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Presunzione di pericolosità: Cassazione e 416-bis

La Corte di Cassazione, con la sentenza 43423/2024, ha rigettato il ricorso di un soggetto indagato per associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.). La Corte ha confermato la validità della misura cautelare in carcere, sottolineando come una precedente condanna per lo stesso reato, unita a nuove prove come le intercettazioni relative al controllo di appalti, costituisca un quadro indiziario solido. Fondamentale il chiarimento sulla presunzione di pericolosità: il cosiddetto ‘tempo silente’ non è sufficiente a superarla quando l’adesione dell’indagato al sodalizio criminale risulta profondamente radicata.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione di pericolosità e 416-bis: la Cassazione conferma la linea dura

Con la recente sentenza n. 43423/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: la presunzione di pericolosità in relazione al reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.). La decisione conferma un orientamento rigoroso, stabilendo che il legame con un sodalizio mafioso, una volta provato, si considera persistente e non viene meno solo per il trascorrere del tempo senza la commissione di nuovi reati evidenti. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: tra vecchie condanne e nuove accuse

Il caso riguarda un soggetto destinatario di una misura di custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione a un’associazione mafiosa. L’indagato, che aveva già riportato in passato una condanna definitiva per lo stesso reato, ha impugnato l’ordinanza del Tribunale del Riesame, lamentando l’assenza di un quadro indiziario grave e attuale.

Secondo la difesa, le nuove accuse si basavano su elementi generici e su intercettazioni telefoniche erroneamente interpretate, che documentavano semplici rapporti di amicizia e non un ruolo attivo nel sodalizio. In particolare, si contestava l’ipotesi accusatoria secondo cui l’indagato avesse continuato a esercitare un ruolo di controllo sulle attività economiche del territorio, intervenendo nell’assegnazione di subappalti per opere pubbliche. Un punto centrale del ricorso era il concetto di “tempo silente”: la difesa sosteneva che il tempo trascorso dalle ultime condotte contestate avrebbe dovuto indebolire la presunzione di attualità del pericolo.

La Valutazione degli Indizi e la presunzione di pericolosità

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo la motivazione del Tribunale del Riesame logica e coerente. I giudici hanno chiarito che, in tema di misure cautelari, una precedente condanna definitiva per il medesimo reato di associazione mafiosa non è un mero dato storico, ma costituisce un grave indizio della persistenza del vincolo associativo.

Questo elemento, se valutato congiuntamente a nuove prove – come le intercettazioni che, nel caso di specie, dimostravano l’ingerenza dell’indagato nelle dinamiche di assegnazione dei lavori e il rispetto delle gerarchie mafiose – consolida il quadro accusatorio. La Cassazione ha ritenuto che la lettura delle conversazioni fornita dai giudici di merito non fosse manifestamente illogica, respingendo la tesi difensiva che tentava di sminuirle a semplici chiacchierate tra amici.

Il Principio del “Tempo Silente” non scalfisce la presunzione

Il passaggio più significativo della sentenza riguarda la gestione della presunzione di pericolosità e del cosiddetto “tempo silente”. La Corte ha ribadito che, per reati come l’associazione mafiosa, l’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari.

L’appartenenza a un sodalizio mafioso implica un’adesione permanente a una struttura criminale radicata sul territorio. Di conseguenza, il semplice trascorrere del tempo non è di per sé sufficiente a dimostrare che il legame si sia interrotto e che la pericolosità sociale sia venuta meno. La “tenuta” della presunzione, spiegano i giudici, deve essere misurata in base alle caratteristiche specifiche del sodalizio e della condotta partecipativa dell’indagato. Nel caso in esame, data la radicata adesione dell’indagato all’associazione, neppure incrinata da una precedente lunga carcerazione, il tempo intercorso (l’ultimo episodio risaliva al settembre 2022) non è stato ritenuto “rilevante” al punto da vincere tale presunzione.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su una valutazione complessiva e non frammentaria degli elementi. La decisione di rigettare il ricorso si basa sulla coerenza del quadro indiziario, composto dalla saldatura tra la pregressa condanna e le nuove emergenze investigative. Viene sottolineato come il vincolo che lega un affiliato a un’associazione mafiosa sia per sua natura stabile e duraturo. Per superare la presunzione di pericolosità non è sufficiente un periodo di apparente inattività, ma occorrono elementi concreti che dimostrino un allontanamento definitivo e irreversibile dal sodalizio. In assenza di tali elementi, la misura cautelare più grave, come la custodia in carcere, rimane giustificata dalla necessità di prevenire la commissione di ulteriori reati della stessa specie.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce la linea di rigore della giurisprudenza di legittimità nei confronti dei reati di criminalità organizzata. Le implicazioni pratiche sono notevoli: per chi è indagato per 416-bis c.p., specialmente se con precedenti specifici, diventa estremamente difficile contrastare la presunzione di pericolosità sociale. La pronuncia chiarisce che il legame con il clan è considerato una scelta di vita che, agli occhi della legge, prosegue fino a prova contraria, e tale prova deve essere tangibile e inequivocabile. Questo approccio garantisce uno strumento efficace per neutralizzare la capacità operativa dei sodalizi mafiosi, anche di fronte a strategie difensive che puntano sul decorso del tempo per alleggerire la posizione dell’indagato.

Una precedente condanna per associazione mafiosa può essere usata come prova in un nuovo procedimento per lo stesso reato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che una sentenza di condanna definitiva per associazione mafiosa è un elemento significativo di prova per dimostrare la permanenza del soggetto all’interno del sodalizio in un periodo successivo, se valutata insieme a nuovi elementi probatori.

Il tempo trascorso dai fatti (‘tempo silente’) può annullare la presunzione di pericolosità per i reati di mafia?
No, non automaticamente. La sentenza chiarisce che il ‘tempo silente’ deve essere valutato nel caso concreto. Se l’adesione al sodalizio è radicata e non ci sono prove di un allontanamento irreversibile, un lasso di tempo anche apprezzabile potrebbe non essere sufficiente a vincere la presunzione di pericolosità sociale.

Per applicare una misura cautelare in carcere per il reato di 416-bis, è necessario dimostrare che l’indagato è attualmente pericoloso?
Per il reato di associazione di tipo mafioso, l’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce una presunzione relativa di pericolosità. Ciò significa che la pericolosità si presume, salvo che emergano elementi concreti e specifici che dimostrino il contrario. La Corte ha ritenuto che in questo caso tali elementi non sussistessero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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