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Presunzione custodia cautelare: Cassazione e reati mafia

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’indagata per associazione di stampo mafioso, confermando la sua permanenza in carcere. La sentenza ribadisce la validità della presunzione custodia cautelare prevista dall’art. 275 c.p.p., che per i reati di mafia impone la detenzione inframuraria come unica misura adeguata, salvo specifiche e tassative eccezioni. L’assenza di nuovi elementi di valutazione e la persistenza del vincolo associativo hanno reso il ricorso manifestamente infondato.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati di Mafia: Quando la Presunzione di Custodia Cautelare Diventa Assoluta

La gestione delle misure cautelari nei procedimenti per reati di stampo mafioso rappresenta uno dei punti più delicati e rigorosi del nostro ordinamento. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 18454/2024, offre un’importante occasione per approfondire il concetto di presunzione custodia cautelare e le ragioni per cui, in questi casi, la detenzione in carcere è considerata la regola quasi invalicabile. La decisione conferma la linea di rigore del legislatore e della giurisprudenza di fronte a fenomeni criminali che minacciano le fondamenta dello Stato.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Revoca della Misura

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda il ricorso presentato da una donna sottoposta a custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso. La difesa aveva richiesto la revoca o la sostituzione della misura con una meno afflittiva, come gli arresti domiciliari, anche fuori regione. Sia il Tribunale di Gela che, in sede di appello, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta avevano respinto la richiesta. Secondo i giudici di merito, il quadro indiziario a carico della ricorrente era solido e, soprattutto, non era emerso alcun elemento nuovo (aliquid novi) tale da giustificare un’attenuazione delle esigenze cautelari rispetto alla valutazione iniziale che aveva portato all’applicazione della massima misura restrittiva.

La Decisione della Cassazione e la Presunzione Custodia Cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando pienamente la valutazione dei giudici di merito. La decisione si fonda su un pilastro del sistema cautelare penale relativo ai reati di mafia: la presunzione stabilita dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. La Corte ha ribadito che, di fronte a gravi indizi di colpevolezza per un delitto di mafia, la legge stabilisce una duplice presunzione: una presunzione relativa circa la sussistenza delle esigenze cautelari e una presunzione assoluta riguardo all’adeguatezza della sola custodia in carcere come misura idonea a fronteggiarle.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha articolato le sue motivazioni su tre punti cardine, che chiariscono la logica dietro il rigore normativo.

L’assenza di “Aliquid Novi”

In primo luogo, i giudici hanno sottolineato che il tempo trascorso dalla precedente valutazione e l’assenza di nuovi elementi concreti rendevano la richiesta della difesa priva di fondamento. Non è sufficiente il mero decorso del tempo in detenzione per indebolire le esigenze cautelari, specialmente quando si tratta di un reato associativo a carattere permanente. La prospettata ‘contrazione’ della partecipazione al sodalizio non è stata ritenuta un elemento sufficiente a scalfire un quadro di pericolosità sociale ancora attuale e allarmante.

La Forza della Presunzione Assoluta

Il cuore della motivazione risiede nell’applicazione dell’art. 275, comma 3, c.p.p. La Corte ricorda che questa norma stabilisce una presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere. Tale presunzione è “assoluta”, il che significa che non può essere superata da una diversa valutazione del giudice nel caso concreto. Le uniche deroghe possibili sono quelle espressamente previste dalla legge stessa, ovvero le situazioni contemplate dai commi 4 e 4-bis dell’art. 275 (madre di prole di età inferiore a sei anni, persona affetta da malattia particolarmente grave e incompatibile con lo stato di detenzione, etc.). Poiché nel caso di specie nessuna di queste circostanze eccezionali era stata neppure allegata, la presunzione non poteva essere vinta.

La Persistenza dell'”Affectio Mafiosa”

Infine, la Corte ha valorizzato il fatto che l’indagata non risultava essersi dissociata dal contesto associativo. Il periodo di detenzione sofferto, secondo i giudici, non è in grado di produrre di per sé un effetto interruttivo rispetto all’ affectio mafiosa, ovvero il vincolo di appartenenza e fedeltà al gruppo criminale. Questo legame, che la giurisprudenza costituzionale ha definito di natura “empirico-sociologica”, è talmente forte e radicato da giustificare il ricorso esclusivo alla misura carceraria per neutralizzare la pericolosità del soggetto.

Conclusioni

La sentenza n. 18454/2024 della Corte di Cassazione riafferma con chiarezza la specialità del regime cautelare previsto per i reati di mafia. La presunzione custodia cautelare in carcere non è una scelta discrezionale del giudice, ma un’imposizione normativa basata sulla specifica pericolosità di tali crimini e sulla persistenza del vincolo associativo. Per ottenere una misura diversa, non è sufficiente contestare genericamente le esigenze cautelari, ma è necessario dimostrare la sussistenza di una delle specifiche e tassative deroghe previste dalla legge. Questa pronuncia serve da monito sulla difficoltà di ottenere un’attenuazione delle misure restrittive in assenza di una netta e comprovata rottura con l’ambiente criminale di appartenenza.

Per i reati di associazione mafiosa, è possibile ottenere una misura cautelare diversa dal carcere?
No, di regola non è possibile. La legge stabilisce una presunzione assoluta secondo cui la custodia in carcere è l’unica misura adeguata. Le uniche eccezioni riguardano casi specifici previsti dall’art. 275, commi 4 e 4-bis c.p.p., come la necessità di accudire figli minori di sei anni o la presenza di una malattia grave incompatibile con la detenzione, circostanze non presenti in questo caso.

Cosa intende la Corte quando parla di “presunzione assoluta”?
Si riferisce a una regola legale che non ammette prove contrarie. Nel contesto dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, significa che una volta accertata la gravità indiziaria per un reato di mafia, il giudice deve applicare la custodia in carcere, senza poter valutare l’adeguatezza di misure meno afflittive, salvo le eccezioni tassativamente previste dalla legge.

Il semplice trascorrere del tempo in carcere è sufficiente per ottenere una misura meno grave?
No. La Corte ha chiarito che il periodo detentivo sofferto non è di per sé sufficiente a dimostrare un’interruzione del legame con l’associazione criminale (affectio mafiosa). Senza la presentazione di elementi nuovi e concreti (aliquid novi) che dimostrino un mutamento delle esigenze cautelari, il trascorrere del tempo da solo non giustifica la revoca o la sostituzione della custodia in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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