Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3077 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3077 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME (cui CODICE_FISCALE), nato a Belgrado (Serbia) il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 11/07/2023 del TRIBUNALE LIBERTA’ TRIESTE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza dell’Il luglio 2023 il Tribunale del riesame di Trieste ha accolto l’appello cautelare del pubblico ministero nei confronti dell’ordinanza del 22 giugno 2023, con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste aveva applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura del divieto di dimora nella Regione Friuli Venezia Giulia in relazione al reato di cui all’art. 12 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, commesso il 20 giugno 2023, ed, in riforma di tale ordinanza, aveva applicato all’indagato la misura della custodia in carcere.
Nella motivazione dell’ordinanza il Tribunale ha evidenziato la inidoneità della misura disposta dal g.i.p. a contenere il pericolo di reiterazione del reato sia in quanto l’ordinanza cautelare non si faceva carico dell’onere motivazionale della
adeguatezza della misura scelta in un reato cui era applicabile la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sia in quanto dagli atti emergeva un consistente pericolo di reiterazione immediata del reato, atteso che risultava che l’indagato aveva stipulato un contratto di noleggio di un veicolo con targa slovena per una settimana a partire dal 19 giugno 2023, pagando come corrispettivo la somma di 604 euro; un tale contratto per un viaggio della durata di poche ore da Lubiana a Trieste, e ritorno, si spiega soltanto con l’intenzione da parte dell’indagato di effettuare anche nei giorni successivi altri viaggi analoghi; sotto questo punto di vista la misura scelta dal g.i.p. era del tutto inidonea ad impedire la reiterazione del reato perché l’indagato avrebbe potuto provvedere comunque a questi trasporti arrivando fino a pochi metri dall’Italia ed ivi scaricando i trasportati.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi, di seguito esposti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in quanto il solo elemento del noleggio dell’autoveicolo per una settimana non ha una tale valenza sintomatica di collaudata professionalità e serialità nel reato da desumere che l’indagato abbia contatti con un’organizzazione stabile dedita al trasporto dei migranti irregolari, né sono emersi elementi che permettono di collegare l’indagato ad alcuna specifica organizzazione; andava considerato, inoltre, che lo stesso ha noleggiato il mezzo a suo nome consentendo quindi di essere agevolmente identificato; inoltre, andava considerato che la sua eventuale volontà di commettere nuovamente reati dello stesso tipo può aver subito un indebolimento dopo la carcerazione seguita all’arresto in flagranza.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. che impone il criterio del minor sacrificio possibile della limitazione della libertà personale; è vero, infatti, che per il reato ascritto all’indagato esiste la presunzione di adeguatezza dell’art. 12, comma 4-bis, d. Igs. n. 286 del 1998, ma tale presunzione relativa è superabile da elementi specifici, e nel caso in esame il Tribunale ha violato il principio di gradualità della scelta e di applicazione della custodia in carcere come extrema ratio.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo è infondato.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto che le esigenze cautelari non fossero contenibili attraverso la misura originariamente applicata dal g.i.p. del divieto di dimora nella Regione Friuli Venezia Giulia ed ha argomentato l’insufficienza di tale misura anche dalla circostanza che l’aver noleggiato in Slovenia per una settimana l’autoveicolo Skoda Karog con cui l’indagato ha accompagnato i migranti fino al confine con l’Italia, e poco oltre lo stesso, induce a ritenere che egli avesse programmato altri viaggi oltre al primo, e che quindi si versasse in presenza di una situazione di professionalità e serialità del reato.
Il ricorso attacca la motivazione dell’ordinanza impugnata sostenendo che il solo elemento del noleggio dell’autoveicolo in Slovenia per una settimana non ha una tale valenza sintomatica di collaudata professionalità e serialità nel reato da desumere che l’indagato abbia rapporti con un’organizzazione stabilmente dedita al trasporto dei migranti irregolari, con cui, d’altronde, non sono emersi contatti.
L’argomento è infondato, perché si limita a richiedere una rivalutazione del peso da attribuire ad un elemento probatorio esistente, ben evidenziato dal Tribunale, e che con argomentazione strettamente logica è stato ritenuto essere nell’ordinanza impugnata un indice molto evidente del pericolo di immediata e prossima reiterazione del reato.
Il ricorso attacca la motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame sostenendo che, ai fini del pericolo di reiterazione del reato, andava considerato che l’indagato ha noleggiato il mezzo a proprio nome permettendo quindi di essere agevolmente identificato.
L’argomento è infondato, perché non vizia il percorso logico dell’ordinanza impugnata; da esso, infatti, si può desumere soltanto che il ricorrente è uno degli anelli terminali della catena di persone che lavorano per le organizzazioni criminali dedite ad agevolare l’immigrazione illegale, ma non che lo stesso non possa lavorare di nuovo per conto di tali organizzazioni anche noleggiando altri mezzi, o comunque guidando altri autoveicoli, con cui i migranti che hanno pagato il viaggio alle suddette organizzazioni criminali riescono ad attraversare la frontiera italiana.
Il ricorso attacca la motivazione dell’ordinanza impugnata anche affermando che la eventuale volontà dell’indagato di commettere nuovamente reati dello stesso tipo può aver subito un indebolimento dopo la carcerazione seguita all’arresto in flagranza, ma si tratta di argomento del tutto ipotetico o congetturale,
come tale inidoneo a determinare una manifesta illogicità della motivazione (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237).
Il motivo è, pertanto, complessivamente infondato.
E’ infondato anche il secondo motivo, che deduce la violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. che impone il criterio del minor sacrificio possibile della limitazione della libertà personale.
Nel ricorso si assume che, pur se è vero che per il reato ascritto all’indagato è prevista la presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere dell’art. 12, comma 4-bis, d. Igs. n. 286 del 1998, tale presunzione è superabile da elementi specifici, e ritiene che l’ordinanza impugnata avrebbe dovuto applicare il principio di gradualità della scelta e del carcere come extrema ratio.
L’argomento è infondato.
Il percorso logico che deve sviluppare il giudice della cautela in presenza di una presunzione relativa di adeguatezza della sola custodia in carcere posta dal legislatore è speculare ed opposto rispetto a quello ordinario, dovendo partire dal vincolo normativo dell’applicazione della misura massima, da cui il giudice si può discostare se nell’ordinanza evidenzia le ragioni, desumibili dagli elementi di cui dispone nel caso concreto, che lo inducono ad applicare una misura minore.
Il ricorso, invece, propone un percorso logico che ricalca quello ordinario dei commi 1 e 2 dell’art. 275 cod. proc. pen., e pretermette del tutto la esistenza della presunzione normativa di adeguatezza della sola custodia in carcere del comma 3 della stessa norma, che in questo modo verrebbe disapplicata.
Come già evidenziato, invece, in Sez. 1, Sentenza n. 21900 del 07/05/2021, Poggiali, Rv. 282004, “la ricorrenza di questa presunzione relativa di pericolosità sociale determina l’inversione degli ordinari poli del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che conferma la misura cautelare non ha un obbligo di dimostrazione in positivo della ricorrenza del periculum libertatis, ma soltanto di apprezzare l’eventuale esistenza di ragioni, evidenziate dalla parte o direttamente evincibili dagli atti, tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto presuntivo (Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Pianta, Rv. 274861-01; Sez. 1, n. 45657 del 06/10/2015, Varzaru, Rv. 265419-01)”.
Ne consegue che anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la decisione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 14 dicembre 2023
Il consigliere estensore
GLYPHIl presidente