Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34994 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34994 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: SCORDAMAGLIA IRENE
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME NOME a Salerno il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/04/2025 del TRIBUNALE di NAPOLI
Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, che si è riportata alla requisitoria in atti e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata e che sia sollevata eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., con sospensione del giudizio e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, quale giudice delle impugnazioni dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali, accogliendo l’appello presentato dal Procuratore della Repubblica presso quel Tribunale avverso l’ordinanza della Corte di assise di Napoli che aveva sostituito nei confronti di NOME COGNOME, condanNOME
per i delitti di cui agli artt. 270 e 604bis cod. pen., la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, ha ripristiNOME la misura di massimo rigore originariamente applicatagli.
1.1. Con la sentenza del 4 dicembre 2025, in effetti, la Corte di assise di Napoli aveva condanNOME NOME COGNOME alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, avendolo riconosciuto responsabile del delitto di promozione e di organizzazione dell”RAGIONE_SOCIALE‘, RAGIONE_SOCIALE dietro il cui schermo formale operava un gruppo sovversivo di matrice neonazista, suprematista e antisionista, attivo dal 2016 al 2022, che contemplava tra i suoi scopi la distruzione delle istituzioni costituite anche mediante l’uso della violenza e che diffondeva i propri contenuti ideologici e programmatici, onde acquisire adepti, tramite canali web (‘ Telegram ‘, ‘ YouTube ‘ ed altre piattaforme), nonché del delitto di propaganda e di istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa. In particolare, la Corte aveva ritenuto che l’imputato, che aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente dell”RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE‘ e ne era stato cofondatore assieme a NOME COGNOME: avesse gestito il canale ‘ Telegram ‘ denomiNOME ‘Protocollo 4’, principale strumento di diffusione di contenuti neonazisti, suprematisti e negazionisti; curato la pubblicazione di testi e video sui temi suddetti; partecipato a riunioni operative; contribuito alla strutturazione gerarchica dell”RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE‘ e alla selezione degli adepti tramite la predisposizione di questionari di carattere ideologico.
1.2. Con l’ordinanza in data 17 dicembre 2024 la stessa Corte di assise, in parziale accoglimento dell’istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere presentata nell’interesse di NOME COGNOME, riconosciuto il ridimensionamento delle esigenze cautelari ravvisate a suo carico e tenuto conto della necessità di ricalibrare la misura cautelare a quelle residue in ossequio al principio del minor sacrificio possibile della libertà personale e del principio di proporzionalità come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 191 del 2020, aveva disposto la sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, valorizzando il tempo trascorso dall’applicazione della misura cautelare carceraria (due anni e due mesi), il comportamento rispettoso e collaborativo tenuto dall’imputato durante il processo, il suo allontanamento dai coimputati, lo scioglimento dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE e la disattivazione dei canali telematici.
1.3. Con l’ordinanza in data 15 aprile 2025 il Tribunale di Napoli ha ripristiNOME a carico di NOME COGNOME la custodia cautelare in carcere sulla base di un duplice ordine di ragioni.
Ha, in primo luogo, affermato che per il delitto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 270 cod. pen. vale la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia
cautelare in carcere prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., operante tanto nella fase applicativa che nella fase esecutiva della misura cautelare, in tal senso deponendo il contenuto della sentenza n. 191 del 2020, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. con riguardo al delitto di RAGIONE_SOCIALE con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico di cui all’art. 270bis cod. pen. Pertanto, una volta ritenuta la persistenza a carico di NOME COGNOME di esigenze cautelari, la Corte di assise non avrebbe giammai potuto sostituire la custodia cautelare in carcere con la custodia cautelare domestica.
Ha, comunque, evidenziato che, pur a volere ritenere relativa e non assoluta la suddetta presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, la stessa, nel caso di specie, non poteva dirsi superata. Infatti, NOME COGNOME, proclamando nel corso del processo il suo rifiuto delle posizioni estreme e dei comportamenti violenti propugnati da NOME COGNOME, aveva inteso soltanto rescindere i suoi rapporti con costui, non certo esprimere una sua chiara ed effettiva presa di distanza dall’ideologia sottesa al programma dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del quale era stato promotore e dalle modalità di realizzazione di tale programma, come dimostrato, del resto, dal trattamento sanzioNOMErio irrogatogli con la sentenza di condanna, identico a quello inflitto ad COGNOME; inoltre, egli aveva dimostrato di possedere capacità organizzativa, riuscendo ad intessere, tramite i mezzi di comunicazione telematici, una rete di contatti estesa, suscettibile di essere riattivata, senza alcuna possibilità di effettivo controllo, ove fosse rimasto sottoposto agli arresti domiciliari.
2. Il ricorso per cassazione presentato nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 15 aprile 2025 consta di un solo motivo enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione secondo quanto stabilito dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. – ed eccepisce la violazione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sotto il profilo dell’inosservanza del principio di proporzionalità e del principio del minor sacrificio possibile della libertà personale, e il vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione.
E’ dedotto, a sostegno, che la decisione impugnata, per un verso, si fonderebbe su atti delle indagini preliminari (informative della ‘Digos’) non entrati a far parte del processo celebrato a carico di NOME COGNOME, per altro verso, sarebbe il frutto del travisamento delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, essendogli stati attribuiti fatti riferibili ad altri imputati – ad esempio, frasi antisemite e suprematiste pronunciate da COGNOME; progetti di addestramento militare concepiti da COGNOME, e materiali ideologici collazionati da altri imputati nonché condotte rimaste non provate, come ad esempio quelle di indottrinamento,
di reclutamento e di propaganda eversiva che egli avrebbe realizzato tramite il canale ‘ Telegram ‘ ‘Protocollo 4’, creato nel 2018 come canale pubblico di controinformazione, tanto vero che, dei post ivi pubblicati, meno del 10% erano stati ritenuti illeciti. Di modo che, erroneamente le sue dichiarazioni di rifiuto delle posizioni di NOME COGNOME e dei comportamenti di contrasto alle istituzioni democratiche da questi propugnati erano state interpretate come espressione di una sua mera presa di distanza dalla persona di COGNOME piuttosto che come espressione di rescissione di ogni tipo di contatto con l”RAGIONE_SOCIALE‘, di cui, in ogni caso, non aveva fatto parte. Egli, infatti, si era limitato a esternare una forte critica sociale o, al più, un’avversione al sionismo, riconducibile, a tutto voler concedere, alla fattispecie di cui all’art. 604bis cod. pen., non certo a farsi fautore di iniziative, ispirate alle ideologie neonaziste o suprematiste, protese a sovvertire le istituzioni costituite.
Comunque, il comportamento collaborativo, rispettoso e non ostruzionistico tenuto nel corso del processo non era stato determiNOME da ragioni strumentali o utilitaristiche. Pertanto, il Tribunale, nel considerarlo come tale, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di assise, che era stato il giudice delle prove, avrebbe debordato dall’ambito delle valutazioni consentitegli e avrebbe applicato automaticamente la presunzione di pericolosità ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. senza valutare il caso concreto, così violando le direttive interpretative impartite dalla giurisprudenza costituzionale (con la sentenza n. 191 del 2020) e dal diritto vivente (S.U. n. 16085/2011), che impongono una valutazione individualizzata e non astratta delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza della misura cautelare applicata.
Con memoria in data 18 agosto 2025 il Procuratore Generale, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha anticipato le proprie conclusioni chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
In data 2 settembre 2025 i difensori del ricorrente hanno depositato memoria contenente motivi nuovi, con i quali hanno chiesto a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 13 e 27 della Costituzione, nella parte in cui prevede l’esclusiva adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere, senza possibilità di valutazione dell’affievolimento delle esigenze cautelari, anche per il delitto di cui all’art. 270 cod. pen. A suffragio, hanno dedotto che, in riferimento all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 270 cod. pen., mancherebbe una regola di esperienza univoca atta a dar conto della pericolosità immanente del sodalizio, in ragione dell’indissolubilità del vincolo esistente tra i consociati.
Le associazioni sovversive ex art. 270 cod. pen. sono, invero, fattispecie aperte, caratterizzate solo dallo scopo sovversivo e dall’uso della violenza comune, non terroristica e, a differenza delle associazioni mafiose ( ex art. 416bis cod. pen.) o terroristiche transnazionali ( ex art. 270bis cod. pen.), non presentano strutture necessariamente complesse o permanenti; donde, proprio in ragione della diversità della forma associativa, sarebbe irragionevole applicare a coloro che sono ritenuti membri di un gruppo sovversivo la stessa presunzione assoluta di pericolosità e di adeguatezza esclusiva della custodia cautelare in carcere che vale per le associazioni mafiose e terroristiche. Proprio sulla base di questa argomentazione, del resto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 231 del 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui era prevista la presunzione assoluta di pericolosità sociale e di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere per gli indiziati del delitto di RAGIONE_SOCIALE finalizzata al narcotraffico di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990.
La trattazione del ricorso ha avuto luogo in camera di consiglio partecipata, avendone avanzato, i difensori del ricorrente, tempestiva richiesta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il tema della decisione attiene alla natura della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., rispetto alle persistenti esigenze cautelari ravvisate a carico di NOME COGNOME, soggetto riconosciuto responsabile del delitto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 270 cod. pen.: ossia, se tale presunzione sia assoluta, come ritenuto dal Tribunale di Napoli nell’ordinanza impugnata, oppure relativa, come ritenuto dalla Corte di assise di Napoli nell’ordinanza del 17 dicembre 2024.
Sono, pertanto, inammissibili tutte le deduzioni articolate nel motivo di ricorso protese a rimettere in discussione il ruolo del ricorrente di promotore e organizzatore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE denominata ‘RAGIONE_SOCIALE, come accertato nella sentenza di condanna emessa a suo carico dalla Corte di assise di Napoli del 4 dicembre 2024. Ciò, per una duplice ragione: perché avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 2 dicembre 2022, di rigetto del riesame proposto contro l’ordinanza di applicazione nei confronti di NOME COGNOME della misura cautelare carceraria, non era stato proposto ricorso per cassazione,
essendosi così formato il ‘giudicato cautelare’ in punto di gravità indiziaria; perché è pacifico principio di diritto quello secondo il quale questioni relative alla persistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari al mantenimento della misura di cautela personale non sono più proponibili dopo la sentenza di condanna, anche non irrevocabile (Sez. 1, n. 44081 del 11/11/2008, Rv. 241851 – 01; conf. Sez. 2, n. 5988 del 23/01/2014, Rv. 258209).
Al giudice dell’appello cautelare, chiamato a decidere dopo una sentenza di condanna appellabile relativa ai fatti per i quali sia stata emessa la misura coercitiva, non possono essere, infatti, sottoposti, in funzione della verifica della permanenza dei gravi indizi di colpevolezza, elementi prospettati come tali da inficiare la valutazione delle prove su cui la condanna si fonda, questi ultimi dovendosi proporre al giudice di appello nel giudizio di merito. Nel caso di specie, peraltro, l’elemento sopravvenuto della riqualificazione, con la sentenza di condanna, dei fatti contestati al ricorrente al capo a) dell’imputazione ai sensi dell’art. 270 cod. pen. non è stato fatto valere come circostanza idonea a sovvertire il giudizio di gravità indiziaria a suo tempo formulato a carico di NOME COGNOME, ma soltanto come circostanza deponente per un’attenuazione delle esigenze cautelari.
Tanto premesso, deve convenirsi con l’ordinanza impugnata che la presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. in relazione al contenimento delle esigenze cautelari connesse alla ravvisata esistenza della gravità indiziaria per uno dei delitti di cui agli artt. 270, 270bis e 416bis cod. pen. è assoluta e non relativa.
3.1. L’art. 275, comma 3, prima parte, cod. proc. pen., nella formulazione vigente, come risultante per effetto delle modifiche apportatevi dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, stabilisce che «La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270bis e 416bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari». Dunque, alla stregua del tenore letterale della disposizione, nei procedimenti per i reati di cui agli artt. 270, 270bis e 416bis cod. pen., il giudice, ove ne ravvisi la gravità indiziaria, è tenuto a disporre nei confronti del soggetto che ne sia gravato la misura cautelare della custodia carceraria, «salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari».
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, essa continua a sancire una doppia presunzione, di natura relativa per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze
cautelari e di natura assoluta con riguardo all’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria (Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, Rv. 284857 – 01; Sez. 5, n. 51742 del 13/06/2018, Rv. 275255 – 01). Pertanto, come pure sottolineato dal giudice delle leggi, «ove la presunzione relativa non risulti vinta, subentra un apprezzamento legale, vincolante e incontrovertibile, di adeguatezza della sola custodia carceraria a fronteggiare le esigenze presupposte, con conseguente esclusione di ogni soluzione ‘intermedia’ tra questa e lo stato di piena libertà dell’imputato» (Corte cost., sent. n. 265 del 2010).
E si tratta di presunzione assoluta che opera non solo nel momento di adozione del provvedimento di applicazione della misura coercitiva, sollevando il giudice dall’onere motivazionale impostogli dall’art. 292, comma 2, lett. c-bis ) , cod. proc. pen., ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari (Sez. U, n. 34473 del 19/07/2012, COGNOME, Rv. 253186; Sez. U, n. 27919 del 31/03/2011, NOME, Rv. 250195, in motivazione), come desumibile dal tenore della disposizione di cui all’art. 299, comma 2, cod. proc. pen., che stabilisce che il giudice sostituisce la misura cautelare imposta con un’altra meno grave ovvero ne dispone l’applicazione con modalità meno gravose quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, «salvo quanto previsto dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.».
3.2. Il descritto scostamento dal regime ordinario di verifica della sussistenza delle esigenze cautelari e di scelta della misura cautelare, attualmente circoscritto ai reati di cui agli artt. 270, 270bis e 416bis cod. pen., ha, del resto, già superato il vaglio del giudice delle leggi con riguardo ai delitti di cui RAGIONE_SOCIALE di tipo mafioso e di RAGIONE_SOCIALE con finalità di terrorismo.
Con l’ordinanza n. 450 del 1995 la Corte costituzionale ha escluso che la presunzione in parola violi gli artt. 3, 13, comma 1, e 27, comma 2, Cost., rilevando che, se la verifica della sussistenza delle esigenze cautelari («l’ an della cautela») non può prescindere da un accertamento in concreto, l’individuazione della misura da applicare («il quomodo ») non comporta indefettibilmente l’affidamento al giudice di analogo potere di apprezzamento, potendo la scelta essere effettuata anche in termini generali dal legislatore, purché «nel rispetto del limite della ragionevolezza e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti» (in senso analogo, sul punto, le ordinanze n. 130 del 2003 e n. 40 del 2002).
Ragionevolezza della scelta generalizzante cristallizzata nell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. che la Corte ha ravvisato, come anticipato, in riferimento al delitto di RAGIONE_SOCIALE per delinquere di tipo mafioso, in relazione al quale, nella sentenza n. 136 del 2017, ha osservato che la specificità del vincolo associativo
che lo connota si esprime in uno stabile inserimento del singolo nell’RAGIONE_SOCIALE, che permane inalterato nonostante le vicende personali dell’associato e che mantiene viva la pericolosità del sodalizio, così da far ritenere che, nella generalità dei casi, le esigenze cautelari da esso derivanti «non possano venire adeguatamente fronteggiate se non con la misura carceraria, in quanto idonea a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine, minimizzando il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti».
La stessa ragionevolezza della soluzione adottata nella disposizione citata è stata riconosciuta in riferimento al delitto di cui all’art. 270bis cod. pen. Con la sentenza n. 191 del 2020 la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, comma 1, e 27, comma 2, Cost., osservando che «la ‘partecipazione’ a un’RAGIONE_SOCIALE terroristica …. presuppone …. l’adesione a un’ideologia che, qualunque sia la visione del mondo ad essa sottesa e l’obiettivo ultimo perseguito, teorizza l’uso della violenza in una scala dimensionale tale da poter cagionare un ‘grave danno’ a intere collettività», evidenziando che «questa ‘appartenenza’ a una comunità unita da un preciso collante ideologico -appartenenza che, proprio come quella che lega, pur con modalità diverse, il partecipe all’RAGIONE_SOCIALE mafiosa, normalmente perdura anche durante le indagini e il processo, e comunque non viene meno per il solo fatto dell’ingresso in carcere del soggetto, continuando così a essere indicativa di una sua pericolosità particolarmente accentuata -… appare alla base della valutazione legislativa che considera le misure cautelari non custodiali, in primis gli arresti domiciliari, inidonee a controllare la del tutto peculiare pericolosità» dell’associato e concludendo nel senso che «la compressione, peraltro solo parziale, dei poteri discrezionali del giudice trova qui giustificazione … in relazione alla finalità di tutelare la collettività contro i gravissimi rischi che potrebbero derivare dall’eventuale sopravvalutazione, da parte del giudice, dell’adeguatezza di una misura non carceraria a contenere il pericolo di commissione di reati, pur ritenuto sussistente nel caso di specie… fermo, naturalmente, il dovere del giudice di valutare, nella fase genetica e poi nell’intero arco della vicenda cautelare, ‘l’effettiva sussistenza e permanenza delle esigenze cautelari’, e di disporre la revoca della misura in essere ogniqualvolta risulti che nel caso concreto ‘tali esigenze non sussistano o siano cessate’, anche alla luce dell’eventuale percorso di distacco dall’RAGIONE_SOCIALE e dai suoi programmi criminosi che l’imputato abbia nel frattempo compiuto».
2.3. Stando al tenore letterale della disposizione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e al relativo fondamento giustificativo, che, nei termini illustrati per le associazioni di tipo mafioso e con finalità di terrorismo, vale anche per l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, risulta, pertanto, ineccepibile la conclusione cui è pervenuto il Tribunale di Napoli nella fattispecie all’esame: ossia, che la Corte di assise, una volta riconosciuta la persistenza delle esigenze cautelari a carico di NOME COGNOME, in forza della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non avrebbe potuto sostituire la misura di massimo rigore applicatagli con quella degli arresti domiciliari.
Il provvedimento impugNOME è sorretto, però, da un’ulteriore ratio decidendi : ossia, che dalla sentenza di condanna pronunciata nei confronti di NOME COGNOME, in relazione alla sua partecipazione qualificata all’RAGIONE_SOCIALE, non emergevano elementi concreti atti a denotare una sua effettiva presa di distanza dai contenuti ideologici informanti il programma dell’RAGIONE_SOCIALE, come dimostrato, del resto, dal fatto che gli fosse stata applicata la stessa pena inflitta a NOME COGNOME, senza concessione di alcun beneficio (attenuanti generiche), proprio in assenza di una sua tangibile collaborazione processuale e di un’autentica sua resipiscenza (pagg. 228, paragrafo 25, della sentenza della Corte di assise di Napoli del 4 dicembre 2024, depositata il 26 febbraio 2025), di modo che, considerata l’abilità dimostrata nella gestione di canali web e piattaforme social, quali strumenti utilizzati per mantenere la vasta rete di contatti dell’RAGIONE_SOCIALE, gli arresti domiciliari non erano tali da offrire alcuna garanzia in ordine alla riattivazione di tali contatti e alla ripresa, tramite questi, delle attività criminali dell’RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE. Motivazione, questa, che dà conto, in maniera non manifestamente illogica, delle ragioni per le quali il Tribunale di Napoli ha, comunque, ritenuto perduranti le esigenze cautelari a carico di NOME COGNOME e, in concreto, fronteggiabili solo attraverso la misura della custodia cautelare in carcere.
Il concreto riscontro degli elementi fattuali deponenti per la persistente adeguatezza della misura cautelare carceraria applicata al ricorrente è tale rendere non rilevante nel caso di specie l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 13 e 27 della Costituzione, nella parte in cui prevede l’esclusiva adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere, senza possibilità di valutazione dell’affievolimento delle esigenze cautelari, anche per il delitto di cui all’art. 270 cod. pen., che si è chiesto a questa Corte di sollevare.
Alla stregua di tutte le argomentazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod.
proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così è deciso, 18/09/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME