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Presunzione di pericolosità: il tempo non basta

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha stabilito che la presunzione di pericolosità non è superata dal semplice decorso del tempo (‘tempo silente’) senza prove concrete di un definitivo allontanamento dal contesto criminale. È stata inoltre confermata la legittimità della valutazione del giudice, anche se basata sulla tecnica del ‘copia-incolla’, purché emerga un vaglio critico e autonomo degli elementi.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di Pericolosità: la Cassazione chiarisce il ruolo del ‘Tempo Silente’

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19751 del 2024, ha affrontato temi cruciali in materia di misure cautelari, in particolare riguardo alla presunzione di pericolosità e all’efficacia del cosiddetto ‘tempo silente’ per superarla. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione sull’equilibrio tra le esigenze di sicurezza pubblica e la libertà personale dell’indagato, specialmente in contesti di criminalità organizzata.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo indagato per partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di ingenti quantitativi di stupefacenti (marijuana, hashish, cocaina ed eroina) e detenzione di armi. Secondo l’accusa, l’indagato agiva come intermediario e fornitore abituale per il sodalizio criminale. Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere. Contro questa decisione, la difesa ha proposto riesame, lamentando diversi vizi, tra cui la mancanza di un’autonoma valutazione da parte del GIP, l’insufficienza di prove sulla partecipazione stabile all’associazione e, soprattutto, la mancata considerazione del lungo periodo di tempo trascorso dai fatti contestati, un ‘tempo silente’ che avrebbe dovuto far venir meno l’attualità delle esigenze cautelari.

La Questione dell’Autonoma Valutazione del Giudice

Uno dei motivi principali del ricorso si concentrava sulla presunta mancanza di autonoma valutazione da parte del GIP, che avrebbe redatto l’ordinanza cautelare utilizzando la tecnica del ‘copia-incolla’ dalla richiesta del Pubblico Ministero. La difesa sosteneva che tale modalità operativa rappresentasse un appiattimento acritico sulle tesi dell’accusa.

La posizione della Cassazione sulla valutazione

La Corte Suprema ha ribadito un principio consolidato: la tecnica del rinvio per relationem o dell’incorporazione degli atti dell’accusa non viola di per sé l’obbligo di autonoma valutazione. Ciò che conta è che dall’ordinanza emerga un effettivo vaglio critico degli elementi da parte del giudice. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che il GIP, pur riportando ampi stralci della richiesta del PM, avesse disseminato nel testo i propri interventi valutativi, esprimendo condivisione o dissenso e chiarendo le ragioni della propria decisione. Questo dimostra che non c’è stato un mero recepimento passivo, ma una rielaborazione critica del materiale probatorio.

Presunzione di Pericolosità e il ‘Tempo Silente’

Il punto centrale della difesa verteva sulla presunzione di pericolosità. L’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari per reati di particolare gravità, come quelli associativi legati al narcotraffico. La difesa ha sostenuto che il considerevole lasso di tempo (circa tre anni) trascorso dai fatti contestati, senza che emergessero nuove condotte illecite, fosse sufficiente a superare tale presunzione.

La valutazione della Corte sulla pericolosità

La Cassazione ha chiarito che il ‘tempo silente’ è un elemento rilevante, ma non decisivo di per sé. Per vincere la presunzione di pericolosità, non basta il mero decorso del tempo. È necessario fornire la prova di un definitivo e irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio criminale e dal suo contesto operativo. Nel caso di specie, i giudici hanno evidenziato come le indagini avessero dimostrato la continuità dei rapporti tra l’indagato e altri membri dell’associazione anche dopo gli episodi specifici contestati, smentendo la tesi difensiva di una rescissione dei legami criminali. La Corte ha sottolineato che, in contesti di criminalità organizzata, la pericolosità non si lega solo alla commissione di specifici reati, ma anche alla stabilità del vincolo associativo e alla professionalità criminale dimostrata.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’attenta ponderazione dei principi giuridici applicabili. In primo luogo, viene confermato che l’obbligo di ‘autonoma valutazione’ imposto al giudice non implica la necessità di una riscrittura originale del provvedimento, ma esige la dimostrazione di un percorso logico-critico personale. Il giudice può incorporare parti della richiesta del PM, ma deve integrare il testo con le proprie considerazioni, come avvenuto nel caso in esame.
In secondo luogo, e più significativamente, la Corte ha delineato i limiti del ‘tempo silente’ come fattore per escludere l’attualità delle esigenze cautelari. Per reati associativi, la prognosi di pericolosità si estende oltre la data dell’ultimo reato-fine contestato. Essa riguarda la potenziale commissione di futuri reati, che deriva dal grado di inserimento nel circuito criminale e dalla professionalità acquisita. La mera rescissione del vincolo non è sufficiente se non accompagnata da elementi concreti che dimostrino un cambiamento radicale dello stile di vita e un allontanamento definitivo dall’ambiente criminale. Elementi come la continuità dei contatti, anche se non sfociati in nuovi reati, sono stati ritenuti sufficienti a mantenere viva la presunzione di pericolosità.

Le conclusioni

La sentenza in commento rafforza un orientamento rigoroso in materia di misure cautelari per reati di criminalità organizzata. La Corte di Cassazione invia un messaggio chiaro: la libertà personale può essere limitata sulla base di una presunzione di pericolosità che non viene meno facilmente. Il ‘tempo silente’ può essere un indizio, ma da solo non basta. Per superare la presunzione, è onere della difesa fornire prove concrete e univoche di una cesura netta e irreversibile con il passato criminale. Questa decisione sottolinea la difficoltà di bilanciare la tutela della collettività dal pericolo di reiterazione di reati gravi con il diritto alla libertà dell’individuo, specialmente nella fase delle indagini preliminari.

Il semplice decorso del tempo (‘tempo silente’) è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità per i reati associativi?
No. Secondo la sentenza, il solo decorso di un apprezzabile lasso di tempo non è di per sé idoneo a superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari. È necessario che tale elemento sia accompagnato da altre prove concrete che dimostrino l’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio criminale.

L’utilizzo della tecnica del ‘copia-incolla’ da parte del giudice rende nulla un’ordinanza di custodia cautelare?
No, non necessariamente. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’uso di tale tecnica è legittimo se, all’interno del provvedimento, il giudice inserisce elementi che dimostrano un’effettiva e autonoma valutazione critica degli elementi d’accusa, manifestando il proprio giudizio e non un mero recepimento passivo.

Come si distingue la partecipazione stabile a un’associazione per delinquere dal semplice concorso in singoli reati di spaccio?
La partecipazione stabile (intraneità) implica un inserimento organico nella struttura criminale, caratterizzato da una costante disponibilità a fornire un contributo per gli scopi del sodalizio (come nel caso di un fornitore abituale). Il mero concorso, invece, si limita a un accordo per la realizzazione di uno o più reati specifici, senza un vincolo associativo permanente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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