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Presunzione custodia cautelare: la condotta successiva

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, sottoposto a custodia cautelare in carcere. La Corte ha respinto il motivo relativo alla violazione del principio del ‘ne bis in idem’, ma ha accolto quello sulla presunzione custodia cautelare. Si è stabilito che il giudice deve valutare attentamente la condotta dell’indagato successiva ai fatti, come un percorso rieducativo o lavorativo, in quanto elemento idoneo a superare la presunzione che impone il carcere per reati gravi, potendo giustificare una misura meno afflittiva come gli arresti domiciliari.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Custodia Cautelare: la Condotta Post-Reato Conta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21538 del 2024, torna su un tema cruciale della procedura penale: la presunzione custodia cautelare per i reati di particolare gravità. Questa pronuncia chiarisce che la valutazione del giudice non può essere automatica, ma deve tenere in debita considerazione il comportamento tenuto dall’indagato dopo la commissione dei fatti, che può giustificare l’applicazione di misure meno severe del carcere, come gli arresti domiciliari.

Il caso in esame

Il caso riguarda un individuo indagato per partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Il Tribunale del Riesame aveva confermato per lui la misura della custodia cautelare in carcere, respingendo le argomentazioni della difesa. L’indagato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. La violazione del principio del ne bis in idem, poiché era già sotto processo per un’accusa simile in un altro procedimento penale.
2. L’errata applicazione della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, senza considerare il percorso rieducativo e lavorativo intrapreso dopo un precedente arresto.

La questione del ‘Ne Bis in Idem’

Sul primo punto, la difesa sosteneva che i due procedimenti riguardassero lo stesso fatto associativo. La Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi. I giudici hanno sottolineato che, sebbene vi fosse una parziale sovrapposizione temporale, i fatti contestati nei due procedimenti erano distinti. Il procedimento in esame riguardava una condotta associativa che si protraeva oltre il periodo contestato nell’altro, includendo anche un reato-fine commesso in una data successiva. Pertanto, non essendoci perfetta identità del fatto storico, il principio che vieta un doppio processo per la stessa accusa non è stato ritenuto violato.

La presunzione custodia cautelare e la sua applicazione

Il cuore della decisione si concentra sul secondo motivo di ricorso. L’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce una cosiddetta ‘doppia presunzione’ per reati di eccezionale gravità, tra cui l’associazione finalizzata al traffico di droga. Questa norma presume sia l’esistenza di esigenze cautelari (come il pericolo di reiterazione del reato), sia l’adeguatezza esclusiva della custodia in carcere per fronteggiarle.

Questa presunzione, però, non è assoluta. Può essere superata se la difesa fornisce elementi concreti che dimostrino l’assenza delle esigenze cautelari o la possibilità di soddisfarle con misure meno afflittive. La difesa, nel caso specifico, aveva evidenziato che l’indagato, dopo un arresto in flagranza, aveva tenuto una condotta positiva: aveva rispettato le prescrizioni degli arresti domiciliari in un altro procedimento, aveva intrapreso un’attività lavorativa autorizzata e aveva ottenuto la liberazione anticipata per buona condotta.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Cassazione ha ritenuto fondato questo secondo motivo, annullando l’ordinanza del Tribunale del Riesame. I giudici supremi hanno criticato la motivazione del Tribunale, giudicandola ‘apodittica’ e ‘tautologica’. In sostanza, il Tribunale si era limitato a richiamare la gravità del reato e la pendenza di un altro procedimento senza analizzare in modo adeguato gli elementi concreti portati dalla difesa.

Secondo la Corte, il tempo trascorso dai fatti e, soprattutto, la condotta tenuta dall’indagato in quel lasso di tempo, sono fattori decisivi. Ignorare un percorso di reinserimento sociale e lavorativo, come quello documentato, significa svuotare di significato la possibilità di superare la presunzione legale. Il giudice del riesame avrebbe dovuto spiegare perché, nonostante questi elementi positivi, la pericolosità sociale dell’indagato fosse ancora così attuale e concreta da rendere inadeguata qualsiasi misura diversa dal carcere.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di civiltà giuridica: le presunzioni legali, anche le più severe come quella sulla presunzione custodia cautelare, non possono trasformarsi in automatismi. Il giudice ha sempre l’obbligo di motivare in modo puntuale e concreto, basando la sua decisione non solo sulla gravità astratta del reato, ma anche sulla situazione specifica e attuale dell’indagato. La condotta positiva successiva ai fatti contestati non è un dettaglio irrilevante, ma un elemento fondamentale che deve essere attentamente ponderato nel bilanciamento tra le esigenze di sicurezza collettiva e i diritti fondamentali della persona.

Quando si può essere processati per un’associazione criminale simile senza violare il divieto di ‘bis in idem’?
Secondo la sentenza, non c’è violazione del principio del ‘ne bis in idem’ se i fatti contestati nei due procedimenti, pur riguardando lo stesso tipo di reato associativo, non sono perfettamente identici. In particolare, se si riferiscono a periodi temporali distinti o includono reati-fine diversi, vengono considerati fatti storici differenti e quindi processabili separatamente.

La custodia in carcere è automatica per i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga?
No. Sebbene la legge preveda una forte presunzione (la ‘doppia presunzione’) che per questi reati sia necessaria la custodia in carcere, questa non è automatica. La presunzione è ‘relativa’, il che significa che può essere superata fornendo al giudice elementi concreti che dimostrino che le esigenze cautelari sono cessate o possono essere soddisfatte con misure meno gravi, come gli arresti domiciliari.

Quali elementi possono superare la presunzione di custodia cautelare in carcere?
La sentenza evidenzia che elementi cruciali sono il tempo trascorso dalla commissione dei reati e, soprattutto, la condotta positiva tenuta dall’indagato in questo periodo. Ad esempio, l’aver intrapreso un’attività lavorativa, aver rispettato le prescrizioni di una misura cautelare precedente o aver mostrato segni concreti di un percorso di reinserimento sociale sono tutti fattori che il giudice deve attentamente valutare per decidere se la presunzione possa essere superata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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