Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30346 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30346 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 24/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a POLISTENA il 19/02/1982
avverso l’ordinanza del 18/04/2025 del TRIB. RIESAME DI VENEZIA Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza del 18 aprile 2025 depositata in data 6 maggio 2025, il Tribunale di Venezia, sezione del Riesame, ha rigettato l’appello proposto da NOME avverso l’ordinanza di rigetto della istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari emessa in data 6 marzo 2025 dalla Corte di Appello di Venezia.
La Corte territoriale con sentenza del 22 novembre 2024, parzialmente riformando la pronuncia del Tribunale di Verona del 16 giugno 2023;
ha assolto l’imputato dalla contestazione associativa di cui all’art. 416bis cod. pen. (capo 1)limitatamente al periodo dal 1981 al 30 giugno 2011;
ha assolto l’imputato dai reati di usura ed estorsione aggravata di cui al capo 44) rideterminando la pena detentiva in anni 14 e mesi sei di reclusione, confermando per il resto la sentenza in relazione al reato di cui agli artt.416 bis, commi 1,2,3,4,5,6,8 cod. pen. per il periodo successivo al giugno 2011 (capo 1); agli artt.628 comma 3 n.1 e 3 cod. pen., art.416 bis.1 cod. pen (capo 3); agli artt.
629 comma 2 in rel. all’art.628 comma 3 n.1 e 3 cod. pen., art.416 bis.1 cod. pen (capo 16); artt.629 comma 2 cod. pen., art.416 bis.1 cod. pen ( capo 44).
COGNOME è imputato per avere partecipato ad una associazione a delinquere di stampo ndranghetistico ai cui vertici si poneva NOME COGNOME con una precisa ripartizione di ruoli; in particolare il ricorrente, quale partecipe, avrebbe concorso alla commissione di reati contro il patrimonio ed in particolare ad alcuni episodi estorsivi aggravati in danno di NOME COGNOME (capo 3), di NOME COGNOME (capo 16) e di COGNOME COGNOME ( capo 44).
2.Avverso tale decisione ha proposto ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia ed articolato nei motivi qui di seguito enunciati.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione di legge quanto all’applicazione della presunzione legale di cui all’art.275 cod. proc. pen.
La difesa evidenzia in primo luogo l’errore in cui è incorso il Tribunale allorquando ha ritenuto che l’imputato abbia definito la propria posizione attraverso il concordato in appello ex art.599 bis cod. proc. pen.; la sentenza invece è stata una sentenza pronunciata a seguito di giudizio ordinario.
2.1.1. Nel confermare il giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari e del pericolo di recidiva in ragione della permanenza del vincolo associativo e della entità della condanna, la ordinanza impugnata ha valorizzato il ruolo di spicco e la partecipazione assidua alle attività delittuose quali plurime e rilevanti attività estorsive rivelatrici di una forte e spiccata propensione all’uso della violenza.
A fronte dei rilievi difensivi quanto alla personalità schiva e alla carenza di autorevolezza e di spessore delinquenziale del ricorrente, la ordinanza ha risposto richiamando la esistenza di una pronuncia di condanna, sia pure non irrevocabile, sui fatti in esame con la conseguenza che non è mai venuta meno la partecipazione stabile al sodalizio di Geraci.
Tuttavia, siffatta risposta non è esauriente dal momento che non chiarisce per quale motivo il ricorrente, una volta scarcerato, potesse continuare ad operare in un contesto associativo dal quale voleva allontanarsi e all’interno del quale gli altri partecipi non gli riconoscevano alcun prestigio.
2.1.2. Egualmente carente la risposta alla censura difensiva quanto alla insussistenza della doppia presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen. applicabile al reato associativo.
Secondo la difesa l’imputato avrebbe già totalmente espiato in regime di carcerazione preventiva la pena relativa al reato associativo in applicazione di quel principio dello scioglimento del cumulo giuridico applicato in fase di espiazione della pena a seguito della irrevocabilità della sentenza.
Il principio dovrebbe essere applicabile anche alla fase della cognizione come del resto si ricava dai principi fissati in materia di calcolo dei termini di custodia cautelare preventiva (S.U. n.1 del 26/02/1997, Rv.207939).
2.1.3. Quanto alla richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico in un’abitazione distante circa 1000 Km dai luoghi in cui è radicata l’associazione mafiosa, la motivazione risulta apparente limitandosi il Tribunale a ritenere l’associazione radicata anche nel territorio calabrese di origine, senza peraltro considerare la risalenza dei fatti agli anni 2014/2015 e la valenza significativa di un trasferimento in altra zona territoriale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.11 primo motivo, articolato in plurime censure, è manifestamente infondato non confrontandosi con le approfondite motivazioni contenute nell’ordinanza impugnata la quale fornisce risposta in modo esauriente alle doglianze difensive fatte valere nei motivi di riesame.
1.1. Va preliminarmente osservato che l’erroneo riferimento all’art.599 bis cod. proc. pen., quale forma di definizione del procedimento di secondo grado, non ha comportato alcun riflesso o ricaduta sulla decisione impugnata.
Il Tribunale, pur avendo operato un erroneo richiamo al concordato in appello, nella motivazione ha correttamente evidenziato che il processo di cognizione di secondo grado era stato definito nelle forme ordinarie.
1.2.Inoltre, la censura formulata, seppure formalmente investa la sussistenza delle esigenze cautelari, sostanzialmente pone in discussione la sussistenza della gravità indiziaria
Sul punto va richiamata la giurisprudenza costante di questa Corte secondo cui in tema di provvedimenti “de libertate”, la decisione cautelare non può porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, pur non irrevocabile, emessa in ordine ai medesimi fatti nei confronti dello stesso soggetto, stante la relazione di strumentalità esistente tra il procedimento incidentale e quello principale; pertanto la sopravvenienza di una sentenza di condanna fa venir meno l’interesse dell’indagato alla procedura di riesame con riferimento al profilo concernente la verifica dell’originaria sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, salvo che risultino dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell’adozione della misura cautelare (Sez. 1, n. 55459 del 15/06/2017, COGNOME, Rv. 272398).
Sulla base dei principi richiamati, alcun tipo di doglianza può essere avanzata in ordine alla gravità indiziaria delle imputazioni a carico del ricorrente in ragione della pronunzia di condanna sia pure non irrevocabile, in primo e in secondo grado.
1.3. Infine, il Tribunale ha, in relazione alla sussistenza della doppia presunzione di cui all’art. 275 comma terzo cod. proc. pen., valorizzato la attualità e permanenza del sodalizio che non risulta mai essere venuto meno anche a seguito dell’arresto degli esponenti di vertice; la stabile partecipazione dell’imputato al sodalizio medesimo a partire dall’anno 2011; l’assenza di qualsiasi forma di distacco rispetto all’associazione.
Il secondo motivo risulta anch’esso manifestamente infondato.
2.1. Inconferente il richiamo al principio dello scioglimento del cumulo giuridico applicato in fase di espiazione della pena a seguito della irrevocabilità della sentenza e valido per quella fase; lo stesso dicasi in relazione ai principi fissati dalle Sezioni unite in materia di calcolo dei termini di custodia cautelare preventiva e in base ai quali ai fini sia dell’articolo 303, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., sia dell’art. 300, comma quarto, stesso codice, nel caso di condanna per più reati avvinti dalla continuazione, per alcuni dei quali soltanto (nella specie per i reati satelliti) mantenga efficacia la custodia cautelare, per “condanna” e per “pena inflitta” devono, rispettivamente, intendersi la condanna e la pena inflitte per questi ultimi reati, e non la condanna e la pena inflitte per l’intero reato continuato, in quanto l’unificazione legislativa di più reati nel reato continuato va affermata là dove vi sia una disposizione apposita in tal senso o dove la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non potendo dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il reo è alla base della “ratio” del reato continuato. (Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, COGNOME, Rv. 207939 – 01)
La pronunzia richiamata ha riferimento ad una ipotesi diversa da quella in esame e cioè quella nella quale per il reato ritenuto più grave nel calcolo della pena ai fini della continuazione non sussista il titolo cautelare.
2.2. La ordinanza impugnata, contrariamente a quanto lamentato nel motivo, ha inoltre chiarito le ragioni della inapplicabilità della misura degli arrest domiciliari: in primo luogo, la ritenuta sussistenza della doppia presunzione di cui all’art.275 cod. proc. pen.
Al riguardo in tema di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, ove si sia al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza, il giudice non deve motivare sulla inidoneità della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. (Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266651).
La ordinanza, nonostante siffatto principio, ha comunque motivato quanto all’inidoneità della misura meno afflittiva formulando un giudizio prognostico
negativo quanto all’osservanza di prescrizioni meno afflittive rispetto alla misura di massimo rigore.
3.All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così è deciso in Roma in data 24 luglio 2025
Il Consigli
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