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Presunzione Art. 275: tempo non basta per arresti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato per reati associativi che chiedeva la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari. La Corte ha chiarito che la presunzione art. 275 c.p.p. è relativa e non assoluta. Tuttavia, il solo trascorrere di un lungo periodo di detenzione cautelare, anche se prossimo alla pena inflitta, non è sufficiente a superare tale presunzione se non accompagnato da ulteriori elementi concreti che dimostrino un’effettiva diminuzione della pericolosità sociale.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare e Presunzione Art. 275: Perché il Tempo da Solo Non Basta?

La gestione della custodia cautelare per reati di particolare gravità, come quelli di tipo associativo, solleva questioni complesse. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema della presunzione art. 275 del codice di procedura penale, chiarendo i limiti entro cui il tempo trascorso in carcere può influenzare la decisione di concedere misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere l’equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i diritti dell’individuo in attesa di giudizio definitivo.

I Fatti del Caso

Il ricorrente, imputato per gravi reati tra cui l’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), si trovava in stato di custodia cautelare in carcere da oltre sei anni. A fronte di una condanna in secondo grado a sette anni e dieci mesi di reclusione, aveva presentato istanza per ottenere la sostituzione della misura carceraria con gli arresti domiciliari. La richiesta era stata respinta dal Tribunale del riesame, il quale aveva ritenuto che la presunzione di adeguatezza del carcere, prevista per questo tipo di reati, fosse un ostacolo insuperabile in assenza di nuovi elementi concreti. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata interpretazione della norma.

La Decisione della Corte e la natura della Presunzione Art. 275

La Corte di Cassazione, pur dichiarando il ricorso inammissibile, ha colto l’occasione per fare chiarezza su un punto di diritto cruciale. In primo luogo, ha corretto l’impostazione del Tribunale del riesame, specificando che la presunzione art. 275, comma 3, c.p.p., non è assoluta, bensì relativa. Questo significa che la legge presume l’adeguatezza della sola custodia in carcere per certi reati, ma questa presunzione può essere superata se la difesa fornisce elementi specifici che dimostrino l’attenuazione delle esigenze cautelari.

Tuttavia, nonostante questo chiarimento, la Corte ha concluso che la decisione del Tribunale era, nel risultato finale, corretta. Il ricorso è stato quindi respinto perché basato unicamente su un argomento ritenuto non sufficiente: il lungo tempo trascorso in stato di detenzione.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della motivazione risiede nella valutazione del cosiddetto ‘tempo silente’. Secondo la Suprema Corte, il semplice decorso del tempo, anche se considerevole e prossimo alla pena inflitta, non costituisce di per sé un elemento capace di vincere la presunzione di pericolosità. Questo dato temporale è considerato ‘neutro’.

Perché il tempo possa assumere rilevanza, deve essere accompagnato da ‘ulteriori elementi tali da fornire un quadro complessivo che denoti l’affievolimento delle esigenze cautelari’. Nel caso specifico, il ricorrente non ha fornito alcuna prova concreta di un suo effettivo distacco dal contesto criminale di origine. Trovandosi in stato di detenzione, non era possibile apprezzare un cambiamento nel suo stile di vita o una presa di distanza fattuale dall’associazione. L’unico elemento addotto – il rapporto tra custodia sofferta e pena da espiare – attiene al principio di proporzionalità, che trova già la sua tutela nelle norme sulla durata massima dei termini di custodia cautelare, ma non incide sulla valutazione attuale della pericolosità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere la mitigazione di una misura cautelare in presenza di reati gravi, non basta appellarsi al fattore tempo. È necessario un ‘quid pluris’, ovvero la prova concreta e fattuale che la pericolosità sociale dell’imputato si sia ridotta. Chi si trova in una situazione simile deve quindi concentrare la propria difesa non solo sulla durata della detenzione, ma sulla dimostrazione attiva di elementi positivi, come percorsi di revisione critica, collaborazione o altri fatti inequivocabili che possano convincere il giudice del venir meno delle esigenze che avevano giustificato la custodia in carcere.

La presunzione di adeguatezza della custodia in carcere prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è assoluta?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che si tratta di una presunzione relativa. Ciò significa che può essere superata fornendo la prova di elementi specifici da cui risulti che le esigenze cautelari si sono attenuate o sono venute meno.

Il lungo tempo trascorso in custodia cautelare è sufficiente per ottenere gli arresti domiciliari?
No, da solo non è sufficiente. Secondo la sentenza, il decorso del tempo deve essere accompagnato da ulteriori elementi fattuali concreti che dimostrino un effettivo affievolimento della pericolosità del soggetto e delle esigenze cautelari.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile se il giudice precedente aveva sbagliato a qualificare la presunzione come assoluta?
Perché, nonostante l’errore nella motivazione giuridica, la decisione finale di rigettare la richiesta di sostituzione della misura era corretta nel merito. Il ricorrente non aveva fornito elementi sufficienti (oltre al tempo trascorso in detenzione) per superare la presunzione, rendendo di fatto il suo ricorso infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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