nel caso di specie, l’ordinanza del G.I.P., che pure risulta redatta secondo la citata tecnica per incorporazione, presenti tuttavia indubitabilmente «una ragionata e consapevole disamina del complessivo compendio indiziario». Ciò in quanto «pur riportando il giudice della cautela nel corpo del provvedimento gli stessi argomenti fattuali e giuridici richiamati dal P.M., in realtà compie un autonomo ed effettivo vaglio logico e critico degli elementi di fatto ritenuti decisivi, dal momento che, nel riprodurre ampi stralci della richiesta formulata dal P.M., inserisce, sia pur nella medesima forma grafica utilizzata, dal P.M., gli esiti della propria delibazione (“osserva questo giudice ….rileva questo giudice …” ecc.), talora in termini di condivisione talora di dissenso rispetto al conclusioni dell’organo di Pubblica Accusa».
In altri termini, all’interno del provvedimento genetico, per i giudici salentini «risultano disseminati una serie di interventi propri del giudicante focalizzat sul materiale indiziario, laddove ad esempio, con specifico riferimento alle contestazioni che attingono il COGNOME, il G.I.P.: – in relazione alla contestata fattispe associativa di cui al capo 33), condividendo l’impostazione accusatoria, segnala la chiarezza ed univocità dei dialoghi in quanto acquisiti mediante captatore informatico o comunque agevolmente decifrabili (v. pgg.10-11); – esclude con riferimento alla suddetta fattispecie di cui al capo B) l’aggravante contestata ex art.416 bis.1 c.p. nonché l’aggravante di cui all’art.74 co. 5 DPR 309/90; – sottolinea e chiarisce la chiave di lettura di alcune rilevanti captazioni afferenti il contesta trasporto di armi e le forniture di droga effettuate dal COGNOME in favore del D COGNOME (…) decisive sia con riguardo alla condotta partecipativa del COGNOME, sia in ordine ai reati fine».
A proposito, poi, della condotta associativa contestata i giudici salentini segnalano che gli elementi fondanti la intraneità del COGNOME nella compagine @di cui al capo B) non risultano ermeticamente racchiusi nella ‘parte seconda’ dell’ordinanza cautelare, pur intitolata ‘L’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti’, posto che ulteriori emergenze investigative a carico dell’indagato sono anche contenute in differenti passi della ‘parte prima’ del provvedimento. In particolare, COGNOME aver riportato le risultanze investigative indicate dal P.M. a supporto della ipotesi accusatoria di cui all’art.416 bis c.p. contestata nel capo A) della rubrica (non contestata al COGNOME), per escluderla, esplicitamente il giudice della cautela valuta, con motivazione autonoma, la rilevanza di
tutto quel materiale indiziario ritenendone la portata dimostrativa ai fini della contestazione di cui al capo B).
A fronte di simili rilievi logica appare la conclusione dei giudici salentini del tutto privo di pregio appare il riduttivo confronto di una singola pagina, consideri che peraltro quella presa in esame afferisce ad un episodio – il t omicidio di COGNOME NOME NOME non rilevante poiché del tutto estraneo alla posiz del COGNOME, e che pertanto non incide in alcun modo sul compendio indiziar che attinge l’indagato.
Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente menta vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla ritenuta gravità i ziaria, non essendo possibile, secondo l’assunto difensivo, dai singoli epis detenzione ai fini di spaccio, trarre la gravità indiziaria della partecipazion dalizio RAGIONE_SOCIALE, nella assenza di un rapporto permanente con il sodalizio.
Sul punto va premesso che questa Corte Suprema è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassaz con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammiss soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manife illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica e principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che guardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa va zione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178).
Conseguentemente, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi ind di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in rela alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineris il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno dotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di trollare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli eleme indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governa prezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, R 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475);
Parametro ermeneutico centrale ai fini della delimitazione della cognizion della Corte in materia cautelare è quello secondo il qua:e non è conferita a sto giudice di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi mate e-K.0 fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi; e nire l dato ternimi-ria alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle si:esse che sia
operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Donde l’inammissibilità delle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono in realtà nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., tra le altre, Sez.1, n.7445/2021).
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione del ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti risultanti, cioè, prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Questa Corte di legittimità, più volte ha ribadito come la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non sia omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (cf ex multis Sez. 5 n. 36079 del 5/6/2012, COGNOME ed altri, Rv. 253511). Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagatog in ordine ai reati addebitati
In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma cod. proc. pen. Ciò lo si desume con chiarezza dal fatto che l’art. 273, comma ibis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi (così univocamente questa Corte, ex plurimis Sez. 2, n. 26764 del 15.3.2013, COGNOME, rv. 256731; sez. 6 n. 7797′. del 5.2.2013, COGNOME, rv. 255053; sez. 4 n. 18589 del 14.2.2013, COGNOME, rv. 255928).
Se quelli appena illustrati sono, dunque, i limiti del sindacato di questa Corte in punto di sussistenza della gravità indiziaria appare chiaro che con i motivi del presente ricorso si propongono e sviluppano censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, a fronte di argomentazioni spese nel provvedimento impugnato che appaiono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedi-mento impugnato, per cui quello che si chiede è proprio quello che questo giudice di legittimità non può fare, e cioè una rivalutazione nel merito del compendio indiziario. Dunque, nel caso all’odierno esame non risult m a essersi verificata
né violazione di legge e nemmeno vizio di motivazione rilevante ex art. 606, co. 1, lett. e), cod. proc. pen.
La motivazione del tribunale del riesame in punto di gravità indiziaria è stata prospettata in concreto e diffusamente in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
Nel caso di specie l’ordinanza impugnata ha giustificato la propria valutazione degli elementi indiziari relativi alla sussistenza degli ipotizzati reati con mo tivazione dotata di logica coerenza e A linearità argomentativa, che come tale, per le ragioni dette, si sottrae a censure nella presente sede di legittimità; i giudici merito hanno infatti riscontrato le ipotesi accusatorie sulla base di una analitica ed esaustiva valutazione degli elementi di indagine, rappresentati dalle numerose conversazioni telefoniche intercettate, analiticamente indicate, che palesano la si2D 3:2,, Liest:wr, partecipazione all’associazione contestata in qualità di stabile fornitore.
Le argomentazioni spese sul punto dal tribunale della libertà appaiono quindi ampie, congrue e non manifestamente illogiche nel ritenere, sulla base del materiale probatorio acquisito, sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per tutti reati contestati (anche i reati fine). D’altro canto, l’interpretazione del linguagg e del contenuto delle intercettazioni è questione di fatto, non sollevabile nella presente sede se non quando la loro valutazione sia motivata illogicamente; orbene non pare che sussista tale vizio, atteso che il tribunale diffusamente descrive il contesto e le fonti di prova, per ritenerle nel complesso d univoca interpretazione.
In sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, clep. 2018, Di Maro, Rv. 272558 – 01
Il ricorrente suggerisce una diversa interpretazione del compendio probatorio che non scalfisce le argomentazioni del tribunale, che giunge a ritenere, in particolare, il ricorrente inserito organicamente nell’organizzazione criminale di cui al capo B) -pagg. 5 e ss. del provvedimento impugnato – quale stabile fornitore di droga ed armi al sodalizio nel solco del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità per cui integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità a forn le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre
profitto dal commercio di droga (Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, Bellissima, Rv. 279249 – 01; conf. Sez. 6, n. 41612 del 19/06/2013, COGNOME, Rv. 257798 – 01).
Quanto al profilo che censura la motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle ritenute esigenze cautelari, anch’esso non appare fondato.
La difesa insiste anche in questa sede di legittimità sul dato che il lasso temporale ad oggi di circa tre anni dal momento della cessazione della concreta permanenza del delitto associativo al momento dell’esecuzione della misura, non poteva ritenersi esiguo, con la conseguente rilevanza del cd. “tempo silente” al fine di superare la presunzione (relativa) di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. E richiama a sostegno della propria tesi il dictum di Sez. 1 n. 13044/2021, secondo cui, in tema di misure cautelari per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 e di una eseges costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulterior condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, che può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si rif risce lo stesso art. 275, comma 3, cit..
Per la difesa il tribunale del riesame salentino avrebbe omesso del tutto di confrontarsi concretamente con il segnalato “tempo silente”; ed anzi illogicamente avrebbe valorizzato il dato rinveniente dal contenuto di una intercettazione in cui si sarebbe richiamato «un curriculum tanto, eh» in ambito di reati in materia di stupefacenti (pag. 23) che altri interlocutori avrebbero attribuito all’odierno ricor rente. Ed invece rilevano i difensori come il COGNOME sia incensurato.
Illogica poi viene ritenuta la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui si è ritenutq inadeguata la misura cautelare domiciliare presidiata dagli strumenti di cui all’art. 275 bis cod. proc. pen.: la motivazione per cui non verrebbero interrotti i contatti con l’organizzazione criminale determina di fatto la reintroduzione della prestbrisione assoluta che da tempo dapprima la Corte costituzionale e poi il legislatore hanno rimosso dal nostro ordinamento in presenza di contestazione del reato di cui all’art. 74 D.P.R. n°. 309/90.
Ma è proprio con riguardo alla valutazione sul “tempo silente” che la difesa insiste anche con la memoria conclusiva, sul rilievo che, come recentemente rilevato da Sez. 6 n. 11735 del 25/01/20241, sulla questione relativa alla rilevanza del tempo decorso dai fatti contestati sulla concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, nei casi in cui opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod.
proc. pen. sono ravvisabili nella giurisprudenza di legittimità due indirizzi ermeneutici.
Secondo un primo orientamento, cui secondo la difesa si è uniformata l’ordinanza in questa sede impugnata, il “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati), ove non accompagnato da altri elementi fattuali, è inidoneo a superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Ciò perché – secondo i fautori di tale indirizzo – detta presunzione è prevalente, in quanto speciale, rispetto alle disposizioni generali stabilite dall’art. 2 cod. proc. pen. cosicché se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 2 comma 3, cod. proc. pen., la presunzione in esame farebbe ritenere sussisten4 i caratteri di attualità e concretezza del pericolo, salvo prova contraria, non desumibile, tuttavia, dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, ove non accompagnata da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità (cfr. Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766 – 02; Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282865; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004).
Viene anche ricordato che, con particolare riferimento alla custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. (non contestato al COGNOME ed escluso dapprima dal G.i.p. e poi dal Tribunale del Riesame adito dal P.M. ex art. 310 cod. proc. pen. per alcuni coindagati) si è affermato che la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, escludendosi che il cd. “tempo silente” costituisca, da solo, prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volt fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari (si veda, in tal senso, Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, COGNOME, Rv. 282131; Sez. 2, n. 7837 del 12/02/2021, Manzo, Rv. 280889).
Altro orientamento, richiamato dalla difesa a sostegno delle proprie tesi e fatto proprio nella più recente decisione di questa Corte in subiecta materia, ritiene, invece, che, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 201 n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti ch un rilevante arco
temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (in tal senso, tra le tante, Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, COGNOME, Rv. 285272; Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Pianta, kv. 274861). Si è, infatti, affermato che la presunzione menzionata – in particolare nelle ipotesi in cui sono contestati un reato per sua natura non permanente oppure un reato permanente, come quello associativo, ma oggetto di contestazione di fatto “chiusa” e solo formalmente “aperta” (nel caso in esame vi sarebbe per la difesa chiara la dimostrazione della cessazione di ogni rapporto del COGNOME con il resto dei coindagati, per come riportato nella stessa ordinanza genetica) – tende ad affievolirsi, quando un considerevole arco temporale separi il momento di consumazione del reato da quello dell’intervento cautelare.
Tale soluzione ermeneutica – per i suoi fautori e per la difesa – appare coerente con la stessa struttura del reato associativo e, in particolare, con le connotazioni “dinamiche” proprie della condotta di partecipazione. Va, infatti, considerato che secondo il consolidato principio di diritto, più volte affermato anche dalle Sezioni Unite, il contributo all’attualità della vita associativa ed alla rea zazione dei fini che la stessa si propone non può risolversi in una semplice adesione di tipo ideologico, che sicuramente rileva sul piano psicologico, ma deve, comunque, concretarsi in una condotta partecipativa, anche di rilievo non particolarmente incisivo e, come tale, sostituibile, che sia funzionale alla realizzazione degli scopi illeciti della compagine e dimostrativa di una attualità dell’inserimento in essa dell’indagato e, quindi, della permanenza del delitto associativo non solo sul versante oggettivo della struttura associativa in sé considerata, ma anche su quello soggettivo della personale adesione ad essa del singolo indagato. Si tratta, dunque, più che di un mero “status” di appartenenza, di un ruolo dinamico e funzionale, connotato dallo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U., n. 36958 del 27/05/2021, Modafferi, Rv. 281889; Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670). A fronte di siffatta connotazione della condotta di partecipa2:ione ad una associazione per delinquere quale quella in contestazione e della natura permanente di tale reato, il tempo intercorso tra i fatti contestati e l’emissione della misu cautelare, in mancanza di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, deve poter rilevare quale fattore sintomatico della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione – dovendosi, peraltro,
escludere la necessità che il recesso dell’associato assuma le forme di una dissociazione espressa, coincidente con l’inizio della collaborazione con l’Autorità Giudiziaria.
Ritiene il Collegio che, in realtà, i due orientamenti sopra ricordati non si pongano nella contrapposizione ritenuta dal difensore e ben si compendino nel condivisibile dictum secondo cui, in tema di misure coercitive’ quando si procede per un delitto per il quale opera una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura carceraria, ai fini della prova contraria, occorrono elementi idonei ad escludere la sussistenza di ragionevoli dubbi posto che la presunzione detta un criterio da applicarsi proprio in caso di incertezza; ne deriva che, per giungere al superamento di tEile presunzione, il tempo trascorso tra i fatti per cui si procede e l’esecuzione della misura, pur valutabile, deve essere tale da consentire il superamento della situazione di dubbio (Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273434 – 01; conf. Sez. 6, n. 53028 del 06/11/2017, COGNOME, Rv. 271576 – 01 secondo cui per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in relazione al quale l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, ai fini della prova contraria assume rilevanza il fattore temporale, ove esso sia di notevole consistenza, cosicché è necessario che l’ordinanza cautelare motivi in ordine alla rilevanza del tempo trascorso, indicando specifici elementi di fatto idonei a dimostrare l’attualità delle esigenze cautelari; Se 6, n. 52404 del 26/11/2014, COGNOME, Rv. 261670 – 01 secondo cui, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari deve essere desunta – rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo – da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata unica mente dai reati fine, e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo tipiche del reato di cu all’art. 416 bis cod. pen., risultando quindi inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio, in difetto elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Peraltro, il provvedimento impugnato si colloca nell’alveo del consolidato orientamento – che va qui ribadito – che, in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di peric losità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reat fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è
solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all’ad, 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293 – 01; conf. Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243 – 01).
Ebbene, facendo corretta applicazione di tali principi, la decisione impugnata, COGNOME avere esaminato tutti gli elementi dedotti dalla difesa, e valorizzati nella presente sede al fine di denunziare i vizi di motivazione del provvedimento in esame, li disattende compiutamente, e spiega esaustivamente e correttamente, senza incorrere in alcuna illogicità, le ragioni per le quali sia necessario il mantenimento della misura.
In particolare, il giudice del gravame cautelare evidenzia che non vi sono elementi che possano superare la presunzione iuris tantum di pericolosità; a 32 tanto 1/492.A deponendo l’ultrattività del sodalizio ed il perdurante inserimento dele3cì nel sodalizio, che impone di ritenere che la misura applicata sia l’unica idonea a scardinare l’indagato dal contesto criminoso in cui ha operato.
Ricorda il provvedimento impugnato come nel provvedimento genetico della misura fosse stata evidenziata l’operatività nel caso di specie della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., e il Gip, COGNOME avere sottolineato che la stessa viene superata con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, avesse valutato che si tratta di elementi che, nel caso dr specie, non emergono in alcun modo dalle acquisizioni istruttorie, al contrario comprovanti una continuità e stabilità dei rapporti tra i sociali perduranti nel tempo. Inoltre, il giu della cautela aveva dato atto della sussistenza degli ulteriori profili fondanti l sussistenza di cogenti ed attuali esigenze di cautela con riguardo alle specifiche caratteristiche del sodalizio indagato e dei singoli indagati. Aveva, difatti, rappresentato, che il rischio di reiterazione fosse «effettivamente altamente probabile, attesa la continuativa e sistematica commissione degli illeciti sopra ampiamente descritti e la consolidata struttura delle associazione criminale sub 13 4 ) per cui vi è indagine» apparendo, in particolare «evidente che trattasi di soggetti per i quali l’attività delinquenziale è assurta a vero e proprio sistema di vita e tanto rende particolarmente infausta la prognosi circa il pericolo di replica di reati analoghi a quelli per cui è procedimento». In particolare, il primo giudic:e aveva valutato, sotto il profilo dell’attualità, la protrazione della condotta criminosa, la dimensione del ‘volume di affari’ gestito dal sodalizio e la competenza palesata dagli indagati nell’illecito agire («Ancora, nel caso che ci occupa, il tempo trascorso dai fatti non risulta di notevole consistenza e sussistono specifici elementi che depongono per l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari ‘sub specie’ di pericolo concreto
ed attuale di reiterazione») e quindi, per la necessità di applicare una misura custodiale, aveva considerato la realizzazione delle condotte sin da prima dell’inizio delle indagini, la protrazione di esse per un notevole lasso di tempo, la consistenza dei traffici contestati, la professionalità dimostrata dagli aderenti, la diffusività fenomeno. Inoltre, aveva reso specifica motivazione in ordine al pericolo di recidiva, precisando con riferimento al caso in disamina le modalità della condotta, e pertanto segnalando «l’entità della stessa, rivelata dai quantitativi di droga trafficati, dalla varietà delle sostanze trattate, dalla molteplicità delle armi detenute dalla ramificazione dei contatti, dall’arco temporale di riferimento» , elementi che «denotano una sicura professionalità nel settore del narcotraffico e la facilità nel procurarsi illegalmente armi al di fuori dei canali commerciali ufficiali, quindi ne mondo della criminalità».
Pertanto, il provvedimento impugnato ricorda come dal complesso motivazionale dell’ordinanza del Gip emerga come la ritenuta inserzione ed operatività del COGNOME quale soggetto saldamente inserito nel sodalizio de quo abbia inciso in maniera determinante sulla valutazione giudiziale sia in ordine alla gravità della pericolosità sociale e del potenziale di recidiva, sia in punto di attualità delle esi genze di cautela ed adeguatezza della misura carceraria.
Tanto precisato, i giudici del gravame del merito richiamano integralmente le considerazioni svolte nell’ordinanza genetica, che dichiarano di condividere pienamente, e danno atto di ritenere a loro volta sussistente il c:oncreto pericolo di commissione di gravi delitti della stessa specie di quello per cui si procede, tenuto conto delle allarmanti modalità del fatto (l’indagato stabilmente ha partecipato ad un’associazione finalizzata al traffico di ingenti quantitativi di droga di diversa t pologia ed ha trattato l’acquisto di armi ; dimostrando di poter fruire di collegamenti con la RAGIONE_SOCIALE), modalità che denotano una elevata professionalità del COGNOME nella consumazione di gravi delitti.
Osservano i giudici salentini che aderire ad un patto associativo finalizzato alla consumazione di una pluralità di gravi delitti, quali quelli in materia di stupe facenti, indefinita nel tempo e nella quantità, in concorso con altri soggetti – il che vuoi dire, tra l’altro, assumere il rischio di delazioni, o comunque di essere scoperti per un errore, imprudenza, sconsideratezza o negligenza altrui – significa senza dubbio esprimere un forte intento criminale, operare una scelta di vita, maniPtare una notevole intensità del dolo di delinquere.
Il provvedimento impugnato passa poi a confutare specificamente la tesi difensiva del difetto delle esigenze cautelari sotto il profilo dell’attualità, stan lasso temporale di quasi 2 anni dal momento della consumazione del delitto associativo al momento dell’esecuzione della misura.
Ricordata la duplice presunzione relativa che opera nel c:aso di specie e dato conto di aderire all’orientamento più favorevole all’indagato secondo cui per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previst per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di talché risulta ad essa inapplicab la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo sciogl mento del gruppo (Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017, dep. 2018, Busillo, Rv. 272153 – 01), dà conto di tali elementi.
In particolare, viene confutata la tesi difensiva secondo cui l’odierno ricorrente risulterebbe aver rescisso i rapporti con COGNOME e COGNOME:alano già alla data dei 9 gennaio 2021 e che si fonderebbe sulla intercettata conversazione del 9 gennaio 2021 nella parte in cui COGNOMECOGNOME COGNOME avere ribadito che era stato fermato il ‘fratello di NOMENOME aggiunge che “si vuole bloccare insomma eh… “. In altr termini, secondo la lettura difensiva, il COGNOME riferirebbe ai sodali che il COGNOMECOGNOME a seguito del controllo subito dal fratello, avrebbe deciso di cessare l’attivit illecita, e dunque di interrompere i rapporti con loro, o quantomeno col COGNOME che, dunque sarebbero del tutto cessati alla data del 9.1.2021.
Sennonché, i giudici del gravame cautelare rilevano come le acquisizioni investigative smentiscano recisamente detta ricostruzione.
Ciò, in primo luogo, perché il tenore del captato non autorizzerebbe la chiave di lettura difensiva, posto che invece, contestualizzanclo correttamente il dialogo, la frase del COGNOME deve essere riferita all’attività specifica di approvvigionamento di armi, posto che la decisione di ‘bloccare’ risulta direttamente connessa al controllo ed alla ricerca di armi da parte della p.g. (” c’è qualcosa che non sta andando…”). A conferma di tale assunto – si rileva nel provvedimento impugnato – COGNOME NOME chiudeva i contatti con il fornitore di armi inviandogli un sms I’ll gennaio 2021 con la frase “Nn mi kiamare piu” (così testualmente).
D’altra parte, viene ancora evidenziato come, e seguito del trasporto di armi del 9 gennaio 2021 i rapporti tra COGNOME e COGNOME proseguivano regolarmente, come dimostrano le conversazioni telefoniche del 23 gennaio 2021, in cui i due concordavano un incontro, e la telefonata del 7 febbraio 2021, in cui COGNOME contatta il COGNOME consapevole di una questione riservata da risolvere che preoccupa il secondo, collegata ai ritardi nei pagamenti delle forniture da parte del COGNOME
NOME. Ed inoltre, viene posto in rilievo come la conversazione del 12.2.2021 intercorsa tra COGNOME e COGNOME confermi la perdurante attività di narcotrafficante (“ho 100-130 chili’)
Nel caso in esame, dunque, secondo la logica conclusione del tribunale del riesame salentino, la partecipazione del COGNOME non può ritenersi esaurita al momento della conclusione del periodo di monitoraggio che lo riguarda. Dal certificato del casellario giudiziario emerge poi un precedente, pur risalente, ma specifico per quanto riguarda la materia delle armi, a conferma dei suoi contatti risalenti nel settore.
Peraltro, nel provvedimento impugnato si legge la logica considerazione che contribuisce a definire la elevata pericolosità del COGNOME la stessa caratura criminale che gli attribuiscono i sodali allorché, al di là della formale esistenza d precedenti penali, gli riconoscono una valenza criminale evidentemente acquisita sul campo e nota negli ambienti criminali ( “tiene un curriculum tanto eh…). Il che convince i giudici della cautela come la commissione di reati, soprattutto in materia di sostanze stupefacenti (tenuto conto della dimostrata facilità nel procacciarsi ingenti quantitativi di droga e di attivare immediatamente canali di rifornimento calabresi per forniture di cocaina) costituisca per l’indagato «un habitus ormai sedimentato, idoneo a proiettarsi verso il futuro, sì da rendere assolutamente attuali e cogenti le esigenze di cautela sotto il profilo del pericolo di reiterazione di rea della stessa specie».
Né tali conclusioni risultano inficiate – secondo il logico opinare del tribunale del riesame -dalle allegazioni difensive in merito allo svolgimento, da parte dell’indagato, di attività lavorativa lecita, posto che dalla documentazione allegata dalla difesa emerge che il rapporto lavorativo è svolto alle dipendenze del fratello COGNOME NOME (già coinvolto nelle attività illecite dell’indagato) e comunque ha avuto inizio nell’anno 2019, sicché può ritenersi che l’indagato abbia posto in essere le gravissime condotte ascrittegli proprio in costanza della citata attività la vorativa, che dunque non ha costituito motivo per modificare il suo modus vivendi.
Logica, perciò, appare la conclusione che concreto ed attuale debba ritenersi il pericolo di recidivanza, potendosi affermare che il prevenuto proseguAtuttora nell’illecita attività, ed avendo egli dato prova di una elevata pericolosità cr minale.
Infine, il provvedimento impugnato appare sufficientemente motivato sotto il profilo della adeguatezza della misura vigente, collegata all’acclarata propensione dell’odierno ricorrente all’attività legata al narcotraffico, alla capacità di p cacciarsi e gestire armi chiaramente finalizzate ad azioni di fuoco, nonché alla sua inserzione in contesti criminali organizzati. Il tutto a rendere altamente prevedibile che l’indagato, ove venisse sottoposto ad una meno afflittiva misura – quale quella
domiciliare invocata dalla difesa in via gradata – prosegOirebbe nella illecita attività. E ciò anche qualora la più attenuata misura domiciliare venisse applicata congiuntamente ai previsti dispositivi elettronici, posto che gli stessi non risulterebbero idonei a prevenire, per evidenti difficoltà di monitoraggio delle plurime forme di comunicazione esistenti, i contatti con l’organizzazione criminale cui l’indagato risulta inconfutabilmente inserito.
Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condannai di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Vanno dati gli avvisi di cui all’art. 94 c. 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso un Roma il 17/04/2024
Il C nsigliere est sore
Il Presidente