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Presunzione custodia cautelare: quando non si supera

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un indagato per estorsione aggravata dal metodo mafioso. La Corte conferma la validità della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, ritenendo insufficienti l’ammissione di colpa, il risarcimento del danno e la disponibilità agli arresti domiciliari in altra regione per superarla, data la gravità dei fatti e il concreto pericolo di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Custodia Cautelare: Perché Non Basta Pentirsi

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha ribadito la rigidità dei criteri per superare la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per i reati aggravati dal metodo mafioso. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere come la legge bilancia le esigenze di sicurezza sociale con i diritti dell’indagato, specialmente in contesti di criminalità organizzata. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

Il Caso: Estorsione con Aggravante Mafiosa

La vicenda giudiziaria ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Bari che confermava la misura della custodia in carcere per un individuo indagato per un grave episodio di estorsione. Il reato era aggravato dall’utilizzo del metodo mafioso e commesso al fine di agevolare una nota associazione criminale locale. L’indagato, pur essendo incensurato, si era rivolto a esponenti di spicco della criminalità organizzata per portare a termine l’azione estorsiva, assumendo un ruolo di mandante. Dopo il rigetto della sua richiesta di sostituzione della misura da parte del GIP e del Tribunale del riesame, la difesa ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione.

Il Ricorso e la Presunzione di Adeguatezza della Custodia Cautelare

Il fulcro del ricorso si basava sulla presunta violazione dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una presunzione quasi assoluta: per alcuni reati di particolare gravità, come quelli con aggravante mafiosa, si presume che solo la custodia in carcere sia una misura adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari.

La difesa sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente ignorato una serie di elementi che, a suo avviso, erano idonei a vincere tale presunzione. Tra questi:
* Lo stato di incensuratezza dell’indagato.
* L’ammissione delle proprie responsabilità.
* L’avvenuto risarcimento del danno alla persona offesa.
* La proposta di scontare una misura meno afflittiva, come gli arresti domiciliari, in una regione diversa e lontana dal luogo dei fatti.

Secondo il ricorrente, questi fattori avrebbero dovuto dimostrare un affievolimento del pericolo di reiterazione del reato, giustificando una misura diversa dal carcere.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno innanzitutto ricordato i limiti del proprio sindacato: la Corte non può effettuare una nuova valutazione dei fatti, ma solo verificare la logicità della motivazione del provvedimento impugnato e la corretta applicazione delle norme di diritto. Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale del riesame è stata giudicata congrua, logica e priva di vizi.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato perché gli elementi addotti dalla difesa non fossero sufficienti a superare la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare.
1. L’ammissione di responsabilità: È stata considerata generica e tardiva. Soprattutto, è stata ritenuta irrilevante di fronte alla gravità delle modalità del fatto. L’essersi rivolto a noti esponenti di un clan mafioso e aver assunto un ruolo di primo piano nella vicenda estorsiva dimostra una pericolosità sociale tale che la semplice ammissione non può mitigare.
2. Il risarcimento del danno: È stato qualificato come un elemento “neutro” ai fini cautelari. Sebbene possa avere un ruolo nella futura determinazione della pena, non incide sul giudizio circa il pericolo concreto e attuale che l’indagato possa commettere altri reati (pericula libertatis).
3. Gli arresti domiciliari in altra regione: Anche questa proposta è stata respinta. I giudici hanno ritenuto che la detenzione domiciliare, anche se a grande distanza, non impedirebbe all’indagato di continuare a delinquere, ad esempio “per interposta persona”, mantenendo contatti con l’ambiente criminale di provenienza.

Le conclusioni

La sentenza conferma un principio consolidato: quando si tratta di reati legati alla criminalità organizzata, la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere è estremamente difficile da superare. Comportamenti post-reato come l’ammissione o il risarcimento, pur apprezzabili, non sono di per sé sufficienti a neutralizzare l’elevato rischio di reiterazione del reato che caratterizza tali contesti criminali. La decisione sottolinea che la valutazione del giudice deve concentrarsi sulla pericolosità concreta dell’indagato, desunta dalle modalità dell’azione e dai suoi legami con ambienti criminali, elementi che, nel caso in esame, rendevano la detenzione in carcere l’unica misura idonea a tutelare la collettività.

Cosa significa ‘presunzione di adeguatezza della custodia cautelare’ per reati di mafia?
Significa che la legge presume che per reati di particolare gravità, come quelli con aggravante mafiosa, l’unica misura idonea a prevenire il rischio di reiterazione del reato sia la detenzione in carcere. Spetta alla difesa fornire prove concrete e specifiche per vincere questa presunzione, dimostrando un’assenza di pericolosità.

L’ammissione di colpa e il risarcimento del danno sono sufficienti per ottenere una misura meno grave del carcere?
No, secondo questa sentenza non sono sufficienti. La Corte ha ritenuto l’ammissione tardiva e generica, e il risarcimento un elemento ‘neutro’ per la valutazione del pericolo di reiterazione del reato. La gravità dei fatti e i legami con la criminalità organizzata sono stati considerati prevalenti.

Perché la proposta di arresti domiciliari in un’altra regione è stata respinta?
È stata respinta perché i giudici hanno ritenuto che non eliminasse il pericolo di reiterazione del reato. Anche a distanza, l’indagato avrebbe potuto continuare a delinquere ‘per interposta persona’, mantenendo i contatti con il suo ambiente criminale di origine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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