Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25445 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25445 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 10/10/1989
avverso l’ordinanza del 30/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Roma Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che chiede il rigetto del ricorso;
udito il difensore avvocato NOME COGNOME che chiede l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
GLYPH Con ordinanza del 30 gennaio 2025, il Tribunale del riesame di Roma ha accolto l’appello proposto dal RM. avverso l’ordinanza del GIP del medesimo Tribunale, che aveva rigettato nei confronti di NOME COGNOME la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere, in relazione ai delitti relativi a traffico di stupefacenti di cui ai seguenti capi della contestazione provvisoria:
1) artt. 74, commi 1,2,3 e 5 d.P.R. n. 309/1990, 416 bis 1 cod.pen, per aver partecipato con NOME, promotore e organizzatore, all’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, unitamente a COGNOME NOME, NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, già giudicati separatamente e condannati in primo grado con sentenza di condanna in data 13 dicembre 2022
14) artt. 110 cod.pen., 73 e 80 d.P.R., per aver ceduto, unitamente a NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, 10 kg. di sostanza stupefacente del tipo cocaina nella zona di San Basilio, di cui 2 kg. a COGNOME NOME, che la riceveva al fine di ulteriore distribuzione per il corrispettivo di euro 68.000, commesso in Roma, nel quartiere San INDIRIZZO, il 27 maggio 2020;
34) artt. 110, 56, 629, 416 bis 1 cod.pen., perché in concorso e riunione con altre persone non identificate, al fine di trarne ingiusto profitto, a seguito di u credito riconducibile alla cessione di stupefacente e alle richieste di pagamento non soddisfatte pari a euro 108.000, mediante minacce consistite nel rivolgere, da parte di NOME e NOME, direttamente alla persona offesa gravi minacce di morte qualora non avesse ottemperato al pagamento, mentre NOME, NOME NOME e NOME COGNOME si adoperavano per rintracciare la vittima con l’obiettivo di sparargli, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere COGNOME NOME a versare euro 108.000, con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi della forza di intimidazione derivante dall’appartenenza a un gruppo criminale operante con metodo mafioso nel campo degli stupefacenti e dei collegamenti con altre organizzazioni criminali. Fatto commesso a Roma nei mesi estivi dell’anno 2020 e successivamente;
41) artt. 110, 81 cpv., 424, 629, 416 bis 1 cod.pen. perché in concorso e riunione tra loro e con altre persone non identificate, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trarne ingiusto profitto, a seguito di un credito riconducibile alla cessione di stupefacente mediante violenza e minaccia, consistita nell’appiccare un incendio alla sala scommesse “Planet Win 365” di NOME convivente di COGNOME NOME, e successivamente minacciandolo apertamente di morte e programmando nei dettagli la sua eliminazione anche mediante appostamenti, si procuravano un ingiusto profitto di 10.000 euro e un orologio di marca Rolex e compivano atti idonei diretti in modo univoco a
costringere il COGNOME a versare altri 70000 euro con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi della forza di intimidazione derivante dall’appartenenza ad una violenta organizzazione con obiettivi di espansione territoriale. In Roma, il 24 settembre 2020.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, ha proposto ricorso per cassazione, mediante il proprio difensore, NOME COGNOME deducendo i seguenti motivi, sintetizzati ex art. 173 disp. Att. cod.proc.pen:
Con il primo motivo, deduce, in ordine alle esigenze cautelari, la violazione degli artt. 274, comma 1 lett. c), 275, comma 3 e 125, comma 3, cod.proc.pen. e vizio di motivazione; in particolare, il ricorrente rileva che l’ordinanza non aveva fornito risposta alla questione sollevata dalla difesa e relativa all’assenza, nella richiesta cautelare formulata dal P.M., di indicazioni relative alle esigenze cautelari specificamente riferite alla persona dello COGNOME. Anche l’appello era stato formulato in modo generico, astrattamente riferibile a tutti gli indagati, anche se si era doluto del fatto che il GIP non avesse proceduto alla valutazione della gravità indiziaria dei singoli fatti contestati; le motivazio addotte dal tribunale sono giudicate solo apparenti, in quanto di fatto avallano una lettura delle disposizioni di legge privativa dell’obbligo dell’accusa di procedere alla richiesta cautelare solo in ragione dell’affermata esistenza di un fatto di reato, della gravità indiziaria e del pericolo derivante dallo stato di libertà; neppure corrisponderebbe al vero che la difesa non aveva opposto elementi ostativi alla operatività della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod.proc.pen. giacché si era rilevato che il collaboratore COGNOME aveva riferito solo di vicende relative all’anno 2020 e che l’indagato non era gravato da precedenti specifici, ma solo di reato colposo commesso prima dell’anno 2020. Inoltre, era del tutto mancata la motivazione sulla necessità della custodia cautelare in carcere. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 273, 192 e 125 comma 3, cod.proc.pen e vizio di motivazione, in punto di gravi indizi di colpevolezza. Si deduce che la ordinanza impugnata abbia affermato che i gravi indizi di colpevolezza emergano da più fonti investigative diverse, mentre poi l’unico elemento di carattere probatorio sarebbe costituito dalla messaggistica criptata, né tale circostanza risulterebbe compensata dall’affermata sussistenza di riscontri derivanti dalle dichiarazioni del COGNOME, al più utile solo nei confronti del coimputato NOME COGNOME Dunque, emergerebbe l’insussistenza dei requisiti richiesti dagli artt. 192 e 273 cod.proc.pen., in difetto dell’elevata probabilità dell identificazione dello COGNOME.
GLYPH La Procura generale ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso. Le parti, richiesta la discussione orale, hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata, quanto alle precedenti fasi del procedimento cautelare, si evince che il GIP aveva giustificato il rigetto della richiesta di misura cautelare, rilevando che le condotte in questione si fermavano alla data dell’8 marzo 2021 e del sodalizio di cui al capo 1, contestato a partire dal gennaio 2020, in concorso con altri soggetti separatamente già giudicati e fatti oggetto di ordinanza cautelare, si avevano notizie fino all’esecuzione della stessa, avvenuta in data 10 gennaio 2022. Per il reato di associazione cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e per numerosi reati fine era stata pronunciata, in sede di rito abbreviato, condanna il 13 febbraio 2022, nei confronti dei capi e degli organizzatori dell’associazione oggetto di contestazione nel presente procedimento, per cui si è desunta la disarticolazione dell’organigramma del sodalizio, provocando almeno una decisa battuta d’arresto, se non la fine dell’attività criminosa. Del resto, i delitti di cui alla nuova richiesta del P.M. erano medesimi di quelli relativi alla precedente, inquadrabili nello stesso tessuto associativo e portati alla luce da una più attenta valutazione del materiale probatorio già acquisito tramite ordine europeo di investigazione dalle Autorità francesi, per cui mancava la fotografia attuale della rete dei rapporti tra correi, delle attività dei soggetti coinvolti, non essendo stati acquisiti elementi utili dimostrare che i medesimi siano ancora impegnati nello stesso contesto criminoso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’appello del Pubblico Ministero è stato ritenuto specifico, in quanto incentrato sulla violazione dell’art. 274 lett. c) cod.proc.pen., in ragione della total obliterazione della gravità indiziarla dei singoli fatti contestati, conseguenza della limitazione dell’esame al mero profilo dell’attualità cronologica dei fatti contestati. Il RM. ha evidenziato invece il rischio di reiterazione dei medesimi reati per cui si procede ed anche per altri gravi delitti con uso di armi e contro la persona. Ciò mediante il riferimento agli atti depositati a sostegno della richiesta relativa ai capi 40) e 41), dai quali era emersa la professionalità di cui gli indagati erano dotati nell’esercizio dell’attività di narcotraffico, unita alla disponibilità di ar accompagnata da condotte violente e propositi omicidiari. Il GIP non aveva considerato, inoltre, la presenza di gruppi di fornitori stabili del gruppo oggetto di procedimento, la cui attitudine alla importazione di ingenti quantitativi di cocaina non poteva ritenersi superata dalla ipotizzata disarticolazione dell’organizzazione
e lo stesso valeva per i clienti, che, a loro volta, mantenevano inalterate le condizioni per proseguire nello smercio. Ancora, era stato del tutto ignorato il contributo offerto dal collaboratore NOME COGNOME il quale aveva reso importanti informazioni in ordine alla personalità di gran parte degli indagati, come riportato nella richiesta di misura, e alla persistente attività di traffico de stupefacenti al quale gli stessi continuavano a essere dediti.
Con il primo motivo di ricorso, viene riproposta la questione della valida formulazione, da parte del Pubblico Ministero, sia della richiesta di misura cautelare che del successivo appello avverso l’ordinanza di diniego della richiesta stessa. Come affermato dal ricorrente, la questione è stata esplicitamente posta dalla difesa nella memoria depositata dinanzi al Tribunale del riesame, posto che si era rilevata l’assenza, in tema di esigenze cautelari, di aspetti individualizzati riferiti alla figura dello COGNOME già nella formulazione della richiesta della misu cautelare. Il Tribunale del riesame, in risposta a tale eccezione, ha fornito una interpretazione dell’articolo 291, comma 1, cod.proc.pen., secondo cui il rispetto del principio della domanda comporta che il pubblico ministero presenti al giudice competente gli elementi su cui si fonda la richiesta, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni difensive già depositate, ma non richiede che nella richiesta cautelare vi sia l’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi; tale requisito è invece necessario per l’ordinanza emessa dal giudice che dispone la misura ai sensi dell’art. 292 cod.proc.pen. Inoltre, il Tribunale ha riscontrato che la tecnica espositiva utilizzata dal P.M. era orientata alla preliminare ricostruzione dell’intera vicenda ed alla successiva descrizione delle condotte ascritte a ciascuno degli allora indagati, da cui far discendere la gravità indiziaria e, di riflesso, il pericolo di reiterazione. Trattandosi di sogge tutti partecipi all’associazione con il medesimo grado di coinvolgimento, la descrizione poteva essere di tipo cumulativo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il motivo è infondato, avendo il Tribunale del riesame accolto l’appello del P.M. sulla base delle seguenti corrette osservazioni.
In primo luogo, è stato rispettato il principio della domanda, di cui all’art. 291 cod.proc.pen., giacché il P.M., nella propria richiesta, dopo aver ricostruito la vicenda, si era soffermato sulle condotte ascritte a ciascuno degli allora indagati, da cui aveva fatto discendere la gravità indiziaria che si riverbera sul pericolo di reiterazione dei reati. Il P.M. aveva dato conto del coinvolgimento in pari grado di tutti gli indagati, accomunandoli in una visione cumulativa, senza reiterare le singole posizioni individualmente;
L’atto d’appello proposto dal PM. non era generico, come contestato dagli indagati, in quanto il RM. aveva dedotto la totale mancanza di un pur sintetico esame dei singoli fatti in contestazione in ordine alla necessaria valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, essendosi il GIP arrestato al rilievo di difetto d attualità. Dunque, in conformità con il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, l’appello correttamente aveva fatto rinvio alla richiesta cautelare che, viceversa, conteneva specifici richiami all’analitica ricostruzione dei fatti e argomentazioni sia relative alla gravità indiziaria, che alle esigenze cautelari; nel caso di specie, il difetto di motivazione dell’ordinanza appellata era evidente, non contenendo la stessa alcuna ricostruzione dei fatti contestati e della gravità indiziaria, pur a fronte di un copioso compendio investigativo (messaggistica criptata, intercettazioni, riprese, accertamenti di p.g., dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME); l’apoditticità dell’ordinanza aveva riflesso necessario sul giudizio di pericolo di recidiva, anche perché non era stato considerato che alcune condotte contestate erano di estrema gravità e assistite dalla presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, cod.proc.pen., a prescindere dall’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod.pen., né il GIP si era fatto carico di valutare i numerosi, concreti e specifici elementi enucleati nella richiesta di misura, relativi a ciascun indagato.
All’indagato COGNOME era stata contestata la partecipazione alla medesima associazione ritenuta sussistente, seppure con l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod.pen., dalla sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Roma del 13 febbraio 2022, nei confronti di NOMECOGNOME NOME, NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. Il Tribunale, facendola propria, ha quindi riportato il punto (pag. 32 della sentenza) con il quale il GUP aveva motivato il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dell’associazione in oggetto, negando tuttavia, sia quanto alla associazione che quanto ai reati fine, l’aggravante contestata.
Inoltre, il Tribunale ha dato atto che già nel corso delle indagini relative al procedimento n. 26389 del 2018, era emerso che NOME utilizzasse un telefono criptato per porre in essere l’attività di narcotraffico e che legittimamente il p.m. aveva chiesto di utilizzare la messaggistica indicata nella richiesta tramite gli ordini di indagine europea in atti, in quanto non vi era stata alcuna azione di impulso o di partecipazione dell’autorità giudiziaria italiana, in conformità con quanto stabilito dalle SU. con le sentenze nn. 23755 e 23756 del 2024 sul punto.
Quanto alla posizione dello COGNOME, il Tribunale ha rilevato che già dall’annotazione della Legione Carabinieri Lazio del 10 maggio 2022, nell’ambito dell’attività d’indagine “Aquila azzurra”, la figura di NOME COGNOME detto
“NOME“, era emersa quale frequentatore abituale dell’abitazione di Demce, allora ristretto agli arresti domiciliari, ove venivano pianificate le attività di narcotraffi In diverse occasioni, era stato ascoltato durante le conversazioni ambientali captate e anche ripreso, per cui erano stati predisposti diversi fascicoli fotografici che documentavano la sua presenza che interloquiva con il COGNOME e gli altri sodali; la p.g. aveva collegato COGNOME all’utilizzatore del nickname Encrochat “emptysoda”, per la sequenza cronologica di alcuni messaggi rivolti al Tel (“stickywaiter”) e tra questi e NOME (“famedmarsh”); tale identificazione aveva trovato conferma anche riguardo ai fatti contestati sub 14, 34, 36, 40 e 41 ( pagg. da 10 a 16 dell’ordinanza impugnata, ove si riportano i passaggi rilevanti delle acquisizioni probatorie).
5. Quanto poi alle esigenze cautelari, il Tribunale ha ritenuto sussistente il pericolo attuale e concreto di reiterazione dei reati, in primo luogo in quanto l’indagato risponde anche del reato previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, per cui rileva il disposto dell’art. 275, comma 3, cod.proc.pen., nella lettura indicata dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, con la conseguenza che il giudice deve considerare sussistenti le esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura cautelare in carcere, quante volte non consti la prova della loro mancanza. Ciò secondo un modello che si traduce, sul piano pratico, in una marcata attenuazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti applicativi della custodia cautelare in carcere; nel caso in esame, non emergono elementi concreti in atti, né li ha indicati la difesa, che consentano il superamento delle presunzioni indicate. Quanto al decorso del tempo, il Tribunale ha ricordato la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione dedita al narcotraffico, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo alla operatività della stessa o alla data ultima dei reati fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’organizzazione di provenienza e postula, dunque, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, rientrandovi anche il contesto socio ambientale, la personalità e le condizioni di vita dell’interessato. Nella specie, la disarticolazione dell’associazione era smentita dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME il quale aveva riferito che, mentre era detenuto a Rebibbia, aveva a disposizione un cellulare con il quale continuava l’attività di narcotraffico e che, quando era in isolamento, aveva avuto contatto con il Tel, che gli aveva parlato dell’associazione con il Demce e proposto di presentargli fornitori di stupefacente di particolare caratura. NOME COGNOME, peraltro, aveva dimostrato di partecipare all’organizzazione anche attraverso l’utilizzo della piattaforma criptata, riservata a Corte di Cassazione – copia non ufficiale
una cerchia di persone limitata e finalizzata a scopi illeciti e che si erano caratterizzati per l’adozione di condotte violente e spregiudicate.
La motivazione addotta dal Tribunale del riesame è conforme a diritto. Infatti, nella interpretazione del disposto dell’art. 291 cod.proc.pen., la giurisprudenza della Corte di cassazione ha precisato (Sez. 6, n. 36422 del 30/04/2014, Rv. 259937 – 01, P.M. in proc. COGNOME; n. 34201 del 2009 Rv. 244905 – 01) che, in tema di misure cautelari personali, non è nulla né inesistente la richiesta del P.M. affetta da vizi motivazionali o, corredata da motivazione meramente apparente, poiché tali irregolarità sono testualmente previste dall’art. 125, comma terzo, cod. proc. pen., come causa di nullità, non di inesistenza, ed esclusivamente in riferimento a provvedimenti del giudice. (Fattispecie in cui è stata ritenuta valida e non inesistente la richiesta cautelare del RM. che conteneva i capi di imputazione, il rinvio “per relationem” agli atti di RG. e il richiamo ai precedenti penali dell’indagato).
Inoltre, il motivo sul punto dell’asserita genericità dell’appello risulta anche inammissibile in quanto aspecifico, posto che si limita a reiterare l’eccezione senza considerare i contenuti espliciti della motivazione fornita dal Tribunale, che ha confutato la doglianza rilevando che, a fronte di una ordinanza di rigetto della misura cautelare motivata esclusivamente sul preliminare rilievo del difetto di attualità del pericolo, la relativa impugnazione non può che riferirsi a tali contenuti. Ciò in conformità con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’appello cautelare di cui all’art. 310 cod. proc. pen. ha la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione, sicché deve individuare i punti della decisione oggetto di censura ed enunciare i motivi di fatto e dì diritto che si sottopongono al giudice del gravame in termini specifici, o almeno con una specificità proporzionale a quella delle argomentazioni che sorreggono il provvedimento impugnato (vd. da ultimo, Sez. 6, n. 1919 del 10/12/2024 (dep. 2025) Rv. 287512 – 01).
Altrettanto inammissibile è il profilo relativo al vizio di motivazione riferito alli applicazione della doppia presunzione stabilita dall’art. 275, comma 3, cod.proc.pen. Va, preliminarmente, osservato che il ricorrente utilizza in modo inappropriato la nozione di “travisamento rispetto a quanto emergente in atti”, laddove denuncia che il Tribunale, affermando che neanche la difesa aveva opposto elementi ostativi all’operare della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, abbia omesso di considerare i diversi elementi valutativi invece opposti dalla difesa. In vero, lo stesso ricorrente non indica, come dovrebbe, quale informazione fornita sia stata travisata, essendone indicata una diversa, ma ribadisce una propria linea interpretativa della rilevanza da accordare al tempo
trascorso tra i fatti contestati e la richiesta di misura cautelare. Il che costituisc il punto, di puro diritto, che il Tribunale ha affrontato nell’interpretare prima nell’applicare poi, la previsione normativa relativa all’attualità delle esigenze cautela ri.
E’ opportuno ricordare che nella giurisprudenza di legittimità si è andato affermando un orientamento, di maggiore rigore interpretativo, secondo il quale la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo. (In motivazione la Corte ha aggiunto che, nella materia cautelare, il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagnato da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità) (Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Rv. 282766 – 02; Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, Rv. 282865 – 01; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004 – 01;). Accanto a tale orientamento, se ne è delineato un altro, più favorevole all’interessato, secondo il quale, pur se per i reati di cui all’art. 275 comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 – 02). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ciò premesso, le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale, essendo conformi in diritto ai principi espressi dalla Corte di cassazione, peraltro nella declinazione meno rigorosa e quindi di maggior favore per l’indagato, non possono formare oggetto di censura in questa sede in punto di concreto apprezzamento dei fatti posti a sostegno del giudizio di attualità del pericolo di reiterazione dei gravi delitti oggetto di contestazione.
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In particolare, il Tribunale ha fatto esplicito riferimento alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità più favorevole alla posizione dell’indagato, e della Corte Costituzionale, evidenziando il carattere relativo delle presunzioni dettate dall’art. 275, comma 3, cod.proc. pen., e si è poi fatto carico di valutare l’idoneità dei fatti emersi anche successivamente all’epoca delle condotte contestate, della concreta personalità dell’indagato e dell’intero contesto in cui l’organizzazione agiva, a paralizzare l’operare delle presunzioni. Così ha riportato le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME, soprattutto mediante l’accertamento della rilevanza dell’organizzazione di narcotraffico capeggiata da COGNOME e attivamente partecipata anche da COGNOME e che si mostrava operativa pienamente certamente anche durante la restrizione in carcere dello stesso collaboratore (pag. 18 dell’ordinanza impugnata), e ne ha valutato la caratura tale da sopravvivere alle vicende carcerarie degli organizzatori e alla loro condanna, considerato in modo complessivo il quadro delle concrete modalità di partecipazione emerse. Il Tribunale ha pure correttamente rilevato l’irrilevanza del mancato riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod.pen. al fine di attenuare l’estrema gravità dei fatti, atteso che l’accertato uso dei cripto telefonini non si era rilevato mero strumento di elusione dei controlli di polizia, ma indice di condivisione di strumenti messi a disposizione di una cerchia ristretta di associati (vd. il riferimento al tentativo di estorsione ai danni del COGNOME, di cui al capo 34) dell’imputazione provvisoria, descritto nei dettagli alle pagg. 11 e 12 dell’ordinanza impugnata).
Il ricorrente, in modo non idoneo allo scardinamento del giudizio del Tribunale, imposta il ragionamento critico su considerazioni logicamente non decisive, facendo riferimento alla mera cronologia degli eventi e senza farsi carico di mostrare l’illogicità palese della ragionevole prognosi di permanenza dell’attualità del pericolo di reiterazione insito nella struttura criminale oggetto di accertamento anche da parte del giudice della cognizione.
Non supera il vaglio di ammissibilità il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta sostanziale vizio motivazionale in punto di gravi indizi, ed in particolare in punto di valutazione degli indizi relativi alla individuazione d COGNOME nel soggetto partecipe all’associazione e autore delle condotte contestate. In primo luogo, il ricorrente lamenta l’imprecisione dell’ordinanza, laddove avrebbe affermato che la richiesta cautelare si era fondata su un corposo compendio investigativo, mentre poi avrebbe utilizzato solo la messaggistica decriptata, come riferito alla pagina 10 per i capi 14 e 12, a pag. 11 per il capo 34, a pag. 13 per i capi 36,40 e 41. Né tale carenza potrebbe ritenersi sanata dalle dichiarazioni rese da NOME COGNOME in quanto le medesime non sarebbero idonee a fondare una
qualificata probabilità di colpevolezza, perché difetterebbe il riscontro preciso circa il coinvolgimento di COGNOME nella condotta estorsiva di cui al capo 40) dell’imputazione, ai danni di COGNOME e COGNOME. Infatti, il COGNOME aveva individuato con certezza il solo COGNOME nella persona soprannominata COGNOME, che aveva preso parte all’attività estorsiva ai danni del COGNOME, mentre COGNOME sarebbe stato solo definito come persona di fiducia di NOME COGNOME. Tale carenza determinerebbe il venir meno dei gravi indizi, riducendosi il materiale probatorio alla sola messaggistica decriptata, inidonea a provare adeguatamente che al codice utilizzatore Encrochat indicato con nickname “emptysoda” corrispondesse lo COGNOME.
14. Si tratta, all’evidenza, di una critica, nella sostanza, anche se non nella forma, basata su una non esatta configurazione in diritto del presupposto applicativo dei gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare, formulata attraverso lo sviluppo di un tortuoso ragionamento palesemente orientato a richiedere alla Corte di legittimità di effettuare un apprezzamento di merito del complessivo materiale probatorio esaminato, certamente non consentito.
Va, infatti, in primo luogo ribadito il consolidato principio secondo cui, ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merit dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. non richiamato dall’ art. 273, comma 1bis, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 7092 del 19/11/2024 (dep. 2025), COGNOME, Rv. 287532 – 01).
15. Inoltre, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merit abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Rv. 255460 – 01).
Peraltro, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza
consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la
adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non
il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già
esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME Rv.
276976 – 01).
Nella specie, i giudici del riesame d’appello, proprio in ordine alla identificazione dell’indagato COGNOME, hanno messo in evidenza (vd. pag. 16
dell’ordinanza) che a tale identificazione si è giunti con certezza perché il COGNOME lo ha indicato come uomo di fiducia di NOME e tale dichiarazione aveva
trovato chiara conferma nelle chat intercorse tra i due, che dimostravano il loro contatto continuo e mediante le quali a COGNOME venivano impartite disposizioni su
trasporti e consegne di stupefacenti. COGNOME, rileva il Tribunale, aveva dimostrato di essere a conoscenza dei gravi episodi che avevano visto come vittime COGNOME e COGNOME. Ancora, il Tribunale ha trovato conferma della piena partecipazione dell’indagato nell’associazione capeggiata da COGNOME nel materiale probatorio allegato alla richiesta cautelare e relativo al procedimento “Aquila azzurra”, e specialmente dalla documentazione attestante la frequentazione assidua di COGNOME della casa di COGNOME, all’epoca agli arresti domiciliari. Il Demce presentò COGNOME a COGNOME NOME e a NOME COGNOME come un suo “pischello” e, in tale veste di fiducia, COGNOME fu incaricato di riscuotere un credito che il gruppo vantava nei confronti dei fratelli COGNOME del quartiere di San Basilio.
Nessuna evidente e insanabile incongruenza o frattura logica decisiva vizia la motivazione.
17. In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato alle spese del giudizio. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28, reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso, il 17 giugno 2025.