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Presunzione cautelare: custodia per associazione droga

Una donna, accusata di essere una spacciatrice per un’associazione criminale, ha impugnato la sua custodia cautelare in carcere. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la misura restrittiva sulla base della presunzione cautelare prevista per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (Art. 74 D.P.R. 309/90). La Corte ha ritenuto che i numerosi precedenti penali dell’indagata, comprese condanne per evasione, e la gravità dei fatti giustificassero pienamente la detenzione, superando le obiezioni relative al tempo trascorso.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Presunzione Cautelare: Custodia in Carcere per Associazione a Delinquere

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha ribadito la forza della presunzione cautelare nei casi di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Questo principio giuridico, previsto dall’articolo 74 del D.P.R. 309/1990, stabilisce che in presenza di gravi indizi di colpevolezza per questo tipo di reato, la necessità di una misura cautelare come la custodia in carcere è, appunto, presunta. Analizziamo come i giudici hanno applicato questa regola a un caso specifico.

I Fatti: Il Ruolo di Spacciatrice in un’Organizzazione Criminale

L’indagine ha portato alla luce un’organizzazione criminale dedita al traffico di hashish e marijuana in un noto quartiere di Napoli. Il gruppo, gestito da una figura di spicco e dai suoi familiari, operava attraverso un sistema di “piazze di spaccio mobili”. Dei pusher su ciclomotori consegnavano rapidamente la droga ai clienti che la ordinavano tramite una linea telefonica dedicata, denominata “regia”.
L’indagata, secondo le accuse, era organicamente inserita in questa struttura con il ruolo di “spacciatrice al minuto”. Il suo compito era ricevere le indicazioni dalla “regia” e provvedere alla consegna materiale dello stupefacente agli acquirenti. Le attività investigative, che includevano osservazioni, intercettazioni e sequestri, hanno portato al suo arresto durante l’ultima consegna contestata.

La Decisione del Tribunale del Riesame e i Motivi del Ricorso

A seguito dell’arresto, il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) aveva disposto la custodia cautelare in carcere. La difesa dell’indagata aveva presentato istanza al Tribunale del riesame, chiedendo l’annullamento della misura o la sua sostituzione con una meno afflittiva. Il Tribunale, però, ha rigettato l’istanza, confermando la detenzione.
La difesa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sollevando due questioni principali:
1. Mancanza di un pericolo attuale: Si sosteneva che i fatti fossero risalenti nel tempo e che non vi fosse prova che la “regia” telefonica fosse ancora attiva, venendo meno il pericolo concreto di reiterazione del reato.
2. Motivazione errata: Si contestava che il pericolo di recidiva fosse stato basato su una recente condanna per un reato diverso (spaccio semplice, ex art. 73) da quello per cui era stata applicata la misura (associazione, ex art. 74).

La presunzione cautelare secondo la Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e quindi inammissibile. I giudici hanno sottolineato che le argomentazioni della difesa erano generiche e ripetitive rispetto a quelle già esaminate e respinte dal Tribunale del riesame.
Il punto centrale della decisione è l’applicazione della presunzione cautelare prevista per il reato associativo finalizzato al traffico di droga. La legge, in questi casi, presume non solo l’esistenza delle esigenze cautelari (pericolo di fuga, inquinamento probatorio, reiterazione del reato), ma anche che la custodia in carcere sia l’unica misura adeguata.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha spiegato che la motivazione del Tribunale del riesame era congrua e giuridicamente corretta. Nonostante il tempo trascorso dai fatti e a prescindere dall’operatività attuale della “regia”, non c’erano elementi sufficienti per superare il concreto pericolo di recidiva. Tale pericolo era desumibile da più fattori:
* La gravità dei fatti contestati: L’inserimento in un contesto criminale ben organizzato e professionale.
* I numerosi precedenti specifici: Non solo la recente condanna, ma una serie di precedenti penali legati al mondo della droga.
* L’incapacità di rispettare le regole: L’indagata aveva riportato numerose condanne per il reato di evasione, dimostrando una totale inaffidabilità rispetto a misure alternative al carcere, come gli arresti domiciliari.
Di conseguenza, le argomentazioni della difesa sono state ritenute insufficienti a scalfire la logica e completa valutazione del giudice del riesame.

Conclusioni: La Rigidità della Legge sui Reati Associativi

Questa sentenza conferma la severità con cui l’ordinamento giuridico tratta i reati associativi legati al narcotraffico. La presunzione cautelare prevista dall’art. 74 D.P.R. 309/90 pone un onere probatorio molto gravoso a carico della difesa, che deve fornire elementi concreti e specifici per dimostrare l’insussistenza del pericolo di recidiva. La pericolosità sociale, desunta dal curriculum criminale e dalla natura del reato, insieme all’inaffidabilità dimostrata con precedenti evasioni, rendono quasi automatica la scelta della custodia in carcere come unica misura idonea a tutelare le esigenze della collettività.

Perché è stata confermata la custodia in carcere nonostante sia passato del tempo dai fatti contestati?
Perché per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90) opera una presunzione legale di pericolosità. La Corte ha ritenuto che la gravità dei fatti, i numerosi precedenti specifici e le passate condanne per evasione dimostrassero un pericolo di recidiva concreto e attuale, non superabile dalla mera obiezione sul tempo trascorso.

Cosa significa “presunzione cautelare” nel contesto di questo caso?
Significa che la legge presume l’esistenza delle esigenze cautelari (come il pericolo di reiterazione del reato) e l’adeguatezza della sola custodia in carcere quando una persona è gravemente indiziata del reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga. Spetta all’indagato fornire prove concrete per vincere questa presunzione.

Il fatto che l’indagata avesse precedenti per evasione ha influito sulla decisione?
Sì, in modo determinante. La Corte ha valorizzato le numerose condanne per evasione come prova dell’incapacità della persona di rispettare misure meno afflittive del carcere, come gli arresti domiciliari. Questo ha rafforzato la conclusione che la custodia in carcere fosse l’unica misura adeguata a prevenire la commissione di altri reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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