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Presunzione custodia cautelare: quando è legittima?

Un soggetto, accusato di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La difesa sosteneva che la misura fosse eccessiva, dato il tempo trascorso dai fatti e la collaborazione dell’indagato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che la presunzione di custodia cautelare per reati così gravi non viene meno solo per il passare del tempo, specialmente se elementi come il ruolo centrale dell’indagato nell’organizzazione e la mancanza di un lavoro lecito indicano un concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Custodia Cautelare: Quando il Tempo Non Basta

La presunzione custodia cautelare è un meccanismo giuridico cruciale nel nostro ordinamento, specialmente quando si affrontano reati di grave allarme sociale come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre un’analisi dettagliata sui limiti per superare tale presunzione, chiarendo che il semplice decorso del tempo e l’ammissione degli addebiti non sono sufficienti a scalfire la necessità della misura più afflittiva, se permangono solidi indizi di pericolosità sociale. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio i criteri valutati dai giudici.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per la sua presunta partecipazione a un’associazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti. Secondo l’accusa, egli rivestiva un ruolo di fiducia per i vertici del sodalizio, occupandosi dello stoccaggio, dell’occultamento e della distribuzione della droga in diverse piazze di spaccio.

La difesa ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame, non contestando la gravità degli indizi (supportati da videoriprese, intercettazioni e arresti), ma focalizzandosi sulla presunta non adeguatezza della misura carceraria. Sono stati evidenziati diversi elementi a favore dell’indagato: la sua ammissione di responsabilità, la dichiarata volontà di dissociarsi dal contesto criminale, la sua condizione di incensurato e, soprattutto, il tempo trascorso dal periodo dei fatti contestati (novembre 2021 – giugno 2022). Secondo la tesi difensiva, questi fattori avrebbero dovuto portare a una misura meno restrittiva.

Il Tribunale del Riesame ha però rigettato l’istanza, confermando la detenzione in carcere. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la legittimità della decisione del Tribunale del Riesame. I giudici supremi hanno ribadito che, per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/1990), la legge prevede una doppia presunzione: la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della sola custodia in carcere.

Questo significa che spetta alla difesa fornire prove concrete e specifiche per dimostrare che le esigenze cautelari si sono attenuate o che una misura meno afflittiva, come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, sarebbe sufficiente a neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato.

Analisi della Presunzione Custodia Cautelare

La Corte ha chiarito che il Tribunale del Riesame non si è limitato ad applicare passivamente la presunzione di legge. Al contrario, ha condotto una valutazione approfondita e personalizzata della posizione dell’indagato, giungendo a conclusioni logiche e ben motivate. Gli elementi che hanno pesato a sfavore dell’indagato, e che hanno giustificato il mantenimento della misura carceraria, sono stati:

Il Ruolo Operativo: L’indagato non era un semplice esecutore, ma una figura pienamente inserita nell’organigramma criminale, con un ruolo intermedio di raccordo tra i vertici e gli spacciatori di strada (pusher*).
* La Dedizione alla Causa Criminale: La sua presenza assidua nelle piazze di spaccio e il suo impegno costante nel risolvere i problemi operativi dell’associazione dimostravano una totale dedizione al programma criminoso.
* La Mancanza di Alternative Lecite: È emerso che l’indagato non svolgeva alcuna attività lavorativa lecita, traendo dal crimine il proprio sostentamento. Questo è stato considerato un forte indicatore della probabilità che, una volta libero, tornasse a delinquere.

Le Motivazioni

La motivazione centrale della sentenza risiede nel concetto di attualità del pericolo. La Corte ha spiegato che il decorso del tempo, di per sé, ha una “valenza neutra”. Non è sufficiente a far scemare il pericolo di reiterazione del reato se non è accompagnato da altri elementi concreti che indichino un reale cambiamento nel profilo di pericolosità del soggetto.

Nel caso di specie, l’ammissione dei fatti e la dichiarata volontà di cambiare vita non sono state ritenute sufficienti a controbilanciare la gravità del ruolo ricoperto, la professionalità dimostrata nell’attività criminale e la sua totale dipendenza economica da essa. Il Tribunale, secondo la Cassazione, ha correttamente valutato che il contesto criminale di appartenenza e la personalità dell’indagato rendevano la sola detenzione domiciliare una misura inadeguata a salvaguardare la collettività. La pericolosità espressa era tale da richiedere la misura più restrittiva prevista dalla legge.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale in materia di misure cautelari per reati di stampo associativo: la presunzione custodia cautelare non è una formula vuota, ma un baluardo fondato sulla necessità di proteggere la società da fenomeni criminali particolarmente radicati e pericolosi. Per superarla, non bastano generiche dichiarazioni di intenti o il semplice passare dei mesi, ma occorre una prova contraria robusta, capace di dimostrare un’effettiva e verificabile attenuazione del periculum libertatis. La valutazione del giudice deve essere ancorata a fatti precisi, come l’avvio di un percorso lavorativo lecito o altri elementi concreti che dimostrino un reale distacco dal mondo del crimine. In assenza di ciò, la tutela della sicurezza pubblica prevale.

Per quali reati opera la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere?
La sentenza specifica che la presunzione opera per i reati gravi elencati nell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, tra cui figura espressamente il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti previsto dall’art. 74 del d.P.R. n. 309/1990.

Il tempo trascorso dal reato è sufficiente a superare la presunzione di custodia cautelare?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che il mero decorso del tempo possiede una valenza neutra e non è, da solo, sufficiente a determinare un’attenuazione del pericolo di reiterazione del reato. Deve essere accompagnato da altri elementi circostanziali idonei a dimostrare un effettivo calo della pericolosità del soggetto.

Quali elementi ha considerato la Corte per confermare la detenzione nonostante la collaborazione dell’indagato?
La Corte ha confermato la detenzione basandosi su una valutazione complessiva che includeva: il ruolo centrale e attivo dell’indagato all’interno del sodalizio criminale, la sua manifesta dedizione al raggiungimento degli scopi dell’associazione, l’enorme pericolosità del contesto criminale di riferimento e l’assenza di una stabile occupazione lecita, elementi che insieme indicavano un concreto e attuale rischio di reiterazione dei reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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