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Presunzione custodia cautelare: quando è legittima?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, confermando la sua permanenza in carcere. La Corte ha ribadito la forza della presunzione di custodia cautelare prevista per tali reati, specificando che il mero trascorrere del tempo o il cambio di residenza non sono elementi sufficienti a superarla, data l’elevata pericolosità sociale e il rischio di recidiva.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Custodia Cautelare: La Cassazione sul No agli Arresti Domiciliari

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha fornito importanti chiarimenti sui limiti e la forza della presunzione custodia cautelare per i reati di particolare gravità, come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Questa pronuncia sottolinea come, per determinate fattispecie criminose, la legge ponga un’asticella molto alta per la concessione di misure meno afflittive del carcere, anche a fronte di argomentazioni difensive apparentemente significative.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Sostituzione della Misura

Il caso esaminato riguarda un soggetto sottoposto a custodia cautelare in carcere per la sua presunta partecipazione, con il ruolo di pusher, a un’associazione criminale dedita al traffico di droga. La difesa aveva presentato ricorso contro la decisione del Tribunale della Libertà, che aveva negato la sostituzione della detenzione in carcere con gli arresti domiciliari, pur con l’ausilio del braccialetto elettronico.

Le argomentazioni difensive si basavano su tre punti principali:
1. La motivazione del Tribunale era stata generica e di stile.
2. Non si era tenuto conto di una circostanza sopravvenuta: la disponibilità di un’abitazione in un’altra provincia, lontana dal contesto criminale di origine, a riprova della volontà di recidere i legami con gli altri indagati.
3. L’assenza di elementi che dimostrassero l’attualità della pericolosità sociale, dato che non risultavano nuovi reati o denunce a suo carico da un periodo significativo.

L’Operatività della Presunzione di Custodia Cautelare

Il cuore della questione giuridica ruota attorno all’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce, per alcuni reati di particolare allarme sociale (tra cui l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, art. 74 d.P.R. 309/1990), una ‘doppia presunzione relativa’.

In pratica, la legge presume due cose:
1. La sussistenza delle esigenze cautelari (cioè il pericolo concreto di reiterazione del reato).
2. L’adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere come misura idonea a fronteggiare tale pericolo.

Questa presunzione non è assoluta, ma ‘relativa’, il che significa che può essere superata. Tuttavia, l’onere di fornire la prova contraria ricade interamente sulla difesa, che deve addurre elementi concreti e specifici in grado di smentire la valutazione di pericolosità fatta a priori dal legislatore.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale e la permanenza in carcere dell’indagato.

Le Motivazioni della Sentenza

I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione del Tribunale del tutto logica e coerente. La Corte ha spiegato che, di fronte alla presunzione custodia cautelare, gli argomenti della difesa non erano sufficienti a invertire il giudizio di pericolosità.

In primo luogo, il mero decorso del tempo senza la commissione di nuovi reati è stato giudicato un elemento neutro e, da solo, inidoneo a dimostrare un’attenuazione del rischio. Per questi reati, la pericolosità si considera perdurante, salvo prova contraria.

In secondo luogo, anche la disponibilità di una residenza lontana dal luogo dei fatti non è stata ritenuta decisiva. La Corte ha evidenziato il ‘ruolo dinamico’ dell’indagato e la natura organizzata e ramificata del sodalizio criminale, elementi che rendono plausibile la capacità di ‘riattivare il meccanismo criminale’ anche a distanza.

Infine, la Corte ha sottolineato il principio del ‘giudicato cautelare’, secondo cui la valutazione iniziale sulla gravità degli indizi e sulle esigenze cautelari, già confermata in sede di riesame, non poteva essere rimessa in discussione in assenza di fatti realmente nuovi e capaci di mutare il quadro complessivo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La sentenza ribadisce la severità dell’ordinamento nei confronti dei reati associativi legati al narcotraffico. Le conclusioni pratiche che se ne possono trarre sono chiare:
* Per superare la presunzione custodia cautelare non bastano argomentazioni generiche o elementi di per sé ambigui come il tempo trascorso o un cambio di domicilio.
* La difesa deve fornire prove concrete e specifiche che dimostrino un effettivo e radicale cambiamento nella condizione dell’indagato, tale da far ritenere venuto meno il rischio di recidiva.
* Il giudizio sulla pericolosità sociale, per questi reati, è particolarmente rigoroso e tiene conto non solo della condotta individuale, ma anche della stabilità e della capacità operativa del contesto criminale in cui il soggetto era inserito.

Per i reati di associazione finalizzata al traffico di droga, la custodia in carcere è sempre la misura applicata?
No, non è automatica, ma la legge (art. 275, c. 3, c.p.p.) stabilisce una ‘doppia presunzione’: si presume sia che esistano le esigenze cautelari, sia che il carcere sia l’unica misura adeguata. Tale presunzione può essere superata solo se la difesa fornisce elementi di prova specifici e concreti che dimostrino il contrario.

Il semplice trascorrere del tempo può essere sufficiente a far venir meno le esigenze cautelari?
No. La sentenza chiarisce che, per i reati coperti da presunzione, il decorso del tempo è considerato un fattore neutro. Non è sufficiente, da solo, a dimostrare che la pericolosità sociale si sia attenuata, a meno che non sia accompagnato da altri elementi fattuali che provino un reale cambiamento.

Cambiare residenza e allontanarsi dal luogo del reato è una prova sufficiente per ottenere gli arresti domiciliari?
Non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il cambio di residenza non fosse un elemento decisivo. A causa del ruolo ‘dinamico’ dell’indagato e della struttura organizzata del gruppo criminale, è stato considerato ancora possibile per lui riattivare i contatti e le attività illecite anche a distanza. Pertanto, non è stata ritenuta una prova sufficiente a superare la presunzione di pericolosità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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