Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10431 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10431 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 20/05/1992
avverso l’ordinanza del 18/11/2024 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del difensore, ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza, emessa in data 18 novembre 2024, del Tribunale del riesame di Catania con la quale era stato respinto l’appello cautelare avverso l’ordinanza del G.I.P. che aveva respinto l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicata al medesimo per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con quella degli arresti domiciliari.
2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il difensore deduce, con un unico motivo di ricorso la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla motivazione apparente in punto attualità del pericolo di recidiva nel reato e adeguatezza della misura, tenuto conto degli elementi nuovi sottoposti alla valutazione del giudice, elementi non valutati, e illogicità della motivazione sul riliev della ritenuta reiterazione del reato anche in sede domestica, alla luce del ruolo di mero corriere del ricorrente e della rilevanza del tempo trascorso dai fatti e dall’applicazione della misura cautelare, secondo i più recenti orientamenti della Corte di Cassazione, che hanno valorizzato il tempo decorso dalla commissione dei fatti che deve necessariamente deve attualizzarsi in proporzione diretta con il tempus commissi delicti sul presupposto che alla maggior distanza temporale dei fatti ineluttabilmente finisce di regola per corrispondere una proporzionale affievolimento delle esigenze cautelari, tenuto conto che la condotta del ricorrente di partecipe all’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico sarebbe circoscritta fino al 05/05/2021, mentre l’associazione avrebbe proseguito nell’attività illecita fino al 28/11/2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile perché è manifestamente infondato.
Va in primo luogo disattesa, siccome infondata, la carenza di motivazione in relazione alla valutazione degli elementi nuovi che, nell’ottica difensiva, sarebbero dimostrativi del superamento della presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3 cod.proc.pen.
A fronte degli elementi fondanti il giudizio di pericolosità sociale del ricorrente come indicati nell’ordinanza impugnata e segnatamente il ruolo svolto dal medesimo, per come delineato dall’intercettazione captata il 5 maggio 2021, nella quale emergeva che per diversi anni a tempo pieno faceva il corriere deputato al trasporto della sostanza stupefacente anche verso l’estero, e della negativa prognosi di osservanza delle prescrizioni connesse alla misura degli arresti domiciliari, in un contesto nel quale operava, peraltro, la presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3 cod.proc.pen., i giudici della cautela hanno ritenuto che lo stato di incensuratezza dei famigliari fosse irrilevante ai fini del giudizio prognostico positivo nei confronti d ricorrente, e la circostanza che prima dell’arresto svolgesse attività di piccolo imprenditore non aveva impedito lo svolgimento dell’attività illecita nel contesto organizzato, da cui il mancato superamento della presunzione di pericolosità. Si tratta di una motivazione che non appare né manifestamente illogica né carente.
Quanto all’incidenza del tempo trascorso va precisato che occorre distinguere, la rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del fatto, dal lasso di tempo dall’applicazione della misura cautelare ai fini del mutamento del pericolo di recidiva.
Quanto al rilievo del tempo trascorso dal fatto, va richiamato l’orientamento secondo cui, in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla l 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risult che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Rv. 286202 – 02).
Quanto al rilievo del tempo trascorso dall’applicazione della misura cautelare, che rileva nel caso concreto, la giurisprudenza ha distinto le due ipotesi chiarendo che il c.d. “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza che dispone la misura cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 cod. proc. pen. ai fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi, essendo qualificabile, in presenza di ulteriori elementi, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (Sez. 2, n. 12807 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278999 – 01).
Non di meno il legislatore nel prevedere termini di durata della custodia per fari processuali, ha effettuato in astratto la valutazione del tempo trascorso dall’applicazione della misura, che può essere venire in gioco, ai fini dell’attenuazione delle originarie esigenze cautelari, solo in presenza di ulteriori elementi sopravvenuti per ritenere un mutamento del quadro cautelare, elementi che, nel caso in esame, prospettati dalla difesa (vedi supra) sono stati ritenuti ininfluenti a modificare il quadro cautelare e a ritenere inadeguata la misura in atto applicata, si rammenta, in presenza di presunzione relativa di sussistenza del pericolo e adeguatezza della misura.
Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 1.3 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
La Corte dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 06/05/2025