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Prestanome e reati tributari: le responsabilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’amministratrice, condannata per omesso versamento IVA per oltre 447.000 euro, che si difendeva sostenendo di essere solo una prestanome. La Corte ha confermato che la carica di legale rappresentante comporta la piena responsabilità per i reati tributari, anche in assenza di poteri gestionali effettivi. L’unica via per l’amministratore per sottrarsi alla responsabilità è rassegnare le dimissioni.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prestanome e Reati Tributari: Chi Paga il Conto?

La figura del prestanome e i reati tributari a essa connessi sono un tema ricorrente nelle aule di giustizia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 36326/2024, torna a fare chiarezza sulla responsabilità penale di chi accetta di ricoprire formalmente la carica di amministratore di una società, senza però esercitare poteri gestionali effettivi. La decisione ribadisce un principio fondamentale: accettare la carica significa assumersene tutte le responsabilità, comprese quelle penali per l’omesso versamento delle imposte.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda l’amministratrice di una società a responsabilità limitata, condannata in primo e secondo grado per il reato di omesso versamento di IVA, previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000. L’importo evaso per l’anno di imposta 2015 ammontava a circa 447.000 euro, una cifra notevolmente superiore alla soglia di punibilità fissata dalla legge. L’imputata ha proposto ricorso in Cassazione, affidandosi a cinque distinti motivi di impugnazione per cercare di ribaltare la condanna.

I Motivi del Ricorso: La Difesa dell’Amministratore

La difesa ha articolato il ricorso su diversi punti, cercando di smontare l’impianto accusatorio:
1. Incompetenza Territoriale: Si sosteneva che il processo si sarebbe dovuto svolgere presso il tribunale del circondario di Siracusa, sede operativa della società, e non a Milano.
2. Ruolo di Prestanome: La ricorrente affermava di essere una mera prestanome, priva di reali poteri gestionali e finanziari per poter adempiere agli obblighi tributari.
3. Assenza di Dolo: L’imputata negava di aver avuto l’intenzione di evadere le imposte, evidenziando che la società si avvaleva di un servizio di assistenza fiscale professionale.
4. Pena Eccessiva: Si contestava la determinazione della pena, ritenuta troppo severa perché non fissata nel minimo edittale.
5. Illegittimità della Confisca: Infine, si contestava la confisca dei beni personali, sostenendo che il fallimento della società, dichiarato nel 2017, la rendesse illegittima.

Le motivazioni: le ragioni della conferma sulla responsabilità del prestanome in materia di reati tributari

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile e fornendo importanti chiarimenti su ogni punto sollevato.

Sulla competenza territoriale, i giudici hanno spiegato che per i reati omissivi, come il mancato versamento dell’IVA, il luogo di commissione è incerto. In questi casi, la legge stabilisce che la competenza spetta al giudice che per primo ha avviato le indagini, che nel caso specifico era l’autorità giudiziaria di Milano.

Il punto centrale riguarda il ruolo di prestanome e i reati tributari. La Corte ha ribadito un principio consolidato: chi accetta la carica di legale rappresentante ha il dovere di vigilare e adempiere agli obblighi di legge, inclusi quelli fiscali. Se l’amministratore si trova privo dei poteri o delle risorse finanziarie per farlo, a causa delle decisioni di un amministratore ‘di fatto’, ha un solo modo per liberarsi dalla responsabilità penale: rassegnare immediatamente le proprie dimissioni. Rimanere in carica significa accettare il rischio di rispondere penalmente per le omissioni della società.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la Cassazione ha ritenuto infondato l’argomento della mancanza di dolo. Anche se l’imputata fosse stata una semplice prestanome, la sua esperienza in contabilità aziendale la rendeva pienamente consapevole degli obblighi fiscali. Il fatto di avvalersi di un consulente non la esonera dalla responsabilità per l’omissione del pagamento, che è il nucleo del reato.

Infine, la Corte ha giustificato sia l’entità della pena, ritenuta congrua data l’enorme cifra evasa, sia la legittimità della confisca per equivalente. I giudici hanno sottolineato che il fallimento della società non solo non impedisce la confisca dei beni dell’amministratore, ma, anzi, la rende ancora più necessaria, data l’impossibilità di recuperare il profitto del reato dal patrimonio ormai insolvente dell’azienda.

Le conclusioni

Questa sentenza è un monito severo per chi accetta di ricoprire cariche amministrative ‘di facciata’. La giustizia non ammette ignoranza né impotenza come scusanti: la responsabilità penale per i reati tributari è una conseguenza diretta e quasi inevitabile dell’accettazione della carica. L’unica via d’uscita, di fronte all’impossibilità di adempiere ai propri doveri, è l’immediata rinuncia all’incarico. La decisione conferma che l’ordinamento giuridico intende colpire chi, con la propria inerzia o compiacenza, permette la commissione di illeciti fiscali, indipendentemente dal ruolo, formale o sostanziale, ricoperto all’interno dell’azienda.

L’amministratore che agisce come ‘prestanome’ è responsabile per i reati tributari della società?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, chi riveste formalmente la carica di legale rappresentante è tenuto a eseguire i versamenti delle imposte. Se non dispone dei poteri o dei mezzi finanziari, per sollevarsi dalla responsabilità penale deve rassegnare con effetto immediato le proprie dimissioni.

Come si determina la competenza territoriale per il reato di omesso versamento IVA?
Trattandosi di un reato omissivo, il luogo di commissione è ontologicamente incerto. La legge (art. 18, D.Lgs. 74/2000) stabilisce che, quando non è possibile determinare diversamente il foro competente, la competenza è dell’autorità giudiziaria che per prima ha avviato le indagini sui fatti.

Il fallimento della società impedisce la confisca dei beni dell’amministratore per il reato tributario commesso?
No. La Corte ha chiarito che il fallimento di un soggetto terzo (la società) non blocca l’efficacia della confisca per equivalente disposta sui beni della persona fisica condannata. Anzi, l’insolvenza della società rende ancora più attuale l’esigenza di aggredire il patrimonio di chi ha materialmente commesso il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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