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Presunzione custodia cautelare: il tempo non basta

Un individuo, accusato di traffico di droga, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere basandosi sul lungo tempo trascorso dai fatti e su un percorso di risocializzazione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che la presunzione custodia cautelare non era superata. La decisione è stata confermata non solo sulla base del tempo, ma valutando il ruolo fiduciario dell’indagato nell’organizzazione criminale, i suoi gravi precedenti e un reato commesso recentemente in carcere, elementi che dimostrano un concreto pericolo di reiterazione.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Custodia Cautelare: Perché il Tempo e la Buona Condotta Non Bastano

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 27881/2025, offre un’analisi cruciale sulla presunzione custodia cautelare, specialmente nei casi di gravi reati come il traffico di stupefacenti. La pronuncia chiarisce che il semplice trascorrere del tempo dai fatti contestati e un percorso di risocializzazione non sono, da soli, sufficienti a superare la presunzione che impone la detenzione in carcere, se persistono elementi concreti che indicano un’attuale pericolosità sociale del soggetto. Esaminiamo nel dettaglio la vicenda e le ragioni della Suprema Corte.

I Fatti: Accusa di Traffico di Stupefacenti e Misura Cautelare

Il caso riguarda un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e di aver gestito la cessione di oltre undici chilogrammi di cocaina in un solo mese. Contro l’ordinanza del Tribunale di Roma, che aveva confermato la misura detentiva, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, basando le proprie argomentazioni su due punti principali: il notevole lasso di tempo (oltre cinque anni) intercorso tra i fatti e l’applicazione della misura, e il positivo percorso di risocializzazione intrapreso nel frattempo dall’indagato per un’altra condanna.

La Difesa e la Svalutazione della Presunzione Custodia Cautelare

La difesa sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente svalutato elementi favorevoli all’indagato. In particolare, si lamentava che non fosse stato dato il giusto peso al percorso rieducativo che aveva portato l’uomo a ottenere prima il lavoro all’esterno e poi l’affidamento in prova ai servizi sociali per un reato analogo. Inoltre, veniva criticata la motivazione del Tribunale laddove aveva dato un’interpretazione negativa al silenzio serbato dall’indagato durante l’interrogatorio di garanzia, considerandolo un indice della mancata rottura con gli ambienti criminali.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione, pur riconoscendo alcuni vizi nella motivazione dell’ordinanza impugnata, ha rigettato il ricorso, ritenendo la decisione di mantenere la custodia in carcere corretta nel suo esito finale. I giudici supremi hanno innanzitutto censurato il Tribunale per aver dato rilievo negativo al silenzio dell’indagato, ribadendo che avvalersi della facoltà di non rispondere è un diritto fondamentale che non può mai tradursi in una conseguenza processuale sfavorevole.

Tuttavia, la Corte ha individuato altri elementi, ben più solidi e decisivi, che giustificavano la misura. In primo luogo, il ruolo fiduciario che l’indagato ricopriva all’interno di un’organizzazione dedita al traffico internazionale, capeggiata da un soggetto ancora latitante. In secondo luogo, i suoi gravi e specifici precedenti penali, tutti legati a transazioni di decine di chilogrammi di sostanze stupefacenti.

L’elemento determinante, però, è stato un procedimento penale pendente a suo carico per un reato commesso a settembre 2021: l’introduzione di telefoni cellulari in carcere. Questo fatto recente, secondo la Corte, dimostra che il tempo trascorso dai reati contestati non è stato affatto ‘silente’ e che i legami con l’ambiente criminale non erano stati recisi. Di conseguenza, il percorso di risocializzazione intrapreso non era sufficiente a vincere la presunzione legale di pericolosità prevista dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di misure cautelari per reati di particolare gravità. La presunzione di adeguatezza della custodia in carcere non è un automatismo, ma per superarla non basta invocare il tempo trascorso o una generica buona condotta. È necessario fornire la prova concreta di un reale e definitivo allontanamento dal contesto criminale. La presenza di precedenti specifici, ruoli di rilievo in associazioni criminali e, soprattutto, la commissione di nuovi reati, anche se di diversa natura, sono elementi che rafforzano la presunzione di pericolosità e rendono la detenzione in carcere l’unica misura idonea a tutelare la collettività.

Il solo passare del tempo tra il reato e l’arresto è sufficiente a escludere la custodia in carcere?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il tempo trascorso, da solo, non è sufficiente a vincere la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, specialmente se altri elementi concreti dimostrano che l’indagato non ha reciso i legami con l’ambiente criminale.

Un percorso di risocializzazione per un reato precedente può impedire una nuova misura di custodia cautelare?
Non necessariamente. Sebbene un percorso rieducativo sia un elemento positivo, non è decisivo se l’indagato, nel frattempo, ha commesso altri reati o se persistono gravi indizi di un suo attuale inserimento in contesti criminali, come nel caso di specie dove pendeva un’accusa per un reato commesso in carcere in epoca recente.

Il silenzio dell’indagato durante l’interrogatorio di garanzia può essere usato contro di lui per giustificare la detenzione?
No. La sentenza ribadisce che il diritto a non rispondere è una facoltà legittima. L’esercizio di tale diritto non può essere interpretato in senso negativo per l’indagato né può essere usato come argomento per giustificare o rafforzare la necessità di una misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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