Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21538 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21538 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN CESARIO DI LECCE il 09/12/1988
avverso l’ordinanza del 25/11/2023 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di LECCE in difesa di:
NOME COGNOME che conclude per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Lecce, quale giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza emessa il 16/10/2023 dal GIP presso lo stesso Tribunale nei confronti di NOME COGNOME in quanto gravemente indiziato in ordine al reato previsto dall’art.74, commi 2-5 e 80, comma 2 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, contestato al capo 1) dell’imputazione provvisoria nonché a quello previsto dall’art.73, comma 1, dello stesso d.P.R., contestato al capo 10).
Il Tribunale ha preliminarmente rigettato l’eccezione difensiva relativa alla violazione del divieto di bis in idem e dedotta in riferimento al procedimento penale n.898/2019 RGNR, pendente di fronte al Tribunale di Lecce per la medesima fattispecie associativa, contestata in arco temporale sovrapponibile a quella del presente procedimento e nel quale era stato addebitato al ricorrente il ruolo di partecipe in un sodalizio capeggiato da NOME COGNOME; sul punto, ha rilevato che nel suddetto procedimento la contestazione era da ritenersi delimitata al periodo compreso tra gennaio 2019 e marzo 2021 mentre – in quello presente – la contestazione era stata formulata in modo “aperto” sino al dicembre del 2020 e il reato fine era stato contestato alla data del 03/04/2021, collocandosi quindi in un periodo successivo, sottolineando come non vi fosse neanche identità soggettiva tra le due associazioni e argomentando come il COGNOME fosse stato arrestato in flagranza per fatto commesso il 07/05/2021, delitto fine dell’associazione contestata in questa sede anche se per lo stesso si era proceduto separatamente.
In ordine ai gravi indizi di colpevolezza, il Tribunale ha premesso che non sussistendo motivi di riesame inerenti alla sussistenza oggettiva dell’associazione contestata ai sensi dell’art.74, T.U. stup. – poteva farsi integrale rinvio a quanto argomentato in sede di ordinanza applicativa, a propria volta fondata su un’estesa attività di intercettazione telefonica e ambientale nonché su servizi di osservazione, pedinamento e controllo oltre che sui numerosi sequestri di sostanza stupefacente e comunque desunta sulla scorta: della suddivisione dei compiti tra gli associati; del numero di episodi di acquisto e cessione accertati; della disponibilità di ingenti somme di denaro; della disponibilità di apparecchi cellulari di ultima generazione non intercettabili; della ricorrenza del modus operandi.
In relazione alla specifica posizione del ricorrente, il Collegio ha rilevato come la difesa non avesse contestato il ruolo di corriere allo stesso ascritto, pur sostenendo che lo stesso avesse avuto rapporti con il solo COGNOME;
rilevando invece come il rapporto tra il COGNOME e il COGNOME, identificato come il capo dell’odierna associazione, emergesse dal compendio indiziario e, in particolare, da alcune conversazioni intercettate.
In punto di esigenze cautelari, il Tribunale – alla luce del pericolo di reiterazione desumibile dalla gravità dei fatti contestati nonché della presenza di una precedente condanna per il reato previsto dall’art.74, T.U. stup. – ha ritenuto non superabile la doppia presunzione prevista dall’art.275, comma 3, cod.proc.pen., anche alla luce del coinvolgimento dell’indagato in un successivo fatto della stessa oggettività rispetto a quello contestato nella presente sede, confermando il giudizio del GIP in ordine all’adeguatezza della sola misura maggiormente afflittiva e ritenendo comunque non adeguata la misura degli arresti domiciliari, anche se accompagnati da modalità elettroniche di controllo.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – in relazione al mancato rilievo di una violazione del principio del divieto di bis in idem, in pendenza di due procedimenti per il reato previsto dall’art.74, T.U. stup., trattandosi del medesimo fatto.
Ha dedotto che nel parallelo procedimento incardinato al n.898/2019 RGNR (denominato “filo di Arianna”) il ricorrente era stato accusato di far parte di un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti diretta da NOME COGNOME in un arco di tempo quasi del tutto sovrapponibile a quello del presente procedimento, esponendosi come – in entrambi i procedimenti – era emerso un collegamento solo con il medesimo COGNOME e non con il COGNOME, indicato come capo del sodalizio contestato in questa sede; ha quindi dedotto che il Tribunale avrebbe ricavato la sussistenza di un rapporto tra il COGNOME e il COGNOME sulla base di conversazioni intercettate che non vedevano mai quest’ultimo come interlocutore, dovendosi invece ritenere dimostrata (sulla base della stessa informativa di p.g.) una relazione esclusiva con il COGNOME.
Con il secondo motivo ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – in ordine alla presunzione di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere alla luce dei rilievi difensivi esposti in sede di motivi di ríesame.
Ha dedotto che, in sede di riesame, la difesa aveva evidenziato il percorso rieducativo tenuto dall’indagato dopo l’arresto in flagranza del 07/05/2021, avendo lo stesso intrapreso un programma di recupero espresso con l’esercizio di attività lavorativa; come attestato dal provvedimento del magistrato di sorveglianza di Lecce che, con provvedimento del 24/05/2023, aveva concesso al ricorrente 135 giorni di liberazione anticipata alla luce del giudizio positivo sul programma medesimo; deducendo, quindi, come la difesa avesse apportato elementi positivi idonei a superare la c.d. doppia presunzione prevista dall’art.275, comma 3, cod.proc.pen.; deducendo altresì l’irragionevolezza del ragionamento seguito dal Tribunale in base al quale l’autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa sarebbe stato concesso solo per effetto della mancata conoscenza della pendenza di un’ulteriore indagine per reato associativo, in quanto i giudici avrebbero dovuto valutare il solo percorso di recupero seguito dopo l’arresto del 07/05/2021, periodo cui si riferiva la motivazione del provvedimento del giudice di sorveglianza.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente ha fatto successivamente pervenire memoria, nella quale ha insistito per l’accoglimento dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato quanto al secondo motivo.
Con il primo motivo di impugnazione, la difesa del ricorrente ha dedotto una situazione di bis in idem cautelare, rispetto al parallelo procedimento avente n.898/2019, avente pure a oggetto la contestazione prevista dall’art.74, T.U. stup. e in relazione al quale la contestazione medesima era stata operata “fino al marzo 2021”, mentre – nell’ambito del presente procedimento – la stessa era stata operata con menzione temporale dell’epoca “anteriore e prossima a dicembre 2020, con condotta permanente”.
A tale proposito, va quindi premesso che – in ordine al principio del divieto di bis in idem, applicabile anche alla materia cautelare – l’identità del fatto è configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicché costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli
estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell’attività delittuosa, distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa; con la conseguenze che, specificamente in tema di reato associativo, non sussiste la violazione del relativo divieto quanto la contestazione afferisca a un periodo temporale successivo rispetto a quello oggetto del precedente procedimento già definito con sentenza irrevocabile e si fondi su fatti nuovi, indicativi della persistente intraneità del ricorrente; ciò in quanto il potere del pubblico ministero di richiedere l’applicazione di una misura per gli stessi fatti deve ritenersi esaurito con la prima richiesta, sicché esso non può essere esercitato nuovamente, in pendenza del relativo procedimento cautelare, salvo che si fondi su elementi nuovi, riguardanti i gravi indizi di colpevolezza o le esigenze cautelari (Sez. 5, n. 18020 del 10/02/2022, COGNOME, Rv. 283371; Sez. 6, n. 6555 del 18/01/2023, COGNOME, Rv. 284267); conseguendone altresì che – quando si verta in tema di contestazione in forma cosiddetta “aperta” – la “identità del fatto”, che rileva ai fini dell’operatività del principio del ne bis in idem, non sussiste qualora, in relazione a periodi diversi, siano contestati all’imputato due diversi reati permanenti nell’ambito della stessa associazione (Sez. 6, n. 49921 del 25/01/2018, Costantino, Rv. 274287; fattispecie in cui la Corte ha escluso la violazione di tale principio nel caso in cui, a fronte dell’accertamento di colpevolezza dell’imputato relativo alla partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti fino a una certa data, gli si era contestato, in relazione a un periodo successivo, lo svolgimento della diversa condotta di organizzatore nell’ambito della medesima consorteria, che, pur se in continuità successoria con quella oggetto del precedente accertamento, aveva mutato, almeno in parte, compagine e luoghi di commissione dell’attività illecita). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Deve quindi ritenersi che – in applicazione dei predetti principi e con motivazione non palesemente illogica – il Tribunale distrettuale sia giunto a escludere la sovrapponibilità dei due fatti contestati nelle distinte ordinanze cautelati e la conseguente violazione del divieto di bis in idem.
Specificamente, il Tribunale – traendo spunto dalla contestazione “aperta” della fattispecie associativa ascritta nel presente procedimento ha evidenziato che i fatti si riferiscono a condotta permanente decorrente dal dicembre del 2020 e con contestazione di un reato fine ascritto al 07/03/2021(capo 10) ma con individuazione di un reato fine commesso il 07/05/2021, anche se per lo stesso – a seguito dell’arresto in flagranza del ricorrente – si è proceduto separatamente.; mentre, in relazione al distinto
procedimento, la contestazione è stata operata sino al marzo del 2021 con individuazione dell’ultimo reato fine alla data del 02/03/2021.
Deve quindi ritenersi non tangibile nella presente sede la valutazione del giudice del riesame in base alla quale non sussiste piena sovrapponibilità tra le fattispecie associative contestate nei distinti procedimenti, attesa la sussistenza di un frammento temporale ulteriore rientrante in quella ascritta nel presente procedimento.
Con il secondo motivo, la difesa del ricorrente ha censurato la motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di attualità e concretezza delle esigenze cautelari e, comunque, di ritenuta inadeguatezza della più gradata misura degli arresti domiciliari.
Il motivo è fondato.
Va quindi premesso che si applica nella fattispecie in esame la c.d. doppia presunzione prevista dall’art.275, comma 3, cod.proc.pen., il quale prevede che – quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati elencati nell’art.51, comma 3bis, cod.proc.pen. (tra cui rientra quello contestato nella presente sede) – «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
Altresì, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo; dovendosi rilevare che, nella materia cautelare, il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagnato da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità (Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004; Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME Rv. 282766 – 02).
Sul punto, deve peraltro prendersi atto che la giurisprudenza di i/ , legittimità ha comunque rilevato che, pur in presenza della suddetta presunzione, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o
d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (Sez. 6, n. 19863 del 4/5/2022, COGNOME, Rv. 281273 – 02); ciò in quanto il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272).
Nel caso di specie, il Tribunale distrettuale ha quindi ritenuto insussistenti elementi idonei a smentire l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari, alla luce della suddetta pendenza per reato di analoga oggettività giuridica e alla dedotta inadeguatezza di una misura più gradata – quale quella degli arresti domiciliari – attesa la prognostica possibilità che l’indagato violi le connesse prescrizioni quali il divieto di comunicazione e di contatti con persone diverse dai conviventi.
La motivazione del Tribunale appare, peraltro, sul punto caratterizzata da apoditticità e da non adeguata considerazione delle circostanze di fatto allegate dalla difesa in sede di procedimento di riesame.
In particolare, il Collegio non pare avere tenuto conto del fatto che la distinta pendenza per analoga fattispecie associativa si riferisce – come sopra evidenziato – a un arco temporale da considerarsi esaurito anteriormente alla commissione dell’ultimo reato fine attinente alla presente contestazione (collocato, come si è visto, alla data del 07/05/2021); e, specificamente, il Tribunale ha omesso di argomentare adeguatamente in ordine alla condotta tenuta dall’indagato proprio dopo l’arresto in flagranza sopravvenuto a tale ultima data; periodo durante il quale l’odierno ricorrente, sottoposto a misura cautelare nell’ambito del distinto procedimento, è stato ivi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari senza violare le relative prescrizioni ed è stato autorizzato dall’autorità procedente allo svolgimento di lavoro esterno.
Ne consegue che la motivazione dell’ordinanza impugnata appare carente in ordine alla rilevanza da attribuire al tempo trascorso della commissione dei fatti e alla condotta tenuta dall’indagato nell’arco temporale relativo; apparendo sostanzialmente tautologica e priva di agganci con la situazione concreta anche la valutazione di non adeguatezza
di una misura più gradata quale quella degli arresti domiciliari eventualmente accompagnati da modalità elettroniche di controllo – sulla
base della dedotta attitudine dell’indagato, non meglio adeguatamente specificata, alla violazione delle connesse prescrizioni.
4. Sulla base di tali considerazioni, l’ordinanza annullata deve quindi essere annullata con rinvio per nuovo esame in punto di sussistenza delle
esigenze cautelari e di proporzionalità e adeguatezza della sola misura maggiormente gravosa; va altresì disposta la trasmissione degli atti alla
cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma iter
disp. att. cod.
proc. pen..
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale del riesame di Lecce. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui
all’art.94, comma 1-ter, disp.att., cod.proc.pen..
Così deciso il 19 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presid te