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Presunzione di pericolosità e durata della custodia

La Corte di Cassazione ha analizzato il caso di un detenuto per associazione mafiosa che chiedeva la revoca della custodia in carcere data la lunga detenzione, quasi pari alla pena inflitta. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la presunzione di pericolosità per reati di mafia non viene meno solo per il decorso del tempo, ma richiede la prova di elementi specifici che dimostrino il cessare delle esigenze cautelari.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare Lunga: Non Basta a Vincere la Presunzione di Pericolosità

Quando la durata della custodia cautelare si avvicina alla pena finale, è possibile ottenere la scarcerazione? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20510 del 2024, affronta un tema cruciale: il rapporto tra il tempo trascorso in carcere e la presunzione di pericolosità per i reati di associazione mafiosa. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale penale, offrendo chiarimenti importanti sull’applicazione delle misure cautelari.

I Fatti del Caso: Una Lunga Attesa in Custodia Cautelare

Il caso riguarda un uomo condannato a sei anni e otto mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso. Al momento del ricorso, egli aveva già trascorso in custodia cautelare in carcere un periodo di cinque anni e otto mesi, ovvero una porzione molto significativa della pena inflitta. La difesa ha quindi richiesto la revoca della misura, sostenendo che la lunga detenzione avesse fatto venir meno l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari. In subordine, era stata chiesta la sostituzione del carcere con gli arresti domiciliari. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato le istanze, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Questione Giuridica e la Presunzione di Pericolosità

Il quesito al centro della vicenda è se il mero decorso del tempo, anche quando consistente, sia sufficiente a superare la presunzione di pericolosità stabilita dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma prevede che per reati di particolare allarme sociale, come quelli di mafia, si presume che le esigenze cautelari sussistano e che l’unica misura adeguata sia la custodia in carcere. Si tratta di una presunzione ‘relativa’, che può essere vinta fornendo una prova contraria, ma la difesa sosteneva che la proporzione tra custodia sofferta e pena da espiare dovesse essere considerata un fattore decisivo in tal senso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. I giudici hanno ritenuto il motivo di ricorso manifestamente infondato, poiché si basava su un’argomentazione già più volte respinta dalla giurisprudenza consolidata.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della motivazione risiede nella specialità della norma sulla presunzione di pericolosità. La Corte ha spiegato che la presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. per i reati di mafia è prevalente rispetto alle regole generali sulle misure cautelari (art. 274 cod. proc. pen.).

Di conseguenza, per vincere tale presunzione, non è sufficiente invocare il semplice trascorrere del tempo. La difesa deve allegare e provare elementi specifici e concreti dai quali emerga che le esigenze cautelari si sono attenuate o possono essere soddisfatte con una misura meno afflittiva. Il solo fatto che la custodia cautelare si sia protratta a lungo non costituisce, di per sé, una prova contraria idonea a superare la presunzione.

La Corte ha inoltre qualificato il ricorso come generico e aspecifico, in quanto la difesa si era limitata a lamentare la mancata considerazione di non meglio precisati ‘elementi soggettivi importanti’, senza enunciarli né spiegare la loro rilevanza. Questa genericità ha contribuito a rendere l’impugnazione inammissibile.

Conclusioni: La Forza della Presunzione nei Reati di Mafia

La sentenza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di misure cautelari per i reati di criminalità organizzata. Il messaggio è chiaro: la presunzione di pericolosità è un pilastro del sistema di contrasto alla mafia, e per superarla non bastano argomentazioni generiche o basate unicamente sul fattore tempo. È necessario un onere probatorio aggravato a carico della difesa, che deve fornire elementi concreti capaci di dimostrare un reale cambiamento della situazione e il venir meno delle esigenze che giustificano la massima misura cautelare. La decisione sottolinea la necessità di bilanciare il diritto alla libertà personale con l’esigenza di tutela della collettività di fronte a fenomeni criminali di eccezionale gravità.

La lunga durata della custodia cautelare può far decadere automaticamente la presunzione di pericolosità per reati di mafia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. è una norma speciale che prevale sulle regole generali. Il mero decorso del tempo, anche se significativo, non è di per sé sufficiente a superare tale presunzione, che resta valida salvo una specifica prova contraria.

Cosa deve fare la difesa per ottenere la revoca o la sostituzione del carcere in questi casi?
La difesa deve fornire elementi specifici e concreti dai quali risulti che le esigenze cautelari (come il pericolo di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione del reato) non sono più attuali o possono essere soddisfatte con misure meno severe del carcere. Non è sufficiente un’argomentazione generica.

Perché il ricorso specifico è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile principalmente per due ragioni: era manifestamente infondato, poiché si basava su una tesi giuridica contraria alla giurisprudenza consolidata, ed era generico, in quanto non enunciava quali fossero gli elementi specifici che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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