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Presunzione custodia cautelare per art. 270 c.p.

La Corte di Cassazione ha confermato l’ordinanza che ripristinava la detenzione in carcere per un individuo condannato per associazione sovversiva. La sentenza chiarisce che la presunzione di custodia cautelare in carcere per questo reato è assoluta una volta accertata la sussistenza delle esigenze cautelari. Il ricorso è stato respinto poiché il tribunale di merito aveva non solo applicato correttamente tale principio, ma aveva anche motivato in concreto sulla persistente pericolosità del soggetto, rendendo inadeguata ogni misura meno afflittiva.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Custodia Cautelare per Associazione Sovversiva: La Cassazione Fa Chiarezza

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: la presunzione custodia cautelare prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Il caso specifico riguardava un soggetto condannato per il reato di associazione sovversiva (art. 270 c.p.), per il quale la legge prevede un regime cautelare particolarmente rigoroso. La pronuncia chiarisce la natura, assoluta o relativa, di tale presunzione e le condizioni per l’applicazione di misure diverse dal carcere.

I Fatti del Caso: Dagli Arresti Domiciliari al Ritorno in Carcere

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo, ritenuto promotore e organizzatore di un’associazione sovversiva di matrice neonazista. Inizialmente, dopo la condanna di primo grado, la Corte d’Assise aveva sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. Questa decisione era basata sulla valutazione di un’attenuazione delle esigenze cautelari, in considerazione del tempo già trascorso in detenzione, del comportamento collaborativo dell’imputato e dello scioglimento dell’associazione.

Tuttavia, il Pubblico Ministero impugnava tale provvedimento. Il Tribunale, in accoglimento dell’appello, ripristinava la misura più grave della custodia in carcere. Secondo il Tribunale, per il reato di associazione sovversiva opera una presunzione assoluta di adeguatezza della sola detenzione in carcere. In subordine, il Tribunale riteneva che, anche a voler considerare la presunzione come relativa, non vi fossero elementi per ritenerla superata, data la capacità organizzativa del soggetto e l’assenza di una reale presa di distanza dall’ideologia sovversiva. L’imputato ricorreva quindi in Cassazione contro questa decisione.

La Questione Giuridica sulla Presunzione Custodia Cautelare

Il nucleo del ricorso verteva sull’interpretazione dell’art. 275, comma 3, c.p.p. La difesa sosteneva l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui equipara l’associazione sovversiva a quelle di tipo mafioso o terroristico, applicando una presunzione assoluta che impedisce al giudice una valutazione concreta del caso. L’argomento era che tale automatismo violasse i principi di proporzionalità e del minor sacrificio della libertà personale.

La questione centrale era, dunque, stabilire se la presunzione custodia cautelare per il delitto di cui all’art. 270 c.p. fosse ‘assoluta’, non ammettendo prova contraria sull’adeguatezza del carcere, oppure ‘relativa’, consentendo al giudice di optare per misure meno gravose qualora le ritenesse idonee a fronteggiare il rischio residuo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo una chiara interpretazione della norma e della sua applicazione.

La Doppia Natura della Presunzione ex Art. 275 c.p.p.

La Cassazione ha chiarito che la presunzione in esame ha una duplice natura. È una presunzione relativa per quanto riguarda l’esistenza delle esigenze cautelari: la difesa può sempre provare che tali esigenze (pericolo di fuga, di inquinamento probatorio o di reiterazione del reato) siano del tutto assenti.

Tuttavia, una volta che la persistenza di tali esigenze, seppur attenuate, viene accertata, la presunzione diventa assoluta riguardo all’adeguatezza della misura. In altre parole, se le esigenze cautelari esistono, la legge stabilisce che solo la custodia in carcere è la misura idonea a fronteggiarle, escludendo la discrezionalità del giudice nella scelta di misure alternative come gli arresti domiciliari. Pertanto, la Corte d’Assise aveva errato nel sostituire la misura carceraria in presenza di esigenze cautelari ancora esistenti.

La Ratio Decidendi e l’Irrilevanza della Questione di Costituzionalità

Un punto fondamentale della sentenza è l’aver evidenziato la doppia ratio decidendi della decisione del Tribunale. Quest’ultimo, infatti, non si era limitato ad applicare in modo automatico la presunzione legale, ma aveva anche condotto una valutazione nel merito, basata sugli atti processuali. Aveva concluso che, nel caso specifico, l’imputato non aveva mostrato un’autentica resipiscenza e che la sua abilità nella gestione di canali di comunicazione online rappresentava un pericolo concreto di riattivazione dei contatti e delle attività criminali. Questa seconda motivazione, basata su un’analisi concreta della pericolosità, era di per sé sufficiente a giustificare la custodia in carcere.

Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa ‘non rilevante’, poiché anche se la presunzione fosse stata annullata, la decisione sarebbe rimasta in piedi sulla base della seconda, autonoma, motivazione.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio rigoroso per i reati di particolare allarme sociale come l’associazione sovversiva. La via per ottenere una misura diversa dal carcere non risiede nel contestare l’adeguatezza della detenzione carceraria, ma nel dimostrare in modo inequivocabile la totale cessazione di ogni esigenza cautelare. Un percorso di reale e tangibile dissociazione dal contesto criminale e ideologico di riferimento diventa, quindi, l’unico elemento che può portare a una riconsiderazione della misura restrittiva. In assenza di tale prova, la presunzione di adeguatezza del carcere rimane un baluardo difficilmente superabile.

Per il reato di associazione sovversiva, la presunzione che la custodia in carcere sia l’unica misura adeguata è assoluta o relativa?
Secondo la Corte, la presunzione è assoluta riguardo all’adeguatezza della misura. Una volta accertata la persistenza delle esigenze cautelari, l’unica misura applicabile è la custodia in carcere, salvo che si dimostri che tali esigenze non esistono affatto.

È possibile ottenere una misura meno afflittiva del carcere, come gli arresti domiciliari, per chi è accusato di associazione sovversiva?
È possibile solo se si riesce a dimostrare che le esigenze cautelari (pericolo di fuga, inquinamento probatorio, reiterazione del reato) sono completamente cessate. Se le esigenze, anche se attenuate, persistono, la legge impone la custodia in carcere.

Perché la Corte di Cassazione non ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale come richiesto dalla difesa?
Perché ha ritenuto la questione non rilevante ai fini della decisione. La decisione del Tribunale si basava su una doppia motivazione: l’applicazione della presunzione legale e una valutazione concreta e autonoma della pericolosità del soggetto. Anche se la presunzione fosse stata dichiarata incostituzionale, la decisione sarebbe rimasta valida sulla base della seconda motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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