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Presunzione di pericolosità: il tempo non attenua

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo in custodia cautelare per reati di narcotraffico, che chiedeva la sostituzione della detenzione in carcere con gli arresti domiciliari. La Corte ha stabilito che, per superare la presunzione di pericolosità prevista dalla legge per tali reati, non è sufficiente il solo decorso del tempo dalla commissione dei fatti, ma sono necessari elementi nuovi e concreti che dimostrino un’effettiva attenuazione delle esigenze cautelari.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di pericolosità: il tempo non basta per ottenere i domiciliari

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10431 del 2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di misure cautelari: il valore del tempo trascorso rispetto alla presunzione di pericolosità. La decisione chiarisce che il semplice decorso del tempo non è un elemento sufficiente a giustificare la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, specialmente in presenza di reati gravi come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Approfondiamo i contorni di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato dalla difesa di un soggetto detenuto in carcere con l’accusa di partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, ai sensi degli artt. 73 e 74 del D.P.R. 309/1990. La difesa aveva richiesto la sostituzione della misura carceraria con quella, meno afflittiva, degli arresti domiciliari.

Le argomentazioni difensive si basavano principalmente su due punti:
1. Il notevole tempo trascorso dalla commissione dei fatti contestati.
2. La presunta attenuazione delle esigenze cautelari, data dal ruolo di ‘mero corriere’ dell’indagato e dalla cessazione della sua condotta illecita in una data antecedente alla fine delle attività dell’associazione.

Il Tribunale del riesame aveva respinto la richiesta, confermando la detenzione in carcere, e contro tale decisione veniva proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte sulla Presunzione di Pericolosità

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, che stabilisce una presunzione relativa di pericolosità sociale per chi è gravemente indiziato di determinati reati, tra cui quelli associativi legati alla droga.

I giudici hanno sottolineato una distinzione fondamentale:
* Tempo trascorso dalla commissione del reato: Questo fattore, definito ‘tempo silente’, è rilevante quando il giudice deve applicare per la prima volta una misura cautelare.
* Tempo trascorso dall’applicazione della misura: Questo è l’unico lasso temporale che conta ai fini della revoca o sostituzione della misura. Tale periodo, per avere un peso, deve essere accompagnato da elementi sopravvenuti che dimostrino un reale cambiamento del quadro cautelare.

Nel caso specifico, la difesa non ha fornito elementi nuovi e concreti in grado di superare la robusta presunzione di pericolosità legata al reato contestato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale del riesame né illogica né carente. I giudici di merito avevano correttamente valutato la gravità del quadro indiziario, evidenziando come l’indagato non fosse un corriere occasionale, ma una figura stabilmente inserita nel sodalizio criminale, operante a tempo pieno per anni, anche a livello internazionale. Questo ruolo strutturato ha rafforzato il giudizio di pericolosità sociale.

Inoltre, la Corte ha considerato irrilevanti gli elementi proposti dalla difesa, come l’incensuratezza dei familiari conviventi o il fatto che l’indagato svolgesse un’attività di piccolo imprenditore prima dell’arresto. Tali circostanze, infatti, non avevano impedito la commissione dei gravi reati e non offrivano garanzie sufficienti per un futuro rispetto delle prescrizioni degli arresti domiciliari.

In sostanza, in un contesto dove opera una presunzione legale di pericolosità, l’onere di dimostrare il venir meno delle esigenze cautelari è particolarmente rigoroso. Elementi generici o non direttamente collegati a un cambiamento della personalità criminale dell’indagato sono stati ritenuti ininfluenti.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: per ottenere un’attenuazione delle misure cautelari in caso di reati gravi, non basta appellarsi al trascorrere del tempo. È necessario fornire al giudice prove concrete e sopravvenute che dimostrino una reale e significativa riduzione del pericolo di recidiva. La presunzione di pericolosità non è una formula vuota, ma un presidio normativo che richiede di essere superato con argomenti fattuali solidi, capaci di incidere sul giudizio prognostico negativo che la legge associa a determinate fattispecie criminali.

Il semplice trascorrere del tempo è sufficiente per ottenere gli arresti domiciliari al posto del carcere?
No. Secondo la Corte, ai fini della sostituzione di una misura cautelare, il tempo trascorso dall’applicazione della stessa rileva solo se accompagnato da ulteriori elementi sopravvenuti che dimostrino un’attenuazione delle originarie esigenze cautelari.

Cosa si intende per presunzione di pericolosità?
È un’assunzione prevista dalla legge (art. 275, c. 3, c.p.p.) per cui, in presenza di gravi indizi per reati di particolare allarme sociale come le associazioni per delinquere, si presume che l’indagato sia socialmente pericoloso. Spetta alla difesa fornire prove concrete per dimostrare il contrario.

Perché il lavoro svolto e lo stato di incensuratezza dei familiari non sono stati considerati rilevanti?
La Corte ha ritenuto questi elementi ininfluenti perché non erano stati in grado di impedire lo svolgimento dell’attività illecita nel contesto criminale organizzato. Pertanto, non sono stati giudicati idonei a fondare un giudizio prognostico positivo sulla futura condotta dell’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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