Presunzione cautelare: la Cassazione conferma le misure per reati associativi
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha riaffermato un principio cardine in materia di misure cautelari per reati di stampo mafioso. La decisione si concentra sulla validità della presunzione cautelare anche dopo la fine di un periodo di detenzione, sottolineando come la pericolosità sociale del condannato per associazione mafiosa non venga meno automaticamente con la scarcerazione.
I fatti del processo
Il caso riguarda un individuo condannato in via definitiva per il reato di cui all’art. 416-bis del codice penale (associazione di tipo mafioso). A seguito della rideterminazione della pena e della conseguente cessazione della misura custodiale in carcere, l’autorità giudiziaria gli aveva applicato una serie di misure cautelari non detentive: il divieto di dimora in Sicilia, l’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria e il divieto di espatrio.
La difesa dell’imputato ha presentato ricorso avverso tale decisione, sostenendo che non sussistessero più le esigenze cautelari. In particolare, si evidenziava come il lungo tempo trascorso fuori dal carcere senza alcuna segnalazione o atto penale rilevante dovesse essere interpretato come una prova del suo avvenuto distacco dalla compagine criminale di appartenenza.
Il ricorso in Cassazione e la presunzione cautelare
Il ricorso per cassazione si fondava principalmente su due argomenti:
1. Vizio di motivazione: La difesa accusava il Tribunale di aver erroneamente ritenuto insussistenti gli elementi che dimostravano la presa di distanza dal clan, senza valorizzare il comportamento irreprensibile tenuto dopo la scarcerazione.
2. Illegittimità della misura: Si contestava l’imposizione di una misura ‘sostitutiva’ in assenza di ragioni cautelari persistenti o sopravvenute, criticando la valutazione del giudice che aveva considerato l’indifferenza del ricorrente alla condanna e la prognosi di non concedibilità della liberazione anticipata come fattori sufficienti a giustificare le misure.
Il fulcro del dibattito legale verteva, quindi, sulla tenuta della presunzione cautelare di pericolosità per un soggetto condannato per reati di mafia, anche a fronte di un periodo di apparente buona condotta.
Le motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, il Tribunale di merito ha agito correttamente, senza incorrere in vizi logici o giuridici.
La Corte ha ribadito che la presunzione cautelare legata al reato associativo non era stata superata. Il pericolo di recidiva è stato ritenuto ancora esistente al massimo grado, basandosi su elementi specifici:
* L’indifferenza palesata dal ricorrente rispetto alla precedente condanna per reati gravi, inclusa l’associazione mafiosa e reati aggravati dal metodo mafioso (art. 7 d.l. n. 152/1991).
* Il ruolo di spicco che l’individuo aveva ricoperto all’interno dell’organizzazione criminale (Cosa Nostra), in qualità di armiere e figura interessata agli appalti.
La Cassazione ha evidenziato che non vi era prova di un reale allontanamento dal sodalizio criminale. Al contrario, il Tribunale aveva accertato che, dopo la scarcerazione, l’individuo aveva ripreso le attività estorsive tipiche del clan. Pertanto, il semplice trascorrere del tempo senza nuove denunce non era un elemento sufficiente a dimostrare la cessazione della pericolosità sociale.
Conclusioni
La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in tema di criminalità organizzata. La presunzione cautelare di pericolosità per chi è stato condannato per associazione mafiosa è un baluardo difficile da scalfire. La decisione chiarisce che per ottenere una revoca delle misure cautelari non è sufficiente una condotta formalmente corretta, ma è necessario fornire prove concrete ed univoche di un’effettiva e irreversibile dissociazione dall’ambiente criminale di provenienza. Il ruolo ricoperto nell’organizzazione e la natura dei reati commessi continuano a pesare in modo significativo nella valutazione del giudice, anche a distanza di tempo dalla condanna.
Perché le misure cautelari sono state mantenute nonostante la fine della detenzione?
Le misure sono state mantenute perché, secondo i giudici, persisteva un elevato pericolo sociale. La Corte ha ritenuto che la gravità del reato di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) giustifichi una presunzione di pericolosità che non era stata superata da prove di un effettivo allontanamento dell’individuo dal contesto criminale.
Il tempo trascorso senza commettere nuovi reati è sufficiente a dimostrare la cessazione della pericolosità?
No. Secondo la sentenza, il solo decorso del tempo fuori dal carcere senza nuove segnalazioni non è sufficiente a vincere la presunzione cautelare. La Corte ha dato peso all’atteggiamento di ‘indifferenza’ del ricorrente verso la condanna e al suo ruolo di spicco nell’organizzazione, elementi che indicano una pericolosità ancora attuale.
Cosa significa che il ricorso è stato dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che la Corte di Cassazione non ha esaminato il merito della questione, ma ha ritenuto che il ricorso fosse manifestamente infondato e basato su questioni di fatto, non di diritto. In pratica, i motivi presentati dalla difesa non erano idonei a mettere in discussione la logica e la correttezza giuridica della decisione del Tribunale precedente.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10394 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10394 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME VincenzoCOGNOME nato a Castelvetrano il 14/02/1948
avverso la ordinanza del 26/11/2024 del Tribunale di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo ha confermato l’ordinanza cautelare emessa il 15 ottobre 2024 dalla Corte di appello di Palermo nei confron di NOME COGNOME con la quale al predetto è stata applicata la misura del divi di dimora nel territorio della Sicilia, l’obbligo di presentazione quotidian polizia giudiziaria e il divieto di espatrio, all’esito della declaratoria di c degli effetti della misura custodiale applicatagli il 10 maggio 2018 dal Giudice le indagini preliminari del Tribunale di Palermo in sede di giudizio di rinv appello all’esito della rideterminazione della pena a lui inflitta in anni 9 otto di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed altro.
Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo con unico motivo vizio cumulativo della motivazione avendo il Tribunale erroneamente ritenuto insussistenti elementi che dimostrin la presa di distanza del La Cascia dalla compagine criminale di appartenenza soprattutto senza tener conto di tutto il tempo decorso fuori dal carcere senza subire una segnalazione alla polizia giudiziaria o qualsiasi atto di rilievo pena
Inoltre, illegittima si palesa la imposizione ex art. 307 cod. proc. pe ricorrente di una misura “sostitutiva” rispetto a quella custodiale, non persis né sopravvenendo ragioni cautelari, avendo erroneamente ritenuto sia l’indifferenza del ricorrente alla precedente condanna e la prognosi di concedibilità della liberazione anticipata come pure l’indipendenza della misu prevenzionale applicatagli.
In assenza di istanza di trattazione orale, il Procuratore generale concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato, oltreché genericamente proposto per questioni in fatto.
Il Tribunale, senza incorrere in vizi logici e giuridici, ha ritenuto insup la presunzione cautelare conseguente al reato associativo per il qual intervenuta condanna, affermando l’esistenza al massimo grado del pericolo cautelare in ragione della palesata indifferenza del ricorrente alla preced condanna per reati aggravati dall’art. 7 d. I. n. 152/1991 e per associaz
mafiosa, quale elemento di spicco di Cosa Nostra (famiglia di Campobello di Mazara), in particolare, quale armiere e interessato agli appalti attribuiti a imprenditori, dalla quale non si è mai allontanato, riprendendo – dopo l scarcerazione – le attività estorsive tipiche del sodalizio.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell Ammende.
Così deciso il 20 febbraio 2025.