Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30346 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30346 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 31/01/2024 del TRIB. LIBERTA di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letteAsgettite le conclusioni del PG STEFANO RAGIONE_SOCIALE:I
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 31 gennaio 2024 /il Tribunale del rasarne di Napoli ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza del G.I.P. del locale Tribunale del 19 dicembre 2023, con cui era stata applicata all’indagata la misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente indiziata della commissione del reato di cui all’art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – pur essendo anche indagata per taluni reati scopo ex art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, rispetto ai quali, tuttavia, non è stata disposta l’applicazione della misura custodiale
1.1. Il giudice del riesame ha, in particolare, ritenuto di non poter accogliere l’istanza con cui la difesa della COGNOME aveva richiesto l’annullamento dell’ordinanza gravata ovvero, in subordine, la sua riforma con applicazione di una misura meno afflittiva, esplicando come la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della prevenuta fosse stata desunta dalle risultanze di una complessa attività di indagine, concretatasi nell’espletamento di servizi di osservazione, intercettazioni telefoniche e ambientali, sequestri di sostanza stupefacente- ed arresti- in flagranza di detentori – della droga, che hanno cònsentito di ritenere comprovata l’esistenza – l’operatività di un -gruppo criminale dedito alla gestione di un fiorente traffico di sostanze stupefacenti per lo più di hashish e marijuana – nel quartiere Sanità di Napoli, diretto e organizzato da NOME NOME e dai suoi più stretti familiari. Lo smercio di stupefacenti era gestito attraverso il ricorso a piazze di spaccio “mobili”, in cui diversi pusher, spostandosi su ciclomotori, erano in grado di raggiungere in brevissimo tempo i clienti, operando la diretta consegna della droga.
Per come emerso dalle acquisite emergenze indiziarie, COGNOME NOME è risultata essere organicamente inserita nella suddetta struttura associativa, con il ruolo di spacciatrice al minuto, e cioè di partecipe avente il compito di provvedere alla diretta consegna della droga ai soggetti che ne avevano fatto preventiva richiesta a un’utenza telefonica (la c.d. “regia”) espressamente dedicata alla ricezione della domanda di fornitura di stupefacente. Le emergenze processuali hanno consentito, infatti, di ritenere indiziariamente acclarato come l’indagata fosse stata in diverse occasioni contattata dai coindagati che avevano ricevuto la richiesta sul telefono della c.d. “regia” e si fosse, poi, recata a porta la droga agli acquirenti, venendo, infine, arrestata in occasione della sua ultima consegna.
Il giudice del riesame ha, inoltre, motivato il proprio provvedimento reiettivo osservando come, tenuto conto della gravità dei fatti contestati, della pericolosità sociale della prevenuta e della sua cointeressenza con personaggi connotati da particolare spessore criminale, posti in essere nell’ambito di una struttura associativa professionalmente dedita all’illecito traffico di sostanze stupefacenti, non fossero individuabili elementi idonei a consentire di superare la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari derivante dalla contestazione dell’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990.
Il pericolo, concreto e attuale, di reiterazione di analoghe condotte illecite è stato, altresì, desunto da un recente suo coinvolgimento in un reato di spaccio, nonché in numerosi altri precedenti specifici, anche relativi ad epoca anteriore al 2020, inoltre risultando ostativa all’applicazione di una misura cautelare meno afflittiva la circostanza che la prevenuta fosse stata reiteratamente condannata per il delitto di evasione.
Avverso l’indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, a mezzo del suo difensore, eccependo due motivi di doglianza.
Con il primo ha dedotto omessa motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., lamentando l’insussistenza di un concreto e attuale pericolo di reiterazione della condotta contestatale ai sensi .dell’art. 74 D.P.R. n. – 309 del- 1990, iÌi quanto – – particdtarn -lerrté risalente nel tempo e priva di conforto alcuno in ordine alla circostanza che il telefono della c.d. “regia” fosse ancora a tutt’oggi attivo – come, invece, ritenuto dal G.I.P. per fondarvi la sussistenza delle esigenze cautelari, senza che, sul punto, il Tribunale del riesame abbia saputo esprimere nessuna adeguata argomentazione al riguardo -.
Con il secondo motivo la COGNOME ha eccepito omessa motivazione, per avere il giudice del riesame confermato la ricorrenza del pericolo di recidiva sulla scorta di una recente condanna da lei riportata per un reato ex art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, e cioè per un’ipotesi criminosa del tutto distinta rispetto a quella per cui le è stata, invece, applicata la misura custodiale.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Ed infatti, le doglianze espresse dalla COGNOME risultano palesemente generiche e assertive, oltre che reiterative di identiche censure sottoposte all’esame del Tribunale del riesame, e da questo rigettate con argomentazioni congrue e giuridicamente corrette.
In modo particolare, diversamente da quanto dedotto dall’indagata, l’applicazione della più grave misura custodiale è stata disposta sulla scorta di una motivazione adeguata e nella ricorrenza di un pericolo concreto e attuale di recidiva, soprattutto considerato come, in ragione del titolo di reato contestato ex art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, discenda la doppia presunzione cautelare della sussistenza di tutte le esigenze ex art. 274 cod. proc. per. e della esclusiva adeguatezza della custodia in carcere.
A fronte di tale ultimo aspetto, quindi, non può non essere osservato come le doglianze espresse dalla COGNOME si risolvano nella rappresentazione di inadeguate valutazioni in ordine alla ricorrenza delle esigenze cautelari, così come accertate dal Tribunale del riesame. Di converso, le argomentazioni addotte nel provvedimento impugnato appaiono del tutto congrue ed esenti da qualsiasi vizio logico o giuridico, rappresentando in modo compiuto la sussistenza delle esigenze cautelar’, la loro attualità, nonché il rispetto dei principi di proporzionalità e di-adeguatezza della misura applicata, anche tenuto conto -della concreta pericolosità dell’indagata.
L’esame dell’impugnata ordinanza, infatti, mostra la presenza di una motivazione del tutto congrua, in cui è stato dettagliatamente evidenziato come, pur considerandosi il significativo lasso temporale decorso dalia commissione dei fatti, ed dalla effettiva operatività o meno del telefono della c.d. “regia”, non vi siano elementi per poter superare il pericolo, concreto e attuale, di comportamenti recidivanti, per come direttamente evincibile dalla gravità delle condotte contestate all’indagata, dai numerosi precedenti specifici su di lei gravanti – e non solo della recente condanna da costei subita – e dall’effettuato svolgimento dell’attività di spaccio in un contesto criminale ben organizzato, professionalmente dedito all’illecito traffico di sostanze stupefacenti.
D’altro canto, il Tribunale del riesame ha anche congruamente valorizzato, ai fini della conferma dell’inadeguatezza di una misura cautelare maggiormente gradata, la circostanza che la prevenuta sia stata attinta da numerose condanne per evasione, a riprova della sua incapacità di rispettare le misure autocustodiali.
Alla stregua delle superiori considerazioni, allora, deve affermarsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questo Collegio, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto
delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei requisiti previsti dalla legge per l’emissione ed il mantenimento dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.
Conclusivamente, pertanto, il Tribunale del riesame ha rappresentato la sua pronuncia con motivazione congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, logica e coerente, così da non poter essere censurata in questa sede di legittimità.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
Viene disposta, altresì, la trasmissione di copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dell’e spese processu – ali e “delta somma di euro 3.000,00 In favore -della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 18 aprile 2024