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Presunzione di pericolosità: il tempo non basta

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato per estorsione aggravata dal metodo mafioso, che chiedeva la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari. La difesa sosteneva che il lungo tempo trascorso dal reato avesse affievolito le esigenze cautelari. La Corte ha ribadito che per tali reati vige una presunzione di pericolosità che non può essere superata dal solo decorso del tempo, ma richiede prove concrete di un definitivo allontanamento dal contesto criminale.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di Pericolosità nei Reati di Mafia: Perché il Tempo da Solo Non Annulla il Rischio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione riafferma un principio cruciale in materia di misure cautelari per reati di stampo mafioso: la presunzione di pericolosità dell’indagato non può essere vinta semplicemente dal trascorrere del tempo. Il caso analizzato riguarda un soggetto, imputato per estorsione pluriaggravata dal metodo mafioso, che ha visto respingersi la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, nonostante un lungo periodo di “tempo silente” tra il fatto contestato e l’arresto.

I Fatti del Caso

L’imputato, detenuto per un delitto di estorsione aggravata, si era rivolto al Tribunale del Riesame dopo che la Corte d’Appello aveva negato la sostituzione della misura carceraria. La difesa ha basato il suo appello su un punto principale: il reato contestato risaliva al 2014, mentre l’arresto era avvenuto solo nel 2018. Questo lasso di tempo di oltre quattro anni, definito “silente” in quanto privo di ulteriori condotte illecite, avrebbe dovuto, secondo la tesi difensiva, dimostrare un affievolimento della pericolosità sociale e, di conseguenza, delle esigenze cautelari.

La Questione Giuridica: La Presunzione di Pericolosità e il “Tempo Silente”

Il cuore della questione legale risiede nell’interpretazione degli articoli 274 e 275 del codice di procedura penale. Per reati di particolare gravità, come quelli con aggravante mafiosa, la legge stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari. Ciò significa che si presume la pericolosità dell’indagato e l’adeguatezza della custodia in carcere, salvo che la difesa fornisca una prova contraria convincente.

La difesa ha sostenuto che il “tempo silente” costituisse proprio quella prova, capace di dimostrare la mancanza di attualità del pericolo di recidiva. Il Tribunale, invece, ha ritenuto questo elemento non sufficiente, confermando la misura carceraria.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale del Riesame. La Corte ha ribadito la validità dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario in materia.

Le Motivazioni

La sentenza si fonda su argomentazioni solide e coerenti con i principi che regolano la materia. I giudici hanno chiarito che la presunzione di pericolosità per i reati aggravati dal metodo mafioso è superabile solo dalla prova di un reale e definitivo affievolimento dei legami con l’ambiente criminale. Il semplice decorso del tempo non è considerato, da solo, una prova sufficiente, specialmente quando si tratta di associazioni mafiose tradizionali e radicate come la ‘ndrangheta, dove recidere i legami è notoriamente complesso e rischioso.

La Corte ha specificato che il “tempo silente” può essere valutato, ma solo in via residuale e insieme ad altri elementi concreti, come un’attività di collaborazione con la giustizia o un trasferimento in un luogo lontano dal contesto criminale di origine, che dimostrino oggettivamente l’allontanamento dal sodalizio. Nel caso di specie, questi elementi mancavano.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che, sebbene la misura cautelare per il reato associativo fosse venuta meno per decorso dei termini, le esigenze preventive per il reato di estorsione aggravata rimanevano intatte. La valutazione della pericolosità si basava infatti sulla professionalità criminale dell’imputato e sul suo stabile inserimento in una cosca mafiosa, elementi che rendono concreto e attuale il rischio di reiterazione del reato.

Le Conclusioni

Questa pronuncia consolida un’interpretazione rigorosa delle norme sulle misure cautelari nei procedimenti per criminalità organizzata. Il messaggio è chiaro: per ottenere un’attenuazione della misura detentiva, non basta aver mantenuto una condotta apparentemente lecita per un certo periodo. È necessario fornire prove tangibili di un cambiamento di vita e di un taglio netto con il passato criminale. La sentenza riafferma la centralità della tutela della collettività di fronte a reati che minano le fondamenta della società, sottolineando come la presunzione di pericolosità sia uno strumento fondamentale per prevenire la commissione di ulteriori delitti da parte di soggetti inseriti in contesti mafiosi.

Il solo trascorrere del tempo da un reato di stampo mafioso è sufficiente per attenuare le esigenze cautelari?
No, secondo la Corte il cosiddetto “tempo silente” non è di per sé prova sufficiente a dimostrare la rescissione dei legami con l’associazione criminale, soprattutto in contesti di criminalità organizzata profondamente radicata. È necessario fornire prove concrete di un distacco dal sodalizio.

Cosa deve dimostrare un imputato per superare la presunzione di pericolosità nei reati aggravati dal metodo mafioso?
L’imputato deve fornire la prova circa l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, dimostrando con elementi oggettivi e concreti un allontanamento irreversibile dal contesto criminale, che vada oltre il semplice decorso del tempo senza commettere altri reati.

Se la misura cautelare per il reato di associazione mafiosa perde efficacia, viene meno anche quella per un reato collegato come l’estorsione aggravata?
No. La Corte chiarisce che la persistenza del pericolo di reiterazione per il delitto di estorsione aggravata può essere valutata autonomamente. Anche se il titolo cautelare per il reato associativo è venuto meno, la pericolosità dell’imputato, desunta dal suo inserimento stabile nel contesto mafioso, può continuare a giustificare la misura cautelare per il reato fine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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