Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 15714 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 15714 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VEGLIE il 07/08/1968
avverso l’ordinanza del 20/12/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG, in persona del Sostituto procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore presente, Avvocato NOME COGNOME del foro di LECCE che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20 dicembre 2024, il Tribunale di Lecce ha respinto l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 18 novembre 2024 con la quale il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lecce ha respinto la richiesta di sostituire con gli arresti domiciliari la misura cautelare della custodia in carcere, applicata a COGNOME per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 a far data dal 6 novembre 2023.
Contro l’ordinanza del Tribunale, il difensore di NOME COGNOME ha proposto tempestivo ricorso. Il ricorrente lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’attualità delle esigenze cautelari e alla ritenuta assenza di elementi di novità capaci di incidere sulla presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Secondo la difesa, un significativo elemento di novità che il Tribunale avrebbe dovuto valutare a fini cautelari è rappresentato dalla sentenza di condanna pronunciata dal G.u.p. all’esito di giudizio abbreviato. Se è vero, infatti, che con questa sentenza COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato associativo a lui ascritto, è pur vero che il Giudice ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra questo reato e una violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 commessa il 23 aprile 2022 per la quale COGNOME è stato tratto in arresto e separatamente giudicato. In tesi difensiva, con questa decisione, il reato del 23 aprile 2022 è stato individuato tra i reati fine della associazione e – per quanto riguarda la posizione di COGNOME – questo incide sulla data di consumazione del reato associativo. Dopo l’arresto del 23 aprile 2022, infatti, l’odierno ricorrente è stato detenuto, poi ha ottenuto gli arresti domiciliari, in seguito ha iniziato a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare con autorizzazione a svolgere attività lavorativa e la misura cautelare per il reato associativo è stata eseguita il 6 novembre 2023, mentre la detenzione domiciliare era in corso.
Secondo la difesa, riconoscendo che il reato associativo e quello commesso il 23 aprile 2022 sono espressione di un disegno criminoso unitario, il G.u.p. ha ritenuto che la partecipazione di COGNOME all’associazione abbia avuto termine il 23 aprile 2022. Pertanto, in sede cautelare, sarebbe stato doveroso tenere conto del fatto che, nel periodo compreso tra questa data e quella nella quale la misura cautelare fu eseguita, COGNOME ha intrapreso un percorso rieducativo, positivamente valutato dal Tribunale di sorveglianza di Lecce che (proprio in ragione del buon comportamento tenuto durante la detenzione domiciliare) ha concesso all’odierno ricorrente due semestri di liberazione anticipata (il provvedimento reca la data del 30 agosto 2023 ed è allegato all’atto di ricorso).
In sintesi, la difesa sostiene che la sentenza di primo grado ha accertato un «tempo silente» intercorso tra la data di consumazione del reato e l’inizio dell’esecuzione della misura durante il quale COGNOME ha iniziato un percorso di recupero e dato prova di ravvedimento. Secondo il ricorrente, in sede di appello cautelare, il Tribunale ha irragionevolmente trascurato questa circostanza e la motivazione dell’ordinanza impugnata è manifestamente illogica quando sostiene che il rispetto delle prescrizioni imposte con gli arresti domiciliari non può essere valutato positivamente a fini cautelari e non consente di superare la presunzione di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere.
Sotto diverso profilo, la difesa osserva che la misura custodiale disposta nei confronti di NOME COGNOME coimputato nel medesimo procedimento, è stata sostituita con gli arresti domiciliari dal Tribunale di Lecce con ordinanza del 21 giugno 2024 e questa decisione è stata adottata a seguito dell’annullamento da parte della Corte di cessazione di una precedente ordinanza del Tribunale del riesame. La sentenza di annullamento pronunciata con riferimento alla posizione di COGNOME (Sez. 4, n. 21538 del 19 marzo 2024) – osserva la difesa – ha ritenuto che la presunzione di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere prevista dall’art. 273, comma 3, cod. proc. pen. non esimesse i giudici del riesame dal valutare la condotta tenuta dall’indagato dopo un arresto in flagranza per violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 precedente all’esecuzione della ordinanza cautelare per il reato associativo, atteso che, in quel periodo, NOME era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari senza violare le relative prescrizioni, era stato autorizzato dall’autorità procedente a svolgere attività lavorativa e aveva intrapreso un percorso di recupero positivamente valutato dal Tribunale di sorveglianza. Secondo la difesa, la vicenda cautelare dell’odierno ricorrente sarebbe sovrapponibile a quella di COGNOME sicché il difetto di motivazione ravvisato con riferimento all’ordinanza che aveva respinto l’istanza di riesame proposta da COGNOME dovrebbe essere ritenuto sussistente anche rispetto all’ordinanza oggi impugnata, che ha negato a Saponaro ali arresti domiciliari senza tenere conto del corretto comportamento processuale da lui tenuto dopo l’arresto del 23 aprile 2022. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
NOME COGNOME è sottoposto alla custodia in carcere per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. a. 309/90. Per questo reato è stato condannato in primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni dieci di reclusione.
La misura cautelare è stata disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce con ordinanza del 17 ottobre 2023. Secondo l’ipotesi accusatoria, come compendiata nel capo di imputazione, l’associazione della quale COGNOME è stato ritenuto partecipe è stata operativa a partire da una data «anteriore e prossima al dicembre 2020». Il reato permanente è stato contestato, dunque, in forma “aperta”.
Per quanto riguarda la posizione di COGNOME, l’ordinanza è stata eseguita il 6 novembre 2023. Quando questo è avvenuto, l’odierno ricorrente stava scontando, in regime di detenzione domiciliare con autorizzazione al lavoro, la pena detentiva inflittagli per una violazione dell’art. 73 d.P.R. n.309/90 commessa il 23 aprile 2022 in relazione alla quale era stato arrestato in flagranza. La sentenza di condanna pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare ha affermato la responsabilità di COGNOME per il reato associativo e ha ritenuto il vincolo della continuazione tra questo reato e quello commesso il 23 aprile 2022 (giudicato con sentenza definitiva). Secondo la difesa, con questa statuizione, il G.u.p. avrebbe riconosciuto che il reato del 23 aprile 2022 era tra i reati scopo dell’associazione. Poiché per questo reato COGNOME è stato tratto in arresto, il contributo fornito dal ricorrente all’operatività dell’associazione sarebbe cessato il 23 aprile 2022, ma la misura cautelare è stata disposta ed eseguita oltre un anno dopo. Muovendo da queste premesse, la difesa sostiene che l’elemento di novità rappresentato dall’emergere di questo «tempo silente» avrebbe dovuto essere valutato al fine di verificare se, nel caso concreto, la presunzione di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere poteva essere superata.
Come noto, quando – come nel caso di specie – ricorrono gravi indizi di colpevolezza in ordine a uno o più dei delitti individuati dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone una doppia presunzione relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari e all’esclusiva adeguatezza della custodia in carcere. In questi casi, le esigenze cautelari si presumono sussistenti salvo che non siano «acquisiti elementi» che consentano di escluderle e si deve applicare la custodia in carcere salvo che, «in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure». La giurisprudenza di legittimità si è chiesta se il tempo trascorso dal fatto possa essere valutato, unitamente ad altre circostanze, quale elemento concreto idoneo a documentare l’adeguatezza di misure diverse dalla custodia in carcere e l’orientamento che è prevalso è favorevole a tale possibilità. Si è ritenuto, infatti, che «un rilevante arco temporale non segnato da condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità» possa rientrare tra gli
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tà.)
«elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari» (Sez. 1, n. 42714 del 19107/2019, Terminio, Rv. 277231; Sez. 1, n. 28991 del 25/09/2020, Felice, Rv. 279728; Sez. 5, n. 31614 del 13/10/2020). Secondo questa impostazione – che il Collegio condivide – il «fattore tempo» non può essere considerato estraneo alle regole di giudizio che definiscono la nozione di pericolosità sociale, tanto più se i gravi indizi si riferiscono ad una attivit associativa ormai esaurita. In questi casi, la doppia presunzione relativa prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere vinta purché il tempo trascorso dai fatti sia rilevante nella sua estensione e si tratti di un “tempo silente” durante il quale non sono state registrate condotte sintomatiche di perdurante pericolosità sociale; condotte che, se presenti, confermerebbero (o comunque non incrinerebbero) il quadro presuntivo affermato dalla norma (Sez. 6, n. 42630 del 18/09/2015, COGNOME, Rv. 264984; Sez. 4, n. 20987 del 27/01/2016, C., Rv. 266962; Sez. 6, n. 12669 del 02/03/2016, COGNOME, Rv. 266784; Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, Cosentino, Rv. 267995; Sez. 5, n. 52628 del 23/09/2016, Gallo, Rv. 268727). Come è stato ribadito di recente, anche se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, «il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito» (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, COGNOME, Rv. 286202; Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272; Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 281273). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La difesa sostiene che, nel caso di specie, l’esistenza di un “tempo silente” tra la commissione del reato e l’esecuzione della misura sarebbe emersa all’esito del giudizio di primo grado perché questo giudizio ha indicato nel 23 aprile 2022 la data in cui è cessata la partecipazione di COGNOME alla associazione.
Si obietta in proposito che il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato associativo ascritto a COGNOME e il reato di cui all’art. 73 d.P.R n. 309/90 da lui commesso il 23 aprile 2022 non necessariamente colloca questo reato tra i reati scopo dell’associazione; sicché l’affermazione secondo la quale il G.u.p. ha ritenuto COGNOME partecipe del reato associativo solo fino alla data del
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23 aprile 2022 avrebbe richiesto di essere documentata, ma gli allegati al ricorso non sono significativi nel senso indicato.
Secondo la difesa, le condotte addebitate al ricorrente sono terminate col mese di aprile del 2022 «non essendovi ulteriore traccia di un qualsiasi apporto del medesimo al costrutto associativo» e questo dato sarebbe stato «pacificamente ammesso dai giudici a quo che non hanno mosso alcun rilievo al riguardo» (così testualmente pag. 2 dell’atto di ricorso). Tale affermazione, però, non trova riscontro nella lettura dell’ordinanza impugnata e di quella del G.u.p.
Nel provvedimento del G.u.p. (datato 18 aprile 2024) si legge che «COGNOME è stato condannato alla pena di anni dieci di reclusione per gravi delitti commessi in contesto associativo, contestati fino ad epoca recente, in sodalizi fortemente radicati nel territorio con capacità di autorigenerarsi concreta ed attuale». Se ne desume che, pur avendo riconosciuto il vincolo della continuazione tra il reato commesso da Saponaro il 23 aprile 2022 e il reato associativo a lui ascritto, il G.u.p. non ha ritenuto che il sodalizio del quale COGNOME è stato ritenuto partecipe abbia cessato di operare e neppure che il tempo decorso tra i fatti contestati e l’emissione della misura sia sufficiente a provare il definitivo allontanamento dell’indagato da quel sodalizio.
Porta alle medesime conclusioni la lettura dell’ordinanza impugnata, che (a pag. 3) ha escluso l’esistenza di un “tempo silente”, sottolineando che è tale (se non è segnato da condotte sintomatiche di perdurante pericolosità) solo il tempo trascorso dalla data del fatto all’emissione dell’ordinanza cautelare e non lo è quello successivo alla esecuzione della misura: ha escluso dunque che, nel caso di specie, vi sia stato un tempo anteriore all’esecuzione della misura suscettibile di essere positivamente valutato a fini cautelari.
Secondo i giudici di merito, a ciò deve aggiungersi che tra il 23 aprile 2022 (quando, in tesi difensiva, la partecipazione di COGNOME alla associazione avrebbe avuto termine) e il 6 novembre 2023 (quanto è stata eseguita l’ordinanza cautelare per il reato associativo), COGNOME è stato sempre sottoposto a privazione della libertà personale per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90: prima a titolo cautelare (in carcere e agli arresti domiciliari), poi (a far data dal 13 ottobre 2022) in esecuzione pena, quale detenuto domiciliare con permesso di svolgere attività lavorativa. Il Tribunale ha ritenuto che il tempo nel quale COGNOME era sottoposto agli arresti domiciliari (o detenuto domiciliare) non sia idoneo a scalfire la presunzione di esclusiva adeguatezza della misura custodiale perché egli era tenuto a rispettare le prescrizioni che gli erano state imposte e l’averlo fatto non «determina nessun affievolimento delle esigenze cautelari». Ha escluso, dunque, che il rispetto di una misura cautelare o delle prescrizioni in materia di detenzione domiciliare possa essere equiparato al
mantenimento di una regolare condotta di vita quale indice di minore pericolosità sociale e ha ritenuto che da questa condotta non possano trarsi indicazioni sull’esistenza delle esigenze cautelari e sulla loro entità, ma soltanto sulla capacità dell’imputato di rispettare eventuali misure meno afflittive di quella custodiale. Ha concluso perciò che, nel caso di specie, la presunzione di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere non fosse scalfita dal buon comportamento mantenuto nel diverso procedimento.
Quanto al tempo trascorso dalla data di esecuzione della misura, il Tribunale ha osservato che non si tratta di un tempo lungo (un anno e tre mesi quando l’ordinanza impugnata è stata pronunciata); ha sottolineato che in primo grado è stata inflitta all’imputato la pena di anni dieci di reclusione; ha ricordato che, nella materia cautelare, il tempo trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura ha valenza neutra e solo in presenza di ulteriori elementi (non dedotti in questa sede), può essere qualificato come fatto sopravvenuto da cui desumere il venir meno o l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari.
La motivazione è congrua, non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità ed è conforme ai principi di diritto che regolano la materia. Se è vero, infatti, che COGNOME ha dimostrato di saper rispettare le prescrizioni connesse alla misura degli arresti domiciliari, è pur vero che questo dato da sé solo non è idoneo a vincere la presunzione di esclusiva adeguatezza della misura custodiale perché tale adeguatezza deve essere valutata con riferimento al pericolo di reiterazione di reati. Non è manifestamente illogico aver ritenuto inidoneo in tal senso un periodo di circa un anno e mezzo nel quale COGNOME sottoposto a provvedimenti privativi della libertà personale e accusato della partecipazione ad un sodalizio criminoso ancora operativo – non si è reso responsabile di violazioni della legge in materia di stupefacenti.
Non rileva in contrario la sentenza Sez. 4, n. 21538 del 19 marzo 2024, pronunciata con riferimento alla posizione del coimputato NOME COGNOME la cui partecipazione alla associazione risultava cessata alla data del 7 maggio 2021 (precedente di due anni e mezzo rispetto alla data di esecuzione della misura), senza che i giudici di merito avessero evidenziato (come avvenuto invece nel caso oggetto del presente ricorso) che, quando la misura cautelare è stata eseguita, l’associazione era ancora operativa e si trattava di una associazione radicata sul territorio e capace «di autorigenerazione».
A questo proposito si deve ricordare:
che la partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti «è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla
realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice» e, ai fini della determinatezza dell’imputazione di condotta di partecipazione al sodalizio, «non è necessaria l’indicazione dello specifico ruolo eventualmente rivestito dal partecipante» (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, COGNOME, Rv. 282139);
che la partecipazione non implica necessariamente il diretto coinvolgimento nella commissione di singoli reati scopo e dunque non necessariamente ha termine con l’ultima violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90.
Si deve conseguentemente osservare che, nel caso oggetto del presente ricorso, le allegazioni difensive non consentono di ritenere cessata alla data del 23 aprile 2022 la condotta partecipativa ascritta a Saponaro e questo è l’unico argomento speso dal ricorrente per vincere la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Ed invero, nell’atto di ricorso il difensore non sostiene che il ruolo svolto da COGNOME nell’associazione sia stato marginale o limitato nel tempo e non indica, oltre al tempo trascorso senza commettere reati scopo, nessun altro argomento idoneo a superare la citata presunzione. È doveroso sottolineare allora che, per giurisprudenza costante, «in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti» (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293; Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243). Non si può ignorare, inoltre, che «quando si procede per un delitto per il quale opera una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura carceraria, ai fini della prova contraria, occorrono elementi idonei ad escludere la sussistenza di ragionevoli dubbi posto che la presunzione detta un criterio da applicarsi proprio in caso di incertezza» (Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep.2018, COGNOME, Rv. 273434). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per quanto esposto il ricorso deve essere respinto. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.
comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 2 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente