Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33641 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33641 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso presentato da:
NOMENOMENOMENOMENOMENOMEXXX
avverso l’ordinanza del 12/05/2025 del Tribunale del riesame di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12/05/2025, il Tribunale del riesame di Bari, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero, annullava l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari di Bari aveva sostituito aNOMEXXXXX, indagato del delitto di cui all’articolo 609bis cod. pen., la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Avverso l’ordinanza citata l’imputato propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta il vizio di omessa motivazione in ordine al rilievo giuridico-fattuale delle controdeduzioni difensive spese per il tramite di memoria ex art. 127 c.p.p. attraverso cui era stato eccepito l’affievolimento delle esigenze cautelari di massimo rigore, con correlato superamento della presunzione relativa prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p., in ragione della dislocazione territoriale del nucleo familiare in seno al quale si sarebbero verificati i fatti addebitati al NOME.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 274 comma 1, lettera c), 275 c.p.p., per avere il Tribunale di Bari ancorato l’analisi del rischio di reiterazione alla gravità del reato e conseguentemente ritenuto sufficiente un pericolo astratto di recidivanza, omettendo di indicare da quali indici desumere la concretezza delle occasioni criminose che si potrebbero verificare qualora il NOME permanesse in custodia domiciliare; così facendo, sono stati applicati i parametri valutativi tipici della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere e non quelli della presunzione relativa operanti nel caso di specie in ragione del titolo di reato addebitato in rubrica al NOME.
2.3. Con il terzo motivo lamenta manifesta illogicità della motivazione, per avere il Tribunale di Bari desunto l’incapacità di autocontrollo del NOME dal titolo di reato addebitatogli in rubrica e non dalla eventuale consumazione di violazioni alle prescrizioni
imposte.
2.4. Con il quarto motivo lamenta manifesta illogicità della motivazione in termini di errore percettivo degli atti processuali: avendo il Tribunale di Bari ritenuto rilevante, con riguardo al pericolo cautelare della reiterazione, che il prevenuto – imputato per violenza sessuale in danno della minore sorellastra di sua figlia – avrebbe potuto avere contatti anche con la propria figlia, la quale sarebbe stata legittimata a frequentare l’abitazione in cui il
NOME Ł ristretto agli arresti domiciliari, generando così una concreta occasione per commettere nuove condotte abusanti in danno di altra minore.
SenonchØ, nel provvedimento di sostituzione della misura cautelare di massimo rigore, il G.u.p. ha prescritto al NOME di non avere contatti e di non comunicare nemmeno con la propria figlia, NOME; pertanto, la lettura delle evidenze compiuta dal Tribunale di Bari risulta viziata da un errore percettivo degli atti processuali che ha provocato una motivazione manifestamente illogica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
2. Come correttamente evidenziato anche dal Procuratore generale, il Tribunale del riesame ha esaminato in dettaglio la fattispecie concreta del reato e la personalità dell’imputato, ritenendo concretamente sussistente il pericolo di reiterazione del reato sotto i seguenti profili: a) l’elevata pena di anni dieci di reclusione irrogata a seguito di giudizio abbreviato; b) la gravità dei reati commessi, consistenti in plurime violenze sessuali commesse nei confronti della figlia tredicenne della sua convivente; c) le modalità delle condotte criminose, consistenti non soltanto in toccamenti delle parti intime, bensì in penetrazioni vaginali complete e rapporti orali; d) le minacce alla vittima di farle male e di riferire a sua madre fatti non veri; e) la realizzazione delle violenze in casa della stessa persona offesa o in luoghi appartati, con dazioni di sostanze alcoliche e di regali in cambio delle prestazioni sessuali; f) il contesto degradato in cui si svolgevano i fatti, come evincibile dal reato di maltrattamenti ascritto a NOME, madre della vittima, che sminuiva le dichiarazioni accusatorie della ragazza nei confronti del NOME dinanzi agli assistenti sociali e durante le conversazioni con altri soggetti di famiglia; g) la commissione da parte del NOME di alcuni reati anche presso l’abitazione della madre dove il G.I.P. aveva concesso gli arresti domiciliari con il provvedimento annullato dal Tribunale del riesame; h) l’inaffidabilità del NOME, alla luce della mancanza di autocontrollo, dimostrata dal soddisfacimento dei propri impulsi sessuali a discapito di una minorenne i n f r a q u a t t o r d i c e n n e .
Evidenzia inoltre l’ordinanza gravata che la definizione del procedimento in primo grado, se pure può incidere, affievolendolo, sul pericolo di inquinamento probatorio (ma la sentenza Ł tuttora soggetta ad impugnazione, sì che tale pericolo non può ritenersi ad oggi totalmente eliso) non incide sulle esigenze cautelari legate al pericolo di reiterazione del reato in considerazione della pena elevata irrogata all’imputato, che conferma il quadro indiziario e rende tuttora proporzionata la misura inframuraria.
Il pericolo di reiterazione, del tutto allarmante in considerazione della molteplicità delle condotte, commesse anche con la presenza, in casa, di madre e fratello dell’imputato ed anche presso l’abitazione della stessa vittima, laddove la stessa avrebbe dovuto essere piø sicura, oltre che in altri luoghi appartati, non risulta scalfito dall’irrogazione di una pena elevata che attiene all’esito processuale del giudizio peraltro ancora non definitiva.
Anche la circostanza che il NOME risulta sottoposto alla misura degli arresti domiciliari nell’abitazione della madre non appare elemento idoneo a scalfire la presunzione
di adeguatezza della misura carceraria (che risulterebbe svuotata di contenuto laddove potesse applicarsi la misura degli arresti domiciliari in ogni caso in cui il prevenuto disponga di un domicilio idoneo) ove si consideri: che alcuni episodi avvenivano anche con la presenza, nell’abitazione del NOME, della madre e del fratello (che verosimilmente non si avvedevano di quanto accadeva) e che la misura degli arresti domiciliari Ł per sua natura soggetta in parte all’adempimento spontaneo delle prescrizioni in relazione al quale il NOME non dà alcuna affidabilità.
Secondo il Riesame, a fronte di tale scenario, la presunzione di adeguatezza della misura carceraria non appare scalfita, non risultando peraltro elementi di novità idonei a rivisitare il quadro cautelare, non potendo tali essere considerati nØ la definizione del procedimento, nØ la disponibilità di un domicilio presso la madre ed essendo le circostanze poste a base dell’ordinanza impugnata inidonee a ritenere che le allarmanti esigenze cautelari possano essere arginate attraverso la misura degli arresti domiciliari, sia pure con l’applicazione del braccialetto elettronico.
Avverso tale articolata motivazione, il ricorrente si affida a generiche doglianze che neppure si curano di censurare la ritenuta perdurante insussistenza di elementi idonei a superare la «doppia presunzione» di cui all’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., con conseguente difetto di specificità.
Come noto, infatti, per i reati inclusi nel catalogo di cui all’articolo 51, comma 3bis , cod proc. pen. l’articolo 275 c.p.p., relativo ai «criteri di scelta delle misure», al comma 3 stabilisce che «quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3bis del presente codice … Ł applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
La giurisprudenza della Corte ha chiarito che la norma in questione introduce un «giudizio semplificato» quanto alle esigenze cautelari in relazione a tali reati, determinando un’inversione dell’onere dalla prova: si presumono la sussistenza, l’idoneità e la proporzionalità della misura custodiale «a meno che», in concreto, non si rinvengano elementi, da indicare in modo chiaro e preciso, che facciano ritenere sufficienti misure di minor rigore (Sez. 3, n. 14248 del 14/01/2021, COGNOME, n.m.;Sez. 3^, n. 30629 del 22/09/2020, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 12669 del 2/03/2016, COGNOME, RV. 266784: «la presunzione di esistenza di ragioni cautelari viene vanificata solo qualora sia dimostrata l’inattualità di situazioni di pericolo cautelare)».
Sez. 1, n. 21900, del 7/5/2021, Rv. 282004 ha poi precisato che «la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., Ł prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo».
Tutte le doglianze risultano, pertanto, inammissibili per difetto di specificità estrinseca.
Il ricorso non può quindi che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 09/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.