Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35730 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35730 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/02/2024 del TRIB. LIBERTA’ di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Procuratore generale, nella persona del Sostituto NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Milano ha rigettato l’appello, proposto ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., nell’interesse di COGNOME NOME, avverso l’ordinanza del 22/12/2023 con cui il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale rigettava l’istanza ex art. 299 cod. proc. pen., avente ad oggetto la sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
1.2. GLYPH Il COGNOME è sottoposto alla custodia cautelare in carcere, giusta ordinanza del 28/08/2023, eseguita il 13/09/2023, a presidio delle esigenze di cui all’art. 274, lett. b) e c), cod. proc. pen., ravvisate in ordine ai reati allo stesso ascritti, così come enunciati nei capi di incolpazione.
Avverso l’ordinanza del Tribunale propone ricorso il difensore dell’indagato che solleva i seguenti motivi:
2.1. Violazione dell’art. 299 cod. proc. pen. e vizi della motivazione in ordine alla mancata revoca o sostituzione della misura cautelare. La difesa osserva che il prevenuto ha chiarito la sua posizione in sede di interrogatorio innanzi al Pubblico ministero, lamentando che il Gip non abbia preso in considerazione il novum ivi emerso, unitamente al tempo trascorso dall’epoca del reato, lontano dai sodali, la dipendenza dalla cocaina e la possibilità di avviare un percorso di recupero;
2.2. GLYPH Violazione degli artt. 299 e 274, lett. c), cod. proc. pen., nonché contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, unicamente dedotta dalla negativa personalità dell’imputato, senza prendere in conto le ulteriori emergenze processuali;
2.3. GLYPH Violazione degli artt. 299 e 274, lett. b), cod. proc. pen., nonché contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del pericolo di fuga, dall’ordinanza impugnata genericamente affermato, ricordandosi che l’ordinamento italiano ammette esplicitamente la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari anche per i soggetti stranieri irregolari sul territorio, evitando di operare una valutazione automatica di pericolo di fuga basato soltanto sullo stato di clandestinità.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Con memoria pervenuta il 14/05/2024, il difensore, AVV_NOTAIO, in replica alle anzidette conclusioni del Procuratore generale, insiste per l’accoglimento delle ragioni del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché, oltre ad essere manifestamente infondato, si appalesa generico, in quanto indetermiNOME e privo di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (ex multis, Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, COGNOME, Rv. 240109).
Deve, peraltro, ricordarsi che la valutazione dell’incidenza probatoria degli indizi è compito riservato al giudice di merito e che, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugNOME, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto
impugNOME al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determiNOME; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugNOME, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460).
2. Tanto premesso, rispetto a tutti i motivi sollevati, appare dirimente il profilo della presunzione di adeguatezza della misura in carcere per il reato associativo contestato all’indagato al capo 1). Al riguardo, il Tribunale osserva, che nessuna delle circostanze evidenziate dalla difesa può ritenersi idonea a riscrivere il quadro cautelare in senso favorevole all’imputato, permanendo tuttora esigenze cautelari connesse ai pericoli di fuga e di reiterazione nei termini delineati dell’ordinanza applicativa della misura. Ha, in particolare, rilevato come la versione dei fatti resa del prevenuto in occasione del citato interrogatorio si sia risolta in una sostanziale negazione degli addebiti, del tutto incompatibile con le chiare risultanze di indagine poste a fondamento del presidio cautelare e, pertanto, non valutabile quale dimostrazione di un maturato spirito di resipiscenza, tale da comportare l’elisione o quantomeno l’affievolimento delle esigenze di cautela. Ha valorizzato le numerose comunicazioni intercettate, reputate eloquenti e tali da sfornire di qualsiasi plausibilità la ricostruzione alternativa fornita dal prevenuto, dando atto, quanto alla sua partecipazione al descritto sodalizio criminale, della vicinanza al capo dell’associazione COGNOME NOME, quale suo factotum, a supporto degli incontri con i clienti e nelle consegne dello stupefacente; degli stabili rapporti mantenuti con altri sodali e con i fornitori. Conseguendone che l’asserita risalenza nel tempo dei reati contestati al prevenuto non è stata congruamente ritenuta sufficiente per se stessa a superare la presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere, essendo richiesti specifici elementi di fatto idonei a dimostrare lo scioglimento del gruppo ovvero il recesso individuale e il ravvedimento del soggetto sottoposto alla misura (Sez. 3, n. 23367 del 17/12/2015, dep. 2016, P.M. in proc. Marzoli, Rv. 267341: in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che il lungo periodo di detenzione sofferto senza suscitare rilievi comportamentali ovvero la partecipazione all’opera di rieducazione non costituiscono, in assenza di un ”aliquid novi”, un serio ed unico sintomo di un mutamento dello stile di vita dell’interessato. Parimenti,
Sez. 4, n. 34786 del 08/04/2014, GLYPH COGNOME, Rv. 260293: “In tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d. P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, al fine di verificare l’attenuazione delle esigenze cautelari in sede di richiesta di sostituzione della misura custodiale in atto, il mero decorso del tempo dall’instaurazione del vincolo non è di per sé rilevante ma può essere considerato unitamente ad altri elementi specifici, idonei a verificarne l’incidenza sull’intensità del pericolo di recidiva del prevenuto, sempre che risulti l’irreversibile recisione dei legami di quest’ultimo con l’associazione criminosa di appartenenza).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Alla cancelleria spettano gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presi ente