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Presunzione custodia cautelare: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato l’ordinanza del Tribunale del Riesame che ripristinava la custodia in carcere per un imputato, già ai domiciliari, condannato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha ribadito la forza della presunzione di custodia cautelare prevista dall’art. 275 c.p.p. per reati di tale gravità, specificando che il solo trascorrere del tempo non è sufficiente a superarla. È necessaria una prova contraria che dimostri l’effettiva rescissione dei legami con l’ambiente criminale, prova che nel caso di specie non è stata fornita.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Custodia Cautelare: Quando il Carcere è la Regola

Nel sistema processuale penale, la libertà personale è un diritto fondamentale, ma può essere limitata da misure cautelari quando sussistono specifiche esigenze. Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: la presunzione custodia cautelare per reati di particolare allarme sociale, come l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Questa decisione chiarisce i rigidi paletti che la difesa deve superare per ottenere una misura meno afflittiva del carcere.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un soggetto condannato in primo grado a una pena significativa per aver promosso e organizzato un’associazione criminale dedita all’importazione e allo spaccio di ingenti quantitativi di droga. Inizialmente in carcere, l’imputato aveva ottenuto gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Tuttavia, la Procura della Repubblica ha appellato questa decisione, ottenendo dal Tribunale del Riesame il ripristino della custodia in carcere. La difesa dell’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che le esigenze cautelari si fossero attenuate con il tempo e che non vi fossero elementi concreti e attuali di pericolosità, come contatti recenti con altri coimputati.

La Decisione della Corte e la Presunzione Custodia Cautelare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una “doppia presunzione” relativa per reati di eccezionale gravità, tra cui quello di associazione finalizzata al traffico di droga (art. 74 d.P.R. 309/90).

La presunzione opera su due livelli:
1. Sussistenza delle esigenze cautelari: si presume che il pericolo di reiterazione del reato sia concreto e attuale.
2. Adeguatezza della misura: si presume che solo la custodia in carcere sia la misura idonea a fronteggiare tale pericolosità.

Questa non è una presunzione assoluta, ma relativa: può essere vinta da una “prova contraria” fornita dalla difesa. Tuttavia, la Corte sottolinea che tale prova deve essere particolarmente solida.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha chiarito che il semplice trascorrere del tempo non è un elemento sufficiente, da solo, a superare la presunzione custodia cautelare. Il giudice deve compiere una valutazione complessiva che tenga conto di molteplici fattori. Nel caso specifico, il Tribunale del Riesame aveva correttamente valorizzato elementi che militavano contro l’imputato, quali:

La gravità dei fatti: l’imponenza dell’attività di spaccio e il ruolo apicale dell’imputato nell’organizzazione criminale.
La personalità del soggetto: la sua professionalità criminale e la fitta rete di contatti, anche internazionali, costruita negli anni.
Il pericolo di fuga: ritenuto concreto in considerazione dell’entità della pena inflitta e dei legami con l’estero.

La Corte ha specificato che, per vincere la presunzione, non basta dimostrare l’assenza di contatti recenti, ma è necessario provare che il vincolo associativo criminale sia stato effettivamente e definitivamente reciso. Il tempo è solo uno degli elementi da valutare, ma non è dirimente se non accompagnato da altri fattori concreti e positivi che indichino un reale cambiamento nelle condizioni di vita e nella personalità del soggetto. La prognosi di pericolosità, in questi casi, non riguarda solo la ripetizione dello stesso reato, ma la possibile commissione di altri delitti che esprimano la medesima professionalità criminale.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce la linea di rigore della giurisprudenza in materia di misure cautelari per i reati associativi legati alla droga. La presunzione custodia cautelare prevista dal legislatore rappresenta un forte presidio a tutela della collettività, ponendo a carico della difesa un onere probatorio aggravato. Per ottenere una misura alternativa al carcere, non è sufficiente appellarsi al tempo trascorso o all’assenza di recenti condotte illecite. È indispensabile fornire elementi concreti che dimostrino un’interruzione netta e irreversibile con il passato criminale e con la rete di relazioni che lo ha sostenuto. La decisione sottolinea come la valutazione del giudice debba essere fondata su un’analisi approfondita della personalità dell’imputato e del contesto complessivo, andando oltre la mera apparenza.

Per quali reati si applica la presunzione di custodia cautelare in carcere?
La sentenza si concentra sul reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti), che è uno dei reati per cui l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede una presunzione relativa sia della sussistenza delle esigenze cautelari sia dell’adeguatezza della custodia in carcere.

Il semplice passare del tempo è sufficiente a superare la presunzione di custodia cautelare?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che il fattore tempo, da solo, non è un elemento dirimente. Deve essere valutato insieme ad altri elementi concreti e positivi che dimostrino la rescissione del vincolo associativo e un effettivo cambiamento nella vita del soggetto. In assenza di tali elementi, la presunzione non può ritenersi superata.

Cosa deve dimostrare la difesa per ottenere una misura meno afflittiva del carcere in questi casi?
La difesa deve fornire una “prova contraria” robusta, dimostrando che il vincolo associativo criminale è stato reciso e che non sussiste più un pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato. Questa prova deve emergere da una valutazione complessiva che includa il contesto socio-ambientale, la personalità e le condizioni di vita dell’imputato, e non può basarsi su mere considerazioni astratte o sul solo tempo trascorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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