Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10086 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10086 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Palermo il 26/5/1963
avverso l’ordinanza del 24/10/2024 del Tribunale di Palermo
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 24 ottobre 2024 il Tribunale di Palermo ha rigettato l’istanza di riesame avverso il provvedimento con cui la Corte di appello della stessa città ha applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Il Tribunale – quanto alla gravità indiziaria – ha richiamato sia la sentenza del 30 settembre 2024, con cui la Corte di appello di Palermo, decidendo a seguito di annullamento con rinvio, disposto in sede di legittimità, ha condannato l’imputato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., sia l dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME che avevano riferito che il ricorrente, seppur mai formalmente affiliato, era stato stabilmente a disposizione del mandamento mafioso di Resuttana. Riguardo alle esigenze cautelari, il Collegio del riesame ha osservato che la sola lontananza temporale degli addebiti, contestati sino a giugno 2014, non consentiva di fondare una ponderata prognosi di sopravvenuta rescissione del vincolo associativo e, perciò, di superare la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto vizi della motivazione, per non avere il Tribunale considerato non solo che la fattispecie associativa è stata contestata sino al mese di giugno 2014, ossia sino a oltre 10 anni prima dell’adozione della misura cautelare, ma anche che, in questo lasso di tempo, il ricorrente è stato quasi sempre libero e non gli è stata applicata una misura cautelare neanche dopo la condanna a otto anni e sei mesi di reclusione, inflitta il 13 giugno 2016 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
A seguito di annullamento con rinvio della sentenza di assoluzione, disposto da questa Corte, NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. con pronuncia della Corte di app llo di Palermo del 30 settembre 2024.
Con successiva ordinanza del 24 ottobre 2024, il Collegio di appello palermitano ha applicato al ricorrente la misura cautelare della custodia in carcere, avendo ritenuto – quanto alle esigenze cautelari – che il mero decorso di un considerevole lasso di tempo dalla commissione dei fatti in contestazione non valeva a vincere la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non potendo da solo costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’imputato dal sodalizio e, in particolare, da quell’articolazione di cosa nostra
rappresentata dalla famiglia mafiosa dell’Acquasanta, senz’altro annoverabile tra le mafie storiche.
La motivazione di tale ordinanza è stata condivisa dal Tribunale del riesame, che, per l’appunto, ha affermato che il c.d. tempo silente non poteva da solo costituire prova dell’irreversibilità dell’allontanamento dall’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato, esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi volti a fornire la dimostrazione dell’assenza di esigenze cautelari.
3. La motivazione del provvedimento impugnato si appalesa viziata.
3.1. Deve rilevarsi, sul piano generale, che, nel caso di intervenuta sentenza di condanna dell’imputato, il vaglio, necessario per l’adozione di una misura cautelare, va effettuato alla luce dell’art. 275, comma 1-bis, cod. proc. pen., che dispone che, contestualmente a una pronuncia di condanna, l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell’articolo 274, comma 1, lettere b) e c), cod. proc. pen.
La previsione dell’applicazione di misure cautelari personali contestualmente all’emissione della sentenza di condanna, con la prescrizione di particolari criteri nell’apprezzamento delle esigenze cautelari, non impone la stretta contestualità tra la sentenza e l’intervento cautelare ma fa carico al giudice di non ritardare irragionevolmente l’applicazione della misura a un tempo successivo all’anzidetta pronuncia e di curare, comunque, la verifica di tutti i presupposti giustificativi (Sez. 6, n. 51605 del 12/09/2019, COGNOME, Rv. 277575 – 01; Sez. 6, n. 18074 del 15/03/2012, Ancora, Rv. 252635 – 01; Sez. 6, n. 14223 del 19/01/2005, COGNOME, Rv. 231377 – 01; Sez. 1, n. 35202 del 17/09/2002, COGNOME e altri, Rv. 222327 – 01).
Al di là del dovere di non ritardare oltre tempi ragionevoli l’adozione di una misura cautelare, «contestuale o successiva che sia l’applicazione della misura rispetto alla sentenza di condanna, ciò che in linea generale occorre verificare è la sussistenza delle esigenze cautelari» (in tal senso: Sez. 2, n. 36239 dell’8/07/2011, Bunjaku, Rv. 251157 – 01); esigenze che devono essere valutate in base ai parametri stabiliti dall’art. 275, comma 1-bis, cod. proc. pen., che impone al giudice di tenere conto degli elementi che emergono dall’intervenuta pronuncia di condanna, dovendosi, a tal fine, escludere alcun vincolo derivante da un precedente giudicato cautelare favorevole al condannato (Sez. 6, n. 20304 del 30/03/2017, COGNOME, Rv. 269956 – 01).
Va, inoltre, precisato che, se la sentenza di condanna è relativa a uno dei reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non sono prefigurabili ragioni
normative che ostino alla piena operatività della presunzione di pericolosità dettata da tale disposizione. Del resto, una diversa interpretazione si risolverebbe in un ingiustificato trattamento di favore nei confronti di imputati già raggiunti non più da indizi, ma da prove della commissione di reati tanto gravi da giustificare nel corso delle indagini preliminari una presunzione di pericolosità, che non può dirsi venuta meno per effetto della condanna.
3.2. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve rilevarsi, innanzitutto, che dall’ordinanza impugnata non emerge che il Tribunale palermitano abbia effettuato il vaglio sulla sussistenza delle esigenze cautelari tenendo in considerazione l’art. 275, comma 1-bis, cod. proc. pen., che, significativamente, non è stato nemmeno richiamato.
Il Tribunale, infatti, ha fatto riferimento alla sentenza di condanna dell’imputato soltanto per confermare l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ravvisati dal primo Giudice, ma, nell’apprezzamento delle esigenze cautelari, non si è posto il problema del rispetto dei particolari criteri descritti nell’art. comma 1-bis, cit., avendo menzionato esclusivamente la presunzione di pericolosità dettata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen..
3.3. Va poi rilevato che riguardo all’applicazione di tale presunzione l’ordinanza impugnata non resiste ai rilievi censori del ricorrente, non avendo fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di c.d. tempo silente e di presunzione di pericolosità.
Il Tribunale ha citato un orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato previsto dall’art. 416-bis cod. pen., la presunzione dettata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre «il tempo silente non può da solo costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale quale uno dei possibili elementi volti a fornire la dimostrazione di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari» (Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, COGNOME, Rv. 286267 01; Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131 – 01; Sez. 5, n. 36389 del 15/07/2019, COGNOME, Rv. 276905 – 01).
A fronte di tale orientamento e in linea con la natura relativa della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., altre sentenze di legittimità hanno affermato, invece, che il dato normativo, introdotto nel testo dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015 n. 47, richiede ora la sussistenza di un pericolo non solo concreto ma attuale di commissione futura di delitti di criminalità organizzata. Questo dato normativo – in ragione del fatto che la stessa norma di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen. esclude che le
situazioni di concreto e attuale pericolo possano essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede – va riferito in termini cogent anche alle ipotesi di custodia in carcere previste dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., per le quali, quindi, la presunzione di esistenza di ragioni cautelari viene del tutto vanificata qualora sia dimostrata l’inattualità di situazioni d pericolo cautelare (Sez. 6, n. 12669 del 2/03/2016, COGNOME, Rv. 266784 – 01).
Si è ritenuto, quindi, che, al momento dell’adozione della misura, quando si procede per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere, la considerevole distanza temporale dei fatti contestati deve, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, essere espressamente considerata dal giudice ai fini della valutazione in termini di attualità delle esigenze cautelari, potendo l pur persistente presunzione, così come disposto dal medesimo art. 275, cod. proc. pen., trovare contrasto in “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, desumibili anche dal tempo trascorso dai fatti addebitati (v. da ultimo Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, COGNOME, Rv. 286202 – 02; Sez. 6, n. 27544 del 16/06/2015, Rechichi, Rv. 263942 – 01).
Si è condivisibilmente osservato (sent. n. 11735/2024 cit.) che il contributo all’attualità della vita associativa e alla realizzazione dei fini, che la stessa propone, non può risolversi in una semplice adesione di tipo ideologico, che sicuramente rileva sul piano psicologico, ma deve, comunque, concretarsi in una condotta partecipativa, anche di rilievo non particolarmente incisivo e, come tale, sostituibile, che sia funzionale alla realizzazione degli scopi illeciti del compagine e dimostrativa di una attualità dell’inserimento in essa dell’indagato e, quindi, della permanenza del delitto associativo non solo sul versante oggettivo della struttura associativa in sé considerata, ma anche su quello soggettivo della personale adesione ad essa del singolo indagato.
A fronte di una siffatta connotazione della condotta di partecipazione a una associazione di stampo mafioso, si è ritenuto che il tempo intercorso tra i fatti contestati e l’emissione della misura cautelare, ove sia privo di ulteriori condotte “sintomatiche” di perdurante pericolosità da parte dell’indagato, può rilevare quale fattore indicativo della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione – dovendosi, peraltro, escludere la necessità che il recesso dell’associato assuma le forme di una dissociazione espressa, coincidente con l’inizio della collaborazione con l’Autorità giudiziaria.
Si è, dunque, pervenuti alla conclusione che, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su
impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari (Sez. 5, n. 52628 del 23/09/2016, COGNOME e altri, Rv. 268727 – 01).
3.4. Alla luce di quanto precede va osservato che il Tribunale del riesame, a fronte di specifiche critiche della difesa, che ne avevano sollecitato l’attenzione sul tema del lungo tempo trascorso (circa 10 anni) dal commesso reato (contestato sino al 2014) e dei suoi riflessi sull’attualità e sulla sussistenz stessa delle esigenze cautelari, non ha fornito un’adeguata risposta.
Il Tribunale, infatti, sulla base di un ragionamento decisorio che non risulta in armonia con la prevalente giurisprudenza, innanzi richiamata, non ha motivato in ordine al lungo tempo decorso dai fatti. Né si è confrontato con i dati ulteriori, dedotti dalla difesa, quali la mancata richiesta di misure restrittive nei confronti del ricorrente anche dopo la condanna ad anni otto e mesi sei di reclusione, inflitta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, e lo svolgimento di un tortuoso percorso giudiziario, segnalato nell’ordinanza, il quale, pur trascorso sotto le attenzioni investigative e processuali e non, come comunemente accade, nell’ignoranza o indifferenza degli organi investigativi, non aveva evidenziato elementi negativi a carico dell’imputato.
In tal modo il Collegio del riesame non ha adempiuto all’obbligo, sul medesimo incombente, di dare contezza dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari.
3.5. Siffatta conclusione non è scalfita dal fatto che la misura cautelare è stata adottata all’esito della condanna per reato associativo, poiché, come prima detto, il perimetro cognitivo del giudice della cautela, in esito a giudizio d condanna, non può prescindere dalla verifica della sussistenza di specifiche, concrete ed attuali esigenze cautelari in relazione al caso concreto, e, dunque, alla verifica della ricorrenza delle condizioni per adottare la misura.
Va, in proposito, evidenziato che, con la sentenza di condanna, sono stati necessariamente individuati gli elementi in base ai quali è stata ricostruita la condotta partecipativa dell’imputato e il Giudice della cautela avrebbe dovuto confrontarsi con tali elementi e dare adeguata motivazione delle ragioni per le quali, apprezzato anche il rilevante iato temporale, fosse possibile ritenere sussistente nell’attualità la pericolosità sociale del ricorrente, valutando attentamente le modalità e la gravità dei fatti, le circostanze afferenti alla personalità dell’interessato ed altri elementi sintomatici della pericolosità e deponenti per l’adozione della più grave tra le misure custodiali.
Alla luce di quanto sopra esposto, va disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata al Tribunale di Palermo, competente ai sensi dell’art.
309, comma 7, cod. proc. pen., per nuovo esame da svolgere nel rispetto dei principi e delle regole innanzi precisati.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, cod. proc. pen. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19 febbraio 2025.