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Presunzione cautelare e mafia: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato detenuto per associazione mafiosa. La Corte ha confermato che la forte presunzione cautelare prevista per tali reati non è superata dal semplice passaggio del tempo o da elementi non decisivi, specialmente in presenza di una condanna non definitiva.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Cautelare per Reati di Mafia: La Cassazione Rafforza il Principio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27389/2024, affronta il delicato tema della presunzione cautelare nei confronti di soggetti indagati per associazione mafiosa. La decisione chiarisce che il semplice trascorrere del tempo non è sufficiente a indebolire le esigenze cautelari, specialmente in presenza di una condanna non definitiva e di un legame con un sodalizio criminale ‘storico’.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dal ricorso di un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere per gravi reati, tra cui la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso e l’estorsione. La sua richiesta di revoca o sostituzione della misura era stata respinta sia dal Giudice per le indagini preliminari sia, in sede di appello, dal Tribunale del riesame.

L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito non avessero adeguatamente considerato alcuni elementi sopravvenuti. Tra questi, l’assenza di nuove prove a suo carico in altri procedimenti, la mancata accusa da parte di recenti collaboratori di giustizia, e il lungo periodo di detenzione già scontato. A suo dire, il Tribunale si era limitato a confermare la decisione precedente basandosi sul ‘giudicato cautelare’, senza una reale rivalutazione della sua posizione.

La Valutazione della Presunzione Cautelare

Il cuore della questione legale ruota attorno alla presunzione cautelare stabilita dall’articolo 275 del codice di procedura penale. Per reati di eccezionale gravità come l’associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), la legge presume sia la sussistenza delle esigenze cautelari (il periculum libertatis), sia l’adeguatezza della sola custodia in carcere come misura per contenerle.

La difesa ha tentato di dimostrare che questa presunzione fosse stata superata dai fatti nuovi, ma la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte Suprema ha basato la sua decisione su diversi pilastri argomentativi.

In primo luogo, ha sottolineato come l’imputato fosse già stato condannato in primo grado a una pena significativa. Sebbene la sentenza non fosse ancora definitiva, essa costituisce un elemento che preclude la possibilità di rimettere in discussione i gravi indizi di colpevolezza, che sono il presupposto della misura cautelare. Esiste, infatti, un rapporto di strumentalità tra il processo principale e il procedimento cautelare.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito la forza della doppia presunzione dell’art. 275 c.p.p. per i reati di mafia. La presunzione sulla sussistenza del pericolo è relativa (ammette prova contraria), ma quella sull’adeguatezza del carcere è assoluta, salvo casi eccezionali. Per superare la prima, l’imputato deve fornire la prova inequivocabile di aver reciso ogni legame con il sodalizio criminale. Questo onere probatorio è particolarmente gravoso quando si tratta di associazioni mafiose ‘storiche’, radicate e stabili, per le quali il pericolo di reiterazione del reato è considerato immanente.

Il cosiddetto ‘tempo silente’, ovvero il periodo trascorso dalla commissione dei reati o dall’applicazione della misura, non è stato ritenuto di per sé un elemento sufficiente a vincere tale presunzione. Allo stesso modo, gli altri elementi portati dalla difesa (come l’esito di altri procedimenti o la mancanza di nuove accuse) sono stati giudicati non idonei a dimostrare quel distacco netto e definitivo dall’ambiente criminale richiesto dalla giurisprudenza.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata: la presunzione cautelare per i reati di mafia è un baluardo difficile da superare. La decisione sottolinea che la pericolosità sociale derivante dall’appartenenza a un’associazione mafiosa è considerata persistente fino a prova contraria, e tale prova deve essere concreta e convincente. Per chi è accusato di questi reati, la strada per ottenere un allentamento delle misure cautelari rimane estremamente ardua e richiede la dimostrazione di una rottura totale e irreversibile con il passato criminale, un onere che il semplice scorrere del tempo non può soddisfare.

Per i reati di associazione mafiosa, il tempo passato in carcere è sufficiente per ottenere la revoca della misura cautelare?
No. Secondo la Corte, il mero decorso del tempo (‘tempo silente’) non è di per sé sufficiente a escludere la persistenza delle esigenze cautelari. Per i reati legati a sodalizi mafiosi ‘storici’, l’attualità di tali esigenze è considerata immanente e può essere esclusa solo con la prova della rescissione di ogni rapporto con l’associazione.

Una condanna non ancora definitiva influisce sulla valutazione della custodia cautelare?
Sì. La sentenza chiarisce che una decisione cautelare non può porsi in contrasto con il contenuto di una sentenza di condanna, anche se non ancora irrevocabile, emessa per gli stessi fatti. Questo preclude una nuova valutazione dei gravi indizi di colpevolezza.

Cosa si intende per ‘doppia presunzione’ nell’articolo 275 del codice di procedura penale?
Per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, l’art. 275 c.p.p. stabilisce una doppia presunzione. La prima, ‘relativa’, è che sussistano le esigenze cautelari (salvo prova contraria). La seconda, ‘assoluta’, è che la custodia in carcere sia l’unica misura adeguata a contenere tali esigenze, superabile solo in casi specifici previsti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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