Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30032 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30032 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME nata a Napoli il 20/8/1973
avverso la sentenza del 24/9/2024 della Corte di appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/9/2024, la Corte di appello di Trieste, in riforma della pronuncia emessa il 28/6/2022 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gorizia, dichiarava NOME COGNOME colpevole dei delitti di cui agli artt. 5 e 8, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, e la condannava – con rito abbreviato – alla pena di due anni di reclusione.
Propone ricorso per cassazione l’imputata, deducendo i seguenti motivi:
inosservanza dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., come novellato dal d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150. La sentenza impugnata sarebbe stata
pronunciata a seguito di giudizio abbreviato condizionato alla prova dichiarativa dell’imputata: ne consegue che, ai sensi della norma richiamata, la Corte di appello avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto la richiesta di giudizio abbreviato sarebbe stata subordinata all’acquisizione della prova dichiarativa citata, ai sensi dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen.;
sotto connesso profilo, il ricorso evidenzia che, anche a voler superare tale ultimo riferimento, e dunque escludere l’obbligo di rinnovazione dibattimentale, nel caso di specie non potrebbe trovare applicazione la novella introdotta dal d. Igs. n. 150 del 2022, in quanto la sentenza di primo grado sarebbe stata emessa il 20/6/2022, dunque in epoca precedente alla entrata in vigore della “riforma Cartabia”; la data da prendere a riferimento, infatti, sarebbe soltanto quella di emissione della pronuncia impugnata, non quella di proposizione dell’appello;
difetto di motivazione rafforzata. La Corte di merito avrebbe riformato la pronuncia assolutoria in assenza di qualunque effettiva motivazione, basandosi su una ricostruzione “oltremodo probabilistica e teorica, per nulla ancorata a elementi probatori” e frutto esclusivamente di congetture; una motivazione, dunque, inidonea a superare le considerazioni spese dal primo Giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo ai primi due motivi, da trattare in modo congiunto attesa la sostanziale identità della questione posta, ossia l’applicazione dell’art. 603, comma 3 -bis, cod. proc. pen., il Collegio ne rileva l’evidente inammissibilità.
4.1. Occorre premettere che il giudizio di primo grado si era svolto nelle forme del rito abbreviato condizionato all’acquisizione di una dichiarazione scritta proveniente dall’imputata, di documentazione sanitaria e di due estratti di articoli giornalistici. Ancora, occorre rilevare che la sentenza assolutoria di primo grado non si era fondata affatto su una data valutazione della prova dichiarativa, ma soltanto sulla ritenuta assenza di prova – quanto alla stessa COGNOME – (1) della consapevolezza circa il carattere oggettivamente inesistente della prestazione di cui alla fattura emessa dalla società di cui la stessa era legale rappresentante (RAGIONE_SOCIALE, contestata al capo A) ex art. 8, d. Igs. n. 74 del 2000, e (2) del dolo di evasione con riguardo all’art. 5, stesso decreto, contestato al capo B). Analogamente, si sottolinea che l’appello proposto dal Pubblico Ministero non conteneva affatto motivi attinenti alla valutazione di una prova dichiarativa, ma si basava su considerazioni del tutto diverse, ossia sulla evidenza oggettiva della responsabilità dell’imputata, in forza degli elementi acquisiti.
4.2. Ne consegue che il tema della applicabilità del novellato art. 603, comma 3 -bis, cod. proc. pen., non assume alcun rilievo nella vicenda processuale in esame.
4.3. Lo stesso tema, in ogni caso, è stato già affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, con indirizzo costante (richiamato dalla sentenza impugnata), così affermandosi che, in tema di impugnazioni, la regola processuale sulla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di cui all’art. 603, comma 3 -bis, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore a far data dal 30 dicembre 2022, trova immediata applicazione nel giudizio di appello, in assenza di disposizioni transitorie e in base al principio “tempus regit actum”. (Sez. 3, n. 10691 del 10/1/2024, s., Rv. 286089: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con la quale era stata esclusa la necessità di procedere alla rinnovazione dell’istruzione, a fronte di un giudizio di primo grado svoltosi con le forme del rito abbreviato. Conforme, tra le altre, Sez. 5, n. 17965 del 14/2/2024, Coveri, Rv. 286490).
4.3.1. Quand’anche, dunque, i motivi di appello fossero stati attinenti alla valutazione di una prova dichiarativa, la norma in esame avrebbe trovato applicazione nel testo novellato e, pertanto, non sarebbe stata riferibile al giudizio abbreviato qui celebrato, con conseguente manifesta infondatezza delle prime due censure.
Il ricorso, di seguito, risulta inammissibile anche sul terzo motivo, che lamenta l’assenza di motivazione rafforzata rispetto alla pronuncia di primo grado: la questione, infatti, è proposta in termini del tutto generici e con formule vaghe (“ricostruzione oltremodo probabilistica e teorica, per nulla ancorata a elementi probatori, frutto esclusivamente di congetture”), che in nessun modo si confrontano con gli argomenti impiegati dalla Corte di appello, evidentemente congrui e saldamente ancorati agli esiti istruttori, tali dunque da sovvertire le differenti conclusioni raggiunte in primo grado.
5.1. In particolare, la sentenza ha innanzitutto ribadito quanto già il Tribunale aveva oggettivamente riscontrato, ossia la natura di “cartiera” della RAGIONE_SOCIALE, risultata priva di sede effettiva, di dipendenti, di personale specializzato, d qualunque struttura necessaria per eseguire le operazioni fatturate. Del tutto pacifico, inoltre, era risultato l’ampio volume economico delle operazioni commerciali apparentemente riferibili alla società, nonostante i radicali difetti funzionali appena richiamati. In particolare, quanto alla fattura indicata nel capo A), il relativo pagamento da parte dell’apparente destinatario della prestazione (RAGIONE_SOCIALE era risultato seguito da prelievi in contanti, come in altr occasioni, così emergendo movimentazioni sospette di grosse somme di denaro
prive di riscontri quanto all’effettiva esecuzione delle relative prestazioni. Altrettanto pacifica, poi, era risultata l’omessa presentazione delle dichiarazioni IVA o IRES per gli anni 2016, 2017 e 2018.
5.2. Ebbene, a fronte di questo pacifico e non contestato quadro probatorio, la Corte di appello non ha ritenuto accoglibile la tesi (oggetto della prima sentenza) secondo cui la ricorrente sarebbe stata una mera prestanome inconsapevole di scelte gestionali ed operative decise da altri, peraltro non specificati. In senso contrario, ed evidentemente incompatibile con le conclusioni raggiunte dal Tribunale, la sentenza di appello ha così valorizzato: a) le altissime cifre movimentate sui conti della società formalmente amministrata dalla COGNOME, peraltro socia al 50%; b) i continui accrediti e prelievi eseguiti dalla stessa sui medesimi conti, con numerosissime operazioni, ad evidenziare un identico modus operandi, tipico delle condotte sanzionate ai sensi dell’art. 8, d. Igs. n. 74 del 2000; c) la coincidenza della sede della società (nel tempo) con due diversi e lontani indirizzi presso i quali COGNOME aveva vissuto.
5.2.1. Alla luce di questi elementi oggettivi, con i quali – si ribadisce – il rico non si confronta affatto, la sentenza impugnata ha dunque riconosciuto quel profilo psicologico dei reati che la prima pronuncia, invece, aveva ritenuto non provato; in tal modo, è stata quindi congruamente giudicata contraria agli esiti istruttori la conclusione del Tribunale, secondo cui la ricorrente avrebbe ricoperto il ruolo di mero prestanome, privo di capacità tecniche ed imprenditoriali, così da non potersi desumere che fosse a conoscenza degli illeciti contestati nei capi A) e B).
L’affermazione di responsabilità, pertanto, risulta priva di vizi, ed il ricors deve essere dichiarato inammissibile.
6.1. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025
Il t Ansigliere estensore
GLYPH
Il Presid nte