Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34669 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34669 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di:
COGNOME NOME, nato a Melfi il DATA_NASCITA, avverso la ordinanza del 26 marzo 2024 del Tribunale di Potenza, Sezione distrettuale per il riesame,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte trasmesse in data 25 giugno 2024 dal Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte trasmesse a mezzo p.e.c. dal difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha replicato alle conclusioni scritte del Pubblico ministero ed ha insistito per l’annullamento della impugnata ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale per il riesame delle misure coercitive di Potenza rigettava l’appello proposto, ex art. 310 cod. proc. pen., dall’odierno ricorrente avverso l’ordinanza emessa in data 12 febbraio 2024 dal Tribunale di Potenza (giudice che procede nel merito), che aveva a sua volta rigettato la richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, in corso di esecuzione, con quella degli arresti domiciliari, respingendo la domanda di “rivalutazione della sussistenza dei requisiti dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari gravanti sul Cassotta”.
Il Tribunale ravvisava persistente attualità delle esigenze cautelari di prevenzione speciale, tutelabili solo con la misura di massima afflittività e proporzione della durata della misura rispetto ai termini massimi della fase.
Si procede nei confronti del ricorrente per il delitto di estorsione, aggravata anche dalle finalità di agevolazione mafiosa.
Con i motivi di ricorso si deduce:
3.1. violazione della legge processuale e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, in riferimento agli artt. 310, 299, cod. proc. pen.) con riguardo alla dichiarazione di “inammissibilità dell’impugnazione nella parte relativa alla richiesta di revoca della misura irrogata, atteso che l’originaria istanza avanzata al Tribunale aveva, ad avviso del difensore, devoluto al giudice che procede anche i temi della sopravvenuta carenza della gravità indiziaria, non solo quelli della attualità e consistenza delle esigenze cautelari.
3.2. Col secondo motivo deduce contraddittorietà estrinseca della motivazione, richiamando quanto statuito da questa stessa Sezione della Corte in riferimento alla posizione di NOME COGNOME, per cui era stata dichiarata la carenza della gravità indiziaria in ordine a reati di cui ai capi 5) e 6) della imputazione, comuni anche al ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, per la manifesta infondatezza dei motivi.
1.1. La richiesta rivolta al giudice che procede nel merito recava un preciso petitum, circoscritto alla domanda di sostituzione della misura cautelare di massima afflittività o, volendo estendere il petitum a tutto il testo dell’istanza, della revoca della misura, per sopravvenuta carenza delle esigenze cautelari; il che presuppone la inalterata consistenza del quadro gravemente indiziario, già peraltro cristallizzato da giudicato cautelare formato sulla posizione dell’istante per il fatto contestato, così come aggravato anche dalle finalità di agevolazione mafiosa.
Orbene, deve preliminarmente evidenziarsi che nella fattispecie, in ragione del fatto oggetto di imputazione, opera il comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., che pone una presunzione “temperata” di adeguatezza del presidio di massima afflittività ove il fatto sia commesso (come nella fattispecie contestata) per finalità di agevolazione mafiosa.
1.2. Ciò posto, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la pericolosità sociale, anche nel suo massimo grado espressivo, nei termini cristallizzati dal legislatore all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., si desume congiuntamente dall’apprezzamento prognostico di fatti storicizzati, quali le specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’agente (Sez. 6, n. 45489, del 21/6/2018; Sez. 5, n. 49038, del 14/6/2017, Rv. 271522; Sez. 1, n. 37839, del 2/3/2016, Rv. 267798; Sez. 3, n. 1166, del 2/12/2015 – dep. 14/1/2016, NOME, Rv. 266177).
1.3. Anche sul tema della adeguatezza della sola restrizione inframuraria (art. 275, cod. proc. pen.) il Tribunale si era già espresso nella sede propria di riesame, con provvedimenti “stabilizzati” sui temi della gravità indiziaria, delle esigenze cautelari e della adeguatezza del presidio applicato.
1.4. Il Tribunale della cautela, con il provvedimento oggi impugnato, emesso quale giudice di appello ex art. 310 cod. proc. pen., non si è limitato ad opporre il “giudicato cautelare” già formatosi, ma ha esplicitamente affrontato e risolto (pur non essendovi tenuto in ragione dell’effetto pienamente devolutivo dell’appello cautelare) il tema della persistente gravità indiziaria. Ha quindi ritenuto che la presunzione di adeguatezza scolpita al comma 3 dell’art. 275 del codice di rito non poteva considerarsi vinta da alcun segnalato elemento di novità concreta, né il tempo trascorso dalla applicazione della misura (nell’ambito dei termini di fase e complessivi indicati dal legislatore processale) poteva ritenersi sproporzionato rispetto alla misura della sanzione irrogata. Tali profili risultano valutati sulla base di criteri logici lineari e massime di esperienza condivise, tanto da determinare un apparato motivazionale altrettale, come tale esente da vizi sindacabili in questa sede (Sez. 2, n. 27272, del 17/5/2019, Rv. 275786; Sez. 3, n. 7268, del 24/1/2019, Rv. 275851; Sez. 6, n. 17314, del 20/4/2011, Rv. 250093).
1.5. Il giudice dell’appello cautelare, ritenuta non vinta da alcun sopravvenuto elemento di valutazione la presunzione di adeguatezza della sola misura carceraria, ha dunque concretamente apprezzato l’inanità della misura domiciliare invocata, a contenere la spinta criminale dell’agente, per come rappresentata dai fatti per cui è cautela e dagli allarmanti rapporti di contiguità familistica con la cosca nel cui interesse il ricorrente ha mosso la sua pretesa estorsiva. In tal senso, non sussistono i dedotti vizi motivazionali o le erronee ricognizioni dei presupposti di legge.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, sussistendo per quanto sopra evidenziato, profili di colpa nella devoluzione di domanda non coerente con i motivi posti a sostegno, la condanna al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
2.1. Ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen. la presente sentenza va comunicata alla ricorrente detenuta a cura del direttore dell’istituto penitenziario di detenzione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 luglio 2024.